In Italia, la montagna.
WM2: Parlare di montagne e nazione, significa porsi il problema di come una cultura affronta il concetto di selvatico & selvaggio. Le montagne, infatti, sono sempre vissute come un luogo “da addomesticare”, anche se spesso è proprio addomesticandole che le si rende più selvagge (vedi il taglio del bosco che produce frane, il dissesto idrogeologico, l’elettrificazione delle valli alpine). Negli Stati Uniti l’idea di wild, wildness e wilderness ha avuto un ruolo chiave nella nascita della nazione. Qui da noi si può dire lo stesso?
M.A.: No, non si può. Il ruolo della wilderness, della natura selvaggia nella storia degli Stati Uniti è abbastanza unico. L’idea che la nazione USA – o, per dirla con il loro linguaggio, americana – sia nata dall’incontro tra pionieri e “Frontiera” era il principio fondante della tesi di Frederick Jackson Turner, lo storico USA padre della Western History. Non è un caso che gli USA siano anche la nazione che ha inventato i parchi nazionali; a differenza della vecchia Europa, dove chiese, palazzi nobiliari o comunque manufatti, custodiscono l’identità della nazione, negli Stati Uniti è la natura che diventa monumento nazionale, simbolo della novità di quella storia. Poi con Mount Rushmore la storia della nazione, quella ufficiale, ovviamente, viene letteralmente iscritta nella natura, con i volti di quattro presidenti scolpiti sul fianco della montagna. La storia ambientale USA ha lavorato molto sul concetto di wilderness e sulla sua invenzione; lo storico William Cronon è stato il primo a parlare della wilderness come una costruzione culturale, scatenando, per la verità, una ondata di critiche feroci alla sua tesi da parte degli ambientalisti. «Se la wilderness è una invenzione culturale, allora non c’è motivo di preservare nulla» – questa era la tesi di chi si scagliava contro Cronon e quello che veniva definito, in maniera un po’ dispregiativa, l’attacco post-modernista alla natura. Non voglio entrare troppo nel merito del dibattito USA sulla wilderness; mi interessa però sottolineare che l’idea tradizionale di wilderness era sostanzialmente razzista e eurocentrica, escludeva l’agenzia dei Nativo-Americani nella creazione della natura, ovvero, i nativi erano considerati o parte della natura o semplicemente sparivano dalla scena. Questo è quello che è storicamente avvenuto con la creazione dei parchi nazionali, che hanno sistematicamente espulso i nativi, ma più in generale, i subalterni, e trasformato pratiche di uso e accesso alle risorse in crimini. In Italia, e in genere in Europa, l’idea di natura selvaggia era molto meno presente. Un paese di antico popolamento e sovraffollato, con una stratificazione di culture e civilizzazioni, non lasciava grande spazio alla natura selvaggia. Da questo punto di vista, le montagne costituirono a lungo l’ultimo lembo di wilderness in un continente come quello europeo. E comunque l’idea di una natura selvatica non ha sempre avuto in valore positivo; da questo punto di vista, comunque la si voglia pensare, la wilderness è una invenzione culturale, almeno sul piano dei significati che ad essa si vogliono attribuire. In Italia, storicamente, è sempre stato il paesaggio ad incarnare l’ideale di bellezza della penisola. Non mi voglio imbarcare in una discussione su cosa sia il paesaggio e le sue relazioni con altri concetti come quello di natura e ambiente; certo a me pare che il concetto di paesaggio sia il più antropico, incorporando in esso una più alta percentuale di lavoro umano. Dentro il paesaggio si mescolano culture, saperi, ma anche relazioni di potere e rapporti di produzione: non possiamo, forse, distinguere il paesaggio del latifondo, quello della mezzadria, quello delle Regole alpine e via distinguendo?
Più diffusamente:
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I was having fish n chips with my dad this week. He had cod, I had plaice. He said: good cod! I said, space is the plaice! - Sun Ra