Se è possibile che Sciascia abbia preso delle cantonate in vita sua, è fuori questione che possa averlo fatto per interesse o per una qualche tendenza a seguire la scia del più forte: posso affermarlo con sicurezza.
Se qualche volta gli capitò di sbagliare - laddove lo sbaglio fu palese e in qualche modo da lui riconosciuto - fu proprio per l'automatica tendenza a criticare l'opinione più diffusa e l'asfissiante retorica che quasi sempre accompagna i momenti di comune sentire, anche i meglio ispirati.
Nella vicenda Dalla Chiesa molti elementi erano in gioco: una certa concezione della situazione politica del momento, una certa concezione del diritto, una certa concezione di cosa fosse la mafia in quel momento, una certa concezione della figura di Dalla Chiesa. Sarebbe lungo rievocare il tutto ma mi permetto di consigliarti più lunghi tempi di elaborazione su questa vicenda e su Sciascia in particolare.
Mentre finisco di scrivere questo post leggo il tuo secondo intervento ("Sciascia odioso - figlio affranto"). Ribadisco quanto scritto sopra. E con maggior forza ti invito a ricostruire, se ne hai voglia, i tasselli della vicenda: Nando Dalla Chiesa agì in maniera sconsiderata. E, ricordo, rappresentava l'opinione della maggioranza, numerica ed emotiva, dell'italia di allora. Sciascia difendeva l'idea che la retorica dell'antimafia non dovesse né potesse intaccare il diritto, lo spaventava il ricorso ai poteri straordinari nelle mani di un singolo servitore dello stato - come era accaduto col prefetto Mori sotto il fascismo. A torto o a ragione, questo era il suo pensiero.
Nando Dalla Chiesa lo accusò di fare il gioco della mafia, e di aver avuto contatti con dei mafiosi. Accuse infondate e gravissime.
Precisamente ciò che Sciascia temeva, e che denuncerà anche in seguito: l'accusa di mafia come arma retorica, come arma politica.
@Anton.
No, m' s'ddiu.

(trad: non ne ho voglia)