Quando l'amico ti chiede dritte sulle troie di Milano...

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andrew
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#211 Messaggio da andrew »


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Confessor
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#212 Messaggio da Confessor »

altezza mezza bellezza! :D

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#213 Messaggio da balkan wolf »

nel privato o in caso di escort sono diverse ?

bof armag qui è veramente troppo troppo sogettivo ed è stupido abbinare a un popolo un talento sessuale .... non si puó fare un discorso "sciiiientifico" :-)

volendo proprio banalizzare le slavotte sono meno intraprendenti delle occidentali ( poca iniziativa e un pó robotiche ) peró sono più energiche ( la trombata super strong è uno standard )...

quindi non saprei direi gusto personale

sulla pura tecnica è un fatto fisiologico le slave trombano tanto ( soprattutto le troie e proto-troie per ovvi motivi ) quindi mediamente sono più tecniche... peró anche qui è un fatto individuale prendi l'itaGliana che tromba tanto ed è uguale la razza non centra
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Romeo
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#214 Messaggio da Romeo »

Tipica ragazza con patrimonio genetico del gruppo russo-europeo:

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#215 Messaggio da Romeo »

Ragazza con patrimonio genetico russo-siberiano

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Xenon
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#216 Messaggio da Xenon »

Allora devo tirare fuori la mia Katia!

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#217 Messaggio da Squirto »

Xenon ha scritto:Allora devo tirare fuori la mia Katia!

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interessante.... metti link 8)
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#218 Messaggio da Xenon »


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#219 Messaggio da Drogato_ di_porno »

Per tutti gli appassionati del meccanicismo biologico.

Ariani, indogermani, stirpi mediterranee: aspetti del dibattito sulle razze europee (1870-1914)
Andrea Orsucci *

A. Orsucci, «Ariani, indogermani, stirpi mediterranee: aspetti del dibattito sulle razze europee (1870-1914)», Cromohs, 3 (1998): 1-9,


1. I progressi dell’antropologia fisica, disciplina soggetta ad impetuoso sviluppo negli ultimi decenni del secolo scorso, suscitano ampie e accanite discussioni, di cui resta traccia, all’epoca, nei più diversi ambiti disciplinari. Il confronto sulle etnìe e sugli ‘indici cefalici’ finisce per ripercuotersi, ad esempio, anche nel campo delle interpretazioni del mondo ellenico. Nel 1875 Nietzsche, intento a far vedere quanto sia vacua la Grecia classica e ‘rassicurante’ di filologi e wagneriani, sostiene perentorio l’origine ‘mongolica’ dei Greci [1]. Naturalmente non lavora d’immaginazione, ma trascrive fedelmente quanto trova nel testo di un erudito inglese, J. W. Draper, allora alquanto noto [2]. Nel 1896 Vacher de Lapouge, banditore della supremazia ‘nordica’, presenta invece i Greci come ‘dolicocefali biondi’ di discendenza ariana [3]. A sua volta Angelo Mosso osserva, alcuni anni dopo, quanto poco riesca la scienza a "provare, come vuole il Lapouge, che gli Elleni appartenessero ad una razza che veniva dal Nord" [4]. La tesi proposta, anche in questo caso, assomiglia tuttavia, più che a un’ipotesi scientifica, a una professione di fede: "L'antropologia ci mostra che i Greci antichi [...] appartenevano alla razza mediterranea" [5].

Dopo il 1870-71, come conseguenza del conflitto tra francesi e tedeschi, divampa all’improvviso, in tutto il continente, la discussione sulla ‘razza’ e sui fondamenti ‘etnici’ della civiltà . Si moltiplicano, a partire da questa data, gli sforzi per decifrare "l’oscuro caos dell’etnologia primitiva dell’Europa" [6], andando alla ricerca di ascendenze razziali nobili, cercando di stabilire, tra celti e germani, tra ariani e slavi, tra popoli nordici e stirpi mediterranee, gerarchie e rapporti di filiazione che sappiano legittimare, grazie ai risultati della scienza antropologica, ambizioni egemoniche e bórie nazionalistiche. Nel dibattito, aspro e confuso, le prese di posizione di naturalisti e scienziati, anch’esse non estranee, come attestano sia Virchow che de Quatrefages, alle esigenze del momento [7], si intrecciano alle riflessioni di filologi, archeologi e glottologi come Paul Kretschmer, Salomon Reinach e Sophus Mà¼ller, e si confondono poi con i proclami e le ‘rivelazioni’ che annunciano, con voce altisonante, letterati e ‘filosofi’ al seguito di Karl Penka, di Giuseppe Sergi o di G. Vacher de Lapouge.

La confusione delle lingue, nella disputa sulla ‘questione ariana’, cresce ben presto a dismisura. Nello sforzo di mostrare che gli ariani non sono "soltanto una costruzione dello spirito" [8], antropologi e antichisti ‘scoprono’ la loro patria d’origine nelle terre più diverse, ritrovandola, di volta in volta, nella penisola scandinava o nella regione baltica, nelle steppe della Russia meridionale o nell’Europa centrale. I "romanzi preistorici" [9] e i "giuochi di fantasia" [10] si moltiplicano anche a proposito dell’originaria costituzione fisica del ‘tipo ariano’: nello scontro tra studiosi tedeschi e francesi, inglesi e italiani, si finisce per considerare "ora i biondi Germani come veri arii, ora i bruni e brachicefali Celti, ora i Lituani" [11]. Predomina comunque la convinzione, salvo rare eccezioni, che gli Indogermani non rappresentino una finzione, ma siano effettivamente, agli albori della storia, una razza ben distinta, con lingua e cultura unitaria. Ancora negli anni ’90, nota il filologo Paul Kretschmer non senza ironia, gli eruditi si affannano e si dividono "sulla questione, se questo popolo originario [...] già  lavorasse la terra, se conoscesse e facesse uso dei metalli, [...] e addirittura in quale forma metrica componesse i suoi semplici canti" [12].

Non mancano nemmeno, a conferma del disordine imperante, abiure e ritrattazioni, talvolta clamorose. Max Mà¼ller, ad esempio, discorre per primo, nel 1861, di "razza ariana" [13], contribuendo al diffondersi di pericolose confusioni tra linguistica ed antropologia. Ma nel 1888 lo stesso autore, volendo espiare eroicamente " come scriverà  poi un antropologo americano [14] " i peccati di gioventù, decide di prender partito contro le ambiguità  del linguaggio scientifico corrente: "A mio avviso, l’etnologo che parli di una razza ariana, di un sangue ariano [...], è un peccatore non meno grande del linguista che parli di un dizionario dolicocefalo o di una grammatica brachicefala" [15].

2. Un’improvvisa svolta, negli indirizzi di ricerca, si verifica dunque verso il 1870. Il glorioso princìpio, carico di suggestioni, ex oriente lux, irrinunciabile punto di riferimento per generazioni di studiosi, da Friedrich Schlegel a Christian Lassen, da Adalbert Kuhn ad Adolphe Pictet, cade d’un tratto in discredito. Antropologi e linguisti, ancora intenti a riscoprire il ‘paradiso terrestre’ degli antichi ariani, non guardano più alla mitica Battriana o agli altopiani del Pamir, ma preferiscono prendere in considerazione, al momento in cui "lo sciovinismo si intromette nella questione" [16], le contrade europee.

Metodi e apporti della ‘paleolinguistica’ vengono adoperati, intorno al 1871, per far vedere come il luogo d’origine degli indoeuropei vada ricercato in terra tedesca [17], oppure nelle pianure dell’Europa centrale [18]
. Le nuove congetture, che pure rappresentano "il più violento rovesciamento delle opinioni finora accettate" [19], suscitano all’epoca molto clamore, ma solo in rari casi vengono seriamente avversate [20].

Che gli ariani non discendano da genti asiatiche, viene affermato, nel 1878, anche da Theodor Poesche, docente di antropologia a Jena. Quest’autore, sostenitore convinto del poligenismo di Louis Agassiz, da un lato rifiuta di credere che i diversi tipi umani siano " come vogliono i darwiniani " varietà  della medesima specie, dall’altro dichiara guerra al concetto di ‘razza caucasica’ (Blumenbach) [21]. Sostiene inoltre, citando le indagini di A. Ecker, indiscussa autorità  della craniologia tedesca del tempo, che "gli antichi Germani erano dolicocefali puri" [22]. Respinge quindi con decisione "l’ipotesi di Virchow di una mescolanza originaria dei tipi negli ariani" [23].

Compare per la prima volta sulle scene, con la monografia di Poesche, una nuova specie animale, la "razza bionda", originaria nelle paludi della Lituania " vera e propria "placenta della razza ariana" [24] " e del tutto priva di commistioni con elementi ‘turanici’ ed asiatici. Una stirpe inconfondibile " figura massiccia e spiccata dolicocefalia, occipite prominente e fronte bassa, incarnato chiaro " acquista finalmente dignità  tassonomica.

Nella comunità  scientifica, lo scritto di Poesche, che si sofferma anche su Gobineau, non suscita affatto disprezzo o ironia. Ne discorrerà  con benevolenza, sulle pagine del prestigioso Archiv fà¼r Anthropologie, lo stesso Ecker [25].

Pochi anni dopo, nel 1883, anche Karl Penka, un antichista viennese che si diletta di antropologia, proclama, contro Pictet e la linguistica del primo Ottocento, l’origine europea della stirpe ariana. La loro terra d’origine non sarebbe la regione balcanica, come voleva Poesche, ma la penisola scandinava. Un ambiente oltremodo ostile, spietato nell’imporre, in termini darwiniani, la sopravvivenza del più forte [26], avrebbe temprato il "tipo germanico-scandinavo", rappresentato da schiere di "dolicocefali biondi" destinate poi ad assoggettare, muovendosi per ondate successive, gran parte del continente [27]. Nelle loro peregrinazioni verso Sud, i conquistatori nordici avrebbero perso, in parte, la loro purezza etnica, incrociandosi e confondendosi sia con una razza semitica e dolicocefala (il ‘tipo di Cro-Magnon’), diffusa nell’Europa meridionale ma intenta a migrare in epoca neolitica verso settentrione [28], sia con popolazioni ‘mongoliche’ e brachicefale di provenienza asiatica. La ‘razza bionda’ avrebbe comunque promosso la civiltà  nel bacino mediterraneo. Gli stessi Elleni, a giudizio di Penka, sarebbero ariani, con la sola eccezione, peraltro scontata, di Socrate, la cui effìgie "mostra un tipo spiccatamente brachicefalo" [29].

3. Le speculazioni sulla ‘razza nordica’ avanzate, a partire dai primi anni ’70, da linguisti, filologi e letterati, stentano a trovar conferma nelle indagini dei più accreditati antropologi dell’epoca. Tra antichistica e ‘scienza della natura’ sembra aprirsi, a proposito della ‘questione ariana’, un solco pressochè invalicabile.

Soprattutto nel 1885-86, ormai diffusi i risultati della grande inchiesta, promossa da Virchow, sui caratteri antropologici dei tedeschi, il confronto diventa particolarmente aspro.

A Berlino, nel 1870, si costituisce la Deutsche Gesellschaft fà¼r Anthropologie, Ethnologie und Urgeschichte. L’anno successivo, in occasione della prima assemblea generale, viene decisa un’indagine sistematica, da riassumere in tabelle statistiche, della conformazione cranica della popolazione. Nel congresso tenuto a Stoccarda nel 1872 si stabilisce, su proposta di Ecker, di privilegiare nell’inchiesta altri parametri, e cioè "la statura, [...] il colore degli occhi e dei capelli" [30]. Le conclusioni della ricerca, rese note da Virchow in forma integrale verso il 1885, suscitano non poco clamore. Gli stessi antropologi parlano, all’epoca, di "risultati sorprendenti" [31]. Dalla statistica, in effetti, emerge un dato di fatto inatteso: "In molti punti dell’Europa centrale compaiono ‘territori di razza scura’, e contro tutte le aspettative proprio laddove si supponevano innanzittutto discententi della razza chiara" [32].

La scienza naturale, insensibile al fascino del mito, sembra arrecare un duro colpo alle aspettative dei filologi: nella popolazione tedesca il ‘tipo biondo’, prevalente al Nord, rappresenta meno di un terzo della popolazione, mentre le forme intermedie, e cioè "l’insieme di quelle combinazioni in cui il tipo non si presenta in tutta la sua purezza", costituiscono più della metà  del totale [33]. Significativa è anche la distribuzione territoriale. Il ‘tipo bruno’, che discende da più antichi insediamenti, viene ad occupare gli ambienti di maggior dinamismo sociale. La sua percentuale tende a crescere sia nelle regioni fluviali, in prossimità  di grandi fiumi navigabili, sia nelle moderne metropoli: "Estremamente numerose sono le città  medie e grandi [...] in cui la proporzione dei bruni è maggiore che nei circostanti territori di campagna" [34]. L’unica ‘razza pura’ presente nel territorio tedesco, nota Virchow, è costituita dagli ebrei [35], certo non dai tedeschi, che non presentano, nella loro grande maggioranza, i ‘caratteri semplici’ della stirpe germanica, ma risultano da complessi incroci con razze celtiche o con popolazioni autoctone preariane [36].

Allorchè Virchow riassume l’esito dell’inchiesta, parlando dalla tribuna del congresso degli antropologi tedeschi tenuto nel 1885 a Karlsruhe, non tralascia l’occasione per denunciare le nuove ‘mitologie nordiche’. Le più diverse razze, osserva l’antropologo in quest’occasione, possono presentare tratti somatici del tutto simili. Chi studi la popolazione finnica, la quale, pur essendo di origine asiatica, probabilmente mongola, mostra una complessione "germanica" pressochè perfetta, dovrà  pur riconoscere quanto sia erroneo "scorgere nell’aspetto biondo una prerogativa esclusiva della razza ariana o addirittura dei Germani" [37].

Nel medesimo congresso prende la parola anche un giovane antropologo, Ludwig Wilser, per sostenere, riallacciandosi alle tesi di Penka, che i Germani, stirpe dei climi freddi, originaria della penisola scandinava, avevano rappresentato "l’ultimo nucleo razzialmente puro dell’originario popolo ariano" [38]. Simili affermazioni provocano un’aspra replica di Virchow, il quale interviene prontamente per ricordare quanto siano nocivi, nella ricerca scientifica, "patriottismo" ed "entusiasmo impetuoso" [39]. E ribadisce di nuovo, contro Wilser, che anche gli antichi Germani erano una popolazione composita, da indagare quindi nella varietà  delle sue forme, senza nulla concedere a forzature o semplificazioni [40].

Tra i collaboratori di Virchow si distingue, negli ultimi due decenni del secolo, J. Kollmann, docente di antropologia a Basilea. A suo giudizio, non è più lecito, dopo la grande inchiesta degli anni ’70, continuare a parlare, come avveniva in precedenza, "di razze germaniche, latine e slave" [41]. Bisogna infatti ammettere, scorrendo le nuove tavole statistiche, che "i popoli d’Europa, che finora, in quanto tedeschi, inglesi, francesi, italiani [...], valevano, per antropologi ed etnologi, come razze unitarie, non appartengono in alcun modo a razze distinte, ma rappresentano la mescolanza di diverse razze" [42].

Se non esistono ‘tipi puri’, ribatte Kollmann in molte occasioni, non vi sono nemmeno elementi etnici che possano ‘spiegare’, come molti vogliono, il primato della civilizzazione europea. Anche l’antropologo, in definitiva, deve riconoscere che "razza e civiltà  non si trovano, almeno in Europa, in alcun rapporto di causalità  reciproca [...]. In base ai risultati della craniologia, occorre allora [...] combattere qualunque teoria circa la superiorità  di questa o di quella razza europea" [43].

Che sia necessario, per difendere il ‘mito ariano’, respingere i risultati dell’inchiesta pubblicata nel 1885-86, risulta ben presto chiaro. Houston Stewart Chamberlain denuncia, nel ‘libro sacro’ del pangermanesimo, le "ben note frasi vuote, dei signori scienziati [...], sull’eguaglianza delle razze umane", utilizzate di continuo per non dover parlare di "trasmigrazioni dei popoli, [...] nazionalità , [...] diversità  nelle predisposizioni" [44]. L’atto d’accusa, in questo caso, non risparmia il "povero Virchow" [45], ma le battute più astiose sono riservate a Kollmann, colpevole di aver affermato l’irrilevanza intellettuale delle differenze etniche [46].

4. Le prese di posizione di Virchow non tardano a ripercuotersi nelle discussioni di linguisti e filologi. Ne tiene conto Otto Schrader, nella seconda edizione (1890) dello scritto Sprachvergleich und Urgeschichte, un testo assai importante per il dibattito successivo [47], in cui vengono criticate con dovizia di argomenti sia le recenti ‘mitologie nordiche’ degli eruditi tedeschi che le più vecchie vedute di Pictet.

Mentre Penka nel 1883 descrive il "tipo germanico-scandinavo", stirpe dotata di caratteri somatici inconfondibili, Schrader nel 1890 si appoggia a Virchow, di cui apprezza la "ponderata cautela", per mostrare l’inconsistenza delle speculazioni, condivise da molti filologi, sull’antropologia fisica degli ariani [48]. Anche in anni successivi Schrader torna sull’argomento: le congetture e le ipotesi ‘biologiche’ di linguisti e archeologi, afferma nel 1901, "si infrangono contro il semplice dato di fatto che gli indogermani, in senso antropologico, non sono affatto una razza" [49]. A suo giudizio, inoltre, le antiche stirpi che parlavano l’originario idioma indoeuropeo erano probabilmente, in base ai risultati offerti dalla comparazione linguistica, nomadi dediti in primo luogo all’allevamento del bestiame, provenienti dalle steppe della Russia meridionale [50].

A partire da queste conclusioni, condivise da Eduard Meyer [51], una furiosa "lotta per la patria d’origine" [52] degli ariani torna di nuovo a divampare. L’ipotesi nordica viene riproposta, intorno al 1905, dal filologo H. Hirt e dall’archeologo M. Much [53]. Quest’ultimo, in particolare, lascia scorgere quanto pesi ancora la condanna del ‘nomade’, alla fine dell’Ottocento, nel campo degli studi classici e dell’archeologia: il nomadismo, che insegna ad essere o rassegnati o troppo scaltri, a disprezzare comunque previdenza e laboriosità , viene ritenuto una forma di vita confacente a mongoli e semiti, ma da sempre estranea alla tradizione degli indogermani [54].

Con tutta la sua opera, in definitiva, Schrader "reagisce energicamente alla tendenza, da molto tempo dominante in Germania, a presentare nei colori più seducenti la primitiva razza indoeuropea" [55]. In questa battaglia non resta comunque, all’epoca, una figura isolata. L’antichista Victor Hehn sostiene posizioni simili [56]. L’etnologo Robert Hartmann propone di bandire la definizione ‘ariano’ dall’antropologia [57]. Il giurista e storico del diritto Rudolph von Jhering manifesta analoghe perplessità : "Il termine ‘indogermanico’, che si adopera di solito in Germania, è del tutto illegittimo" [58].

5. A Paul Kretschmer, un linguista che segue con attenzione le ricerche degli antropologi, spetta il merito di aver efficacemente contrastato, nella cultura tedesca degli anni ’90, il ‘partito nordico’ di Poesche e di Penka. Il suo testo del 1896 passa in rassegna, nella parte introduttiva, gli orientamenti che hanno prodotto, come noterà  poi uno studioso italiano, una "vera e propria bancarotta della paleolinguistica" [59]. Gli antichisti tedeschi, nota Kretschmer, peccano di presunzione, ritenendo che sia possibile descrivere con sicurezza, a partire da alcune radici linguistiche comuni, l’originaria ‘cultura materiale’ degli indogermani [60]. Compiono poi una seconda mistificazione, presumendo che l’affinità  linguistica, la parentela tra il sanscrito e la maggior parte degli idiomi europei, possa valere come conferma piena della primitiva unità  non solo culturale, ma anche razziale degli indogermani.

La Sprachwissenschaft, intenta a pontificare sui dolicocefali e sulla ‘razza bionda’, ritiene di acquistare legittimità  e rigore appoggiandosi agli studi di etnografia. La craniologia sembra allora offrire un solido fondamento ai miti razziali dei filologi. La convalida ‘scientifica’ si risolve tuttavia in un mero esercizio retorico, dal momento che all’antropologia "non è riuscito individuare, nel cranio umano, un contrassegno decisivo [...] per i rapporti genealogici dei popoli [...]. Qualsiasi separazione delle forme craniche sarà  sempre, in misura maggiore o minore, artificiale" [61].

Il linguista Kretschmer, che non ignora il confuso avvicendarsi delle ‘riforme craniometriche’ e il profondo disaccordo degli esperti sulle misure cefaliche da prendere in esame, non esita a dichiarare che "tutte quante le espressioni come ‘dolicocefali’ e ‘brachicefali’ non sono altro che comodi luoghi comuni per render possibile un immediato, grossolano orientamento: un significato storico-etnologico non puó, per il momento, venir loro assegnato, [...] questa è adesso [...] anche l’opinione di una gran parte degli antropologi" [62].

Le dispute tra filologi vengono ora combattute sul terreno della Naturwissenschaft. A Penka e i ai suoi seguaci, che dell’indice cefalico fanno una ‘verità  rivelata’, Kretschmer ricorda lo scetticismo e le incertezze degli studiosi di craniologia. Gli argomenti di cui si serve sono ricavati per un verso da Virchow, che non crede affatto che la forma cranica sia un valido criterio tassonomico [63], per un altro verso da Aurel von Tà¶rok, direttore del museo antropologico di Budapest, che redige, nel 1895, una vera e propria dichiarazione di fallimento della disciplina [64].

6. La distinzione fra razze brachicefale, come Lapponi e Finni, Baschi e Liguri, e razze dolicocefale, come Celti e Germani, veniva a coincidere, a partire da Anders Retzius (1842), con quella tra etnie ‘turaniche’ o ‘mongoloidi’ (la prima definizione era preferita dai linguisti, la seconda dagli antropologi), residenti da tempo immemorabile sul suolo europeo, e stirpi ariane, assai più progredite, fornite di idiomi imparentati al sanscrito, giunte dall’Asia in epoca relativamente tarda [65].

Negli anni ’50 la teoria di Retzius, "assai semplice e assai seducente, venne accettata [...] da quasi tutti gli antropologi" [66]. Ma nel decennio successivo si verifica un profondo rivolgimento delle prospettive. La coincidenza di ‘dolicocefalo’ ed ‘ariano’, scontata per Retzius e per i suoi seguaci, viene messa in discussione.

Broca osserva che i Baschi, che pure parlano una lingua ‘turanica’, non sono affatto brachicefali: la scoperta, all’apparenza marginale, scuote in realtà  un pilastro fondamentale della vecchia teoria [67]. Nello stesso tempo, grazie a nuovi ritrovamenti " nel 1856 viene scoperto il celebre cranio di Neanderthal, mentre gli studi sull’uomo di Cro-Magnon si susseguono a partire dal 1868 " si finisce per ammettere che le più antiche popolazioni europee, che avrebbero dovuto essere brachicefale, presentano in realtà  una marcata dolicocefalia. I risultati delle nuove ricerche, pubblicati poi in forma sistematica da Hamy e De Quatrefages, mostrano quindi chiaramente che "i supposti invasori ariani erano, in realtà , i primi abitanti d’Europa" [68].

Le vecchie vedute di Retzius, riprese in Francia da Pruner-Bey e (solo in un primo momento) da De Quatrefages, in Italia da Nicolucci [69], vengono capovolte: gli uomini diffusi, in epoca neolitica, in gran parte del continente, non assomigliano in alcun modo alle popolazioni lapponi, e nemmeno presentano tracce di un’origine mongolica.

Il nuovo indirizzo di ricerca, in cui si inseriscono anche autori italiani [70], incide in profondità  nel dibattito intorno alla razza indogermanica. Per spiegare il marcato incivilimento verificatosi, nel continente, dopo l’età  paleolitica, vengono proposte nuove ipotesi: non più la discesa verso Sud di genti nordiche, ma l’irruzione sullo scenario europeo di una nuova stirpe proveniente dall’Est, il ‘tipo alpino’ o celto-slavo, distinto da spiccata brachicefalia. àˆ questa, per la ‘scuola francese’, la ‘razza ariana’, cui si deve la diffusione delle lingue indoeuropee. Nei testi di De Quatrefages, di De Mortillet e dei loro seguaci "i brachicefali [vengono] presentati come i primi civilizzatori dell’Europa" [71]: non sono più considerati, come in molte opere tedesche, stirpi "sottomesse" che subiscono passivamente la tirannia dei dolicocefali "conquistatori e padroni" [72]. Al ‘tipo celto-slavo’, riguardato adesso "come la spina dorsale del complesso etnico indo-europeo" [73], si attribuiscono i progressi nella lavorazione dei metalli durante l’età  del bronzo, l’organizzazione di complicati sistemi di traffici e commerci, l’introduzione sul suolo europeo di piante e animali domestici provenienti dall’Oriente [74].

In questa prospettiva, che costituisce una profonda ‘trasvalutazione dei valori’ per l’antropologia del tempo, si inseriscono ben presto nuovi contributi. L’originalità  della più antica cultura mediterranea, che non deve alcunchè ad invasioni nordiche, viene sottolineata, negli anni ’90, "da un nuovo indirizzo, [...] rappresentato principalmente dal Reinach in Francia e dal Sergi in Italia" [75]. Allo studioso italiano, in particolare, spetta il merito di aver scritto, tra il 1895 e il 1898, l’ultimo ‘romanzo preistorico’ del secolo. Giuseppe Sergi, docente di antropologia a Roma, non si stanca di mettere in rilievo, in polemica con Poesche e con Penka, i meriti della "grande stirpe mediterranea", capace non solo di creare la civiltà  micenea, ma anche di popolare, con insediamenti assai progrediti, gran parte del continente.

Per Sergi, che segue Broca e i suoi allievi, "il tipo germanico [...] non è ario, come non è ario quello italico" [76]. La dolicocefalia, comune a entrambi, assai diffusa nei paesi nordici ma anche nel meridione d’Italia, contrassegna un’unica specie: "non rimane alcun dubbio che l’Europa occidentale fin dai primi tempi sia stata abitata da stirpe d’origine africana" [77].

Le invasioni degli ariani, che sono per Sergi, in accordo coi risultati della scuola francese, gruppi brachicefali celti e slavi, rappresentano "una grande catastrofe", che finisce per interrompere "l’evoluzione della civiltà  mediterranea, che era fiorentissima" [78]. Certo, il bronzo arriva in Italia con le invasioni ‘ariane’ (i Veneti e gli Umbri), ma le antichissime genti mediterranee (i Liguri) già  sapevano forgiare il rame "anteriormente ad ogni invasione aria" [79]. I nuovi dominatori, del resto, "non ebbero ceramica propria" [80], e nemmeno grandi capacità  nell’edificare, tanto che finirono per far proprie "le sedi dei Liguri, cioè le palafitte d’ogni forma, lacustri e terrestri" [81]. Soprattutto il culto dei morti, ripete Sergi con grande enfasi, mostra la superiorità  delle genti pre-ariane. La stirpe mediterranea praticava infatti "il rito funerario dell’inumazione con sepolture in grotte artificiali, in tumuli, in dolmen", mostrando "forme e modi molto più avanzati dell’uso degli Arii", i quali, avvezzi alla cremazione, "quando giunsero in Europa [...] avevano sepolture misere e vasi rozzissimi per cinerari" [82].

7. Un nuovo terreno di scontro si apre, per l’antropologia europea, negli anni in cui Sergi pubblica i suoi scritti. Da un lato cresce il convincimento che stirpi celte e slave, appartenenti comunque al ‘tipo brachicefalo’, abbiano giuocato, nel diffondere le lingue indoeuropee e nel far conoscere i metalli, un ruolo decisivo. Dall’altro, in opposizione alla ‘scuola francese’, si intensifica, nello stesso arco di tempo, la retorica del germanesimo. Scrive Otto Ammon nel 1893: "Come tutti gli ariani, i Germani sono i naturali dominatori di altri popoli. Ovunque compaiano, sono [...] gli strati socialmente privilegiati. La vita signorile corrisponde alla loro indole; il gioco, la caccia e la guerra riempiono il loro tempo" [83]. Si distinguono per il valore e la monogamia (e dunque non possono provenire dall’Oriente), inclinano all’eroismo e alla dissipazione. Opposte sono le inclinazioni dei ‘turanici’, degli aborriti brachicefali (che pure predominano non solo in terra francese, ma nella stessa Baviera): calcolatori e pazienti, disciplinati e abili, riescono egregiamente "nel commercio e nelle imprese finanziarie, sono ottimi contadini, operai e mercanti, ed inoltre, il più delle volte, sudditi acquiescenti" [84].

Anche per Lapouge, egualmente impegnato nelle ricerche di ‘antroposociologia’, le genti brachicefale possono essere "dei piccoli commercianti e dei piccoli borghesi, ottusi ma morigerati", mentre "la razza ariana o dolicocefala [...] svolge, nell’organismo sociale, la funzione delle molecole nervose e cerebrali", avendo un’innata disposizione al comando [85]. All’ardimento si accompagna comunque, in questo tipo antropologico, una scarsa capacità  d’adattamento. La terra d’origine degli ariani, che Lapouge rintraccia nelle umide zone costiere bagnate dal mare del Nord, puó spiegare la singolare commistione di audacia e fragilità . Resta indelebile, nel loro aspetto, "l’influenza di un ambiente marino, saturo d’acqua, privo di luce", segnato da brume e nebbie perenni, mai scosso da improvvisi sbalzi di temperatura [86]. Saranno quindi sconfitti, in prospettiva, dai brachicefali asiatici, "formidabili nella loro mediocrità ", dotati di spiccato spirito gregario, favoriti da una "speciale attitudine a saldarsi in pesanti e immobili collettività " [87].

Questo quadro interpretativo sarà  rielaborato e riproposto, nel primo decennio del nuovo secolo, da molti autori. Matthaeus Much, illustre archeologo, concede ad esempio a Sergi, nel 1905, che la ‘razza mediterranea’ abbia contribuito non poco, a suo tempo, all’incivilimento del continente, facendo conoscere agli ariani del Nord, comunque più progrediti, non solo miglio e lino, frumento e orzo, ma anche molti utensili in metallo. Se tra mediterranei e indogermani esiste, a suo avviso, una "stretta parentela" anche antropologica, ben diversi sono invece i discendenti degli invasori ‘orientali’ (Homo alpinus per Lapouge), vera e propria razza inferiore: "Dal punto di vista culturale, questa scura razza brachicefala, ancor oggi enigmatica, sembra aver giuocato un ruolo assai secondario" [88]. Anche Willibald Hentschel, banditore di una nuova ‘utopia germanica’, si esprime, nel 1907, in termini analoghi: "Il turanico sembra [...], secondo il detto di Gobineau, un esperimento malriuscito del creatore" [89].

8. Tra i suoi avversari, "i partigiani dell’identificazione degli ariani con i brachicefali neolitici", Vacher de Lapouge annovera Mortillet e Topinard, Sergi e Ripley. Quest’ultimo, un antropologo americano, pubblica nel 1899 un’ampia monografia sulle etnie europee. L’opera, che vuol mostrare quanto sia pericoloso "ricercare correlazioni tra antropologia fisica e linguistica" [90], e dunque confondere razza e cultura, svolge una serrata critica dei ‘miti ariani’ e delle dottrine della superiorità  tedesca. A cagione di questo suo orientamento, sarà  apprezzata e più volte ripresa, in Italia, da autori come Colajanni, Mosso e De Michelis.

Ripley afferma, in polemica con i ‘pangermanisti’, che orientamenti psichici e valori intellettivi non hanno alcun rapporto con forma e grandezza del cranio [91]. Ricorda poi, misurandosi di nuovo con i partigiani del ‘tipo nordico’, come riscuota sempre più credito, negli anni ’90, l’ipotesi che le diverse forme dolicocefale presenti sul suolo europeo abbiano, in realtà , una comune origine meridionale. àˆ ormai opinione diffusa, grazie anche alle ricerche di Sergi, che nell’intero continente, da Gibilterra alla Danimarca, "la popolazione neolitica [avesse] non solo testa allungata, ma anche complessione scura". Nei Berberi dell’Africa settentrionale, simili agli scandinavi nell’indice cefalico, dobbiamo scorgere, a parere di Ripley, le stirpi "che meno si sono allontanate dal tipo europeo originario", gli antenati da cui provengono gli stessi Germani [92].

L’insigne albero genealogico degli ariani perde così tutto il suo splendore. La magnificenza degli inizi sarebbe soltanto, suggerisce Ripley, l’abile contraffazione di un falsario. Anche la ‘razza bionda’ sembra discendere da umili stirpi berbere nordafricane. Il disonore dell’origine resta inciso nella struttura ossea, nella dolicocefalia: i caratteri più appariscenti del tipo " incarnato chiaro, occhi cerulei, capelli biondi " risultano probabilmente dall’adattamento a nuovi climi [93].

Assiene a Ripley, acquista notorietà  anche l’archeologo danese Sophus Mà¼ller, nel primo decennio del secolo, come critico delle idee di Penka e di Wilser.

Secondo Matthaeus Much, figura di primo piano nell’archeologia tedesca dell’epoca, l’evento più rilevante, agli albori della civiltà  europea, era stata la migrazione verso Sud di stirpi indogermaniche, già  entrate in epoca neolitica, le quali finiscono per assoggettare ed incivilire popolazioni ancora ferme, in Italia come in Francia, ad una cultura paleolitica [94]. A giudizio di Sophus Mà¼ller, il quale pubblica nel 1905 un testo che avrà  una certa risonanza, il Nord europeo conosce, in epoca preistorica, solamente "culture periferiche", che riprendono, semplificano ed impoveriscono quanto già  da tempo si era affermato nel bacino mediterraneo. In polemica con i sostenitori del ‘germanismo razziale’, Sophus Mà¼ller ribadisce che, volendo ignorare gli insedimenti, già  molto progrediti, posti fra la penisola italica e l’Asia minore, "l’età  della pietra e del bronzo non solo del Nord, ma di tutti i territori europei a settentrione dei paesi mediterranei, resta incomprensibile" [95]. Con le tombe a cupola di epoca premicenea e micenea, espressioni di una civiltà  che già  conosce il bronzo, si afferma un modello architettonico, incarnato in forma classica dalla camera del tesoro di Atreo, che si diffonde poi, secondo Sophus Mà¼ller, in tutto quanto il Nord europeo. Si compie, in tal modo, la sovrapposizione e la mescolanza di tempi storici diversi: "la vecchia cultura dell’età  della pietra, al Sud da gran tempo superata, si incontra al Nord con una forma architettonica che proviene dall’epoca greca del bronzo, altamente progredita" [96]. Da ció puó risultare, prosegue lo studioso danese, una sottile illusione ottica: si finisce per ritenere, rovesciando il corso effettivo dell’incivilimento, che i tumuli nordici a cupola, nei quali si trovano reperti in pietra, siano più antichi di quelli mediterranei, del tutto simili ma forniti di manufatti in metallo [97]. Le sue conclusioni, respinte dagli antichisti tedeschi, riprese invece con soddisfazione in Italia, sono perentorie: "Risulta evidente quanto poco sia giustificato il parlare di antichità  germaniche originarie" [98].

9. Nella cultura italiana, la "reazione contro l’indogermanismo" [99] trova numerosi e convinti sostenitori. Sulla sua rivista, Paolo Mantegazza esibisce grande cautela: a proposito della questione ariana proclama un suo personale ignorabimus, criticando duramente sia le idee di Poesche, sia la teoria di Penka, che pure "è suffragata dall’opinione di un grande craniologo, l’Ecker", e viene riproposta da "un grande archeologo, il Lindenschmidt" [100]. In epoca successiva, si mostra beffardo nei confronti del Sergi, del quale apprezza soprattutto "il coraggio nel camminare fra le tenebre". Il suo punto di vista resta immutato: "Le nostre conclusioni sono queste: [...] che se esistono lingue arie, la scienza non ha diritto di fare degli Arii una razza e neppure una famiglia di razze affini" [101].

Contro Ammon e Vacher de Lapouge scende in campo, nel 1903, anche Napoleone Colajanni: "L’antroposociologia dilaga maledettamente [...]. Gli indici cefalici negli ultimi anni assumono l’importanza e la popolarità  ch’ebbero altre volte la frenologia di Gall e l’angolo facciale di Camper. Avranno inesorabilmente la stessa sorte" [102]. A suo avviso, tutto quanto il "fanatismo pan-ariano", che contribuisce a ingenerare una pericolosa "confusione tra l’elemento biologico della razza e gli elementi storici della civiltà ", poggia su fondamenta scientifiche ormai cadute in discredito [103]. Colajanni ricorda infatti, richiamando tra l’altro, non a caso, l’opera di Ripley, come l’inattendibilittà  della craniologia sia stata finalmente riconosciuta e denunciata. Aggiunge poi " citando Sergi, appoggiandosi di nuovo anche a Ripley " che la pretesa superiorità  ariana diventa, di anno in anno, un mito sempre più debole, dato che l’antropologia sembra ora "ammettere che arii e mediterranei siano rami della stessa razza" [104]. Intento a scagliarsi contro "arianisti" e "arianofili", il siciliano Colajanni, del resto, non risparmia nemmeno i suoi compatrioti: per un verso riprende aspramente Pullè, glottologo eminente, che esprime la "boria regionale del settentrione" e teorizza l’inferiorità  congenita dei meridionali [105], per un altro verso dileggia Cesare Lombroso e Guglielmo Ferrero per la loro ambizione a farsi corifei della stirpe nordica [106].

Gli strali di Colajanni contro la "teoria della razza", moderna "idra dalle sette teste" [107], riscuotono il plauso di Benedetto Croce, il quale sottoscrive senza riserve l’impegno rivolto a "sradicare le fallaci idee intorno alle razze e a combattere il germanesimo cieco e spesso comico dei Chamberlain, dei Woltmann e di altrettali" [108].

Sempre nel 1903, un altro autore, E. De Michelis, licenzia un poderoso studio sulla questione. Questa monografia, che sarà  apprezzata da H. Hirt, da S. Feist e da G. Poisson [109], ricostruisce, con grande dovizia di particolari, i dibattiti ottocenteschi sul problema indoeuropeo. La scelta di campo, anche in questo caso, risulta oltremodo netta. De Michelis si schiera, infatti, dalla parte di Virchow e di De Quatrefages, "etnologi [...] non preoccupati da prevenzioni di sistema", cui spetta il merito di aver riconosciuto che "nulla suffraga il concetto di una speciale razza protoaria" [110]. Contro Penka, Much e i pangermanisti, sempre inclini ad impugnare la retorica delle ‘migrazioni’ e delle colonizzazioni imposte, sottolinea la complessità  dei processi di incivilimento: "La storia ammaestra che le trasformazioni etnologiche [...] non furono quasi mai l’opera di conquiste o di invasioni improvvise, ma all’opposto di infiltrazioni lente e progressive" [111]. Contro Ammon e Vacher de Lapouge, i "pontefici dell’antroposociologia", fa valere, collegandosi anche a Schrader, l’importanza delle distinzioni: "La genesi dei tipi antropologici è questione biologica, quella dei popoli è questione d’ordine storico, etnografico" [112].

Lo scritto del De Michelis, che deve molto anche a Kretschmer, segue inoltre, con non poca acribia, il contrasto che nel secondo Ottocento divide, sulla questione ariana, ‘scienze dello spirito’ e antropologia. Da un lato, nella sua ricostruzione, si collocano i linguisti e gli studiosi di mitologia, Schleicher e M. Mà¼ller, Benfey e Fick, che negli anni ’60 e ’70 propongono "entusiastiche descrizioni del felice idillio protoario", in cui stirpi germaniche già  conoscono "istituzioni sociali e politiche ben sviluppate, e credenze religiose e istinti morali notevolmente elevati" [113]. Dall’altro lato, vi sono gli antropologi, De Quatrefages e Topinard, Mortillet e Ripley, i quali presentano, a partire dallo stesso periodo, un quadro del tutto diverso, facendo vedere che "il tramite dell’eredità  protoaria [...] non furono per nulla dei dolico-biondi [...], ma per contro delle stirpi prevalentemente brachicefale" [114].

Qualche anno dopo, nel 1910, viene pubblicato lo studio di Angelo Mosso sulle origini della civiltà  mediterranea, un testo in cui, di nuovo, si riconosce, non senza soddisfazione, come sia ormai "caduta la dottrina del popolo Ario e degli Indogermani" [115]. Gli autori ricordati, nel combattere i ‘nordisti’, sono, anche in questo caso, Ripley e Sergi da un lato, Sophus Mà¼ller dall’altro. In seguito, nel 1917, anche Alfredo Niceforo polemizza con i pangermanisti, che creano ad arte "confusione tra tipo fisico e nazionalità " [116]. Il suo scritto batte vie consuete " riprendendo idee di Virchow e di Ripley " ma propone anche una considerazione svolta da Nietzsche [117]. Contro Penka, Ammon e i paladini della ‘razza nordica’, viene ora ricordato, a testimonianza di una tradizione alquanto diversa, l’aforisma 377 de La gaia scienza: "No, noi non amiamo l’umanità : e d’altro canto siamo ben lontani dall’essere ‘tedeschi’ abbastanza [...] per metterci dalla parte del nazionalismo e dell’odio di razza, per poter provar gioia della rogna al cuore e del sangue inquinato delle nazioni, a causa delle quali oggi, in Europa, popolo contro popolo si guarnisce di frontiere e di sbarramenti come fossero quarantene".
“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”

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#220 Messaggio da Romeo »

Drogato, riassunto:

Quali sono le donne più belle per l'articolo?

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#221 Messaggio da tettonemaniaco »

La carnagione scura delle mediterranee (e le loro forme giunoniche) fanno molto più sangue del biancore asettico delle pelli delle femmine dell'est.
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#222 Messaggio da Paperinik »

tettonemaniaco ha scritto:La carnagione scura delle mediterranee (e le loro forme giunoniche) fanno molto più sangue del biancore asettico delle pelli delle femmine dell'est.
Finalmente qualcuno che se ne intende.
"E' impossibile", disse il cervello.
"Provaci!", sussurrò il cuore.
"Vai via, brutto!", urlò la ragazza.

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#223 Messaggio da Drogato_ di_porno »

Ma quelle dell' est sono brachiocefale o dolicocefale?
“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”

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#224 Messaggio da nik978 »

e parla come mangi!!!!!!!
E' la vecchia guardia e i suoi interventi sul darkside sono imprescindibili, affronta il lato oscuro del sesso estremo con l'approccio dostojeschiano dell'uomo che soffre, mitizza e somatizza.UN DEMONE
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.

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#225 Messaggio da Drogato_ di_porno »

nik978 ha scritto:e parla come mangi!!!!!!!
Avrei una domanda per Romeo (questa è facile): perchè Kahn ed Effenberg hanno gli occipiti così prominenti? Perchè discendono dai Neanderthal? Voglio la prova scientifica che balkan sia razzialmente superiore ai calabresi.

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“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”

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