SuperTrivelle ha scritto: ↑17/04/2021, 14:56
OK...
A proposito, di Alexia Cage cosa ne è stato?
Non saprei, a suo tempo ho cercato un po’. Anni fa un tale stava addirittura preparando un libro sulle poo girls e sosteneva in un forum - americano, credo - di essere riuscito non senza difficoltà ad intervistarne alcune. Alexia Cage era tra queste, c’era voluto molto per rintracciare i suoi contatti reali online. Lui sosteneva esserne venuta fuori una conversazione interessante dal punto di vista biografico, da cui derivava lo stretto legame feticista di Alexia con il dirty sex inteso nella sua accezione quotidiana, quindi reale, lontano dal set. Quasi una necessità - la necessità primaria - per provare eccitazione. Se non vado errato, però, questo concetto relativo a lei era già presente su un Hustler Magazine uscito precedentemente, dunque non so se questa fantomatica intervista sia stata fatta o meno.
Detto questo, resta un’oggettiva difficoltà nel voler approfondire questa figure, solo parzialmente dissipatasi con gli anni. Intendiamoci, molte delle figure recenti hanno i loro bravi profili Twitter e sono personaggi di nicchia, i nomi più datati invece osservavano una separazione netta tra le identità di performer dedite esclusivamente alle tre P (piss/poo/puke) e l’interesse mediatico che suscitavano, se non altro per pura curiosità. Non si sa moltissimo della maggioranza di loro a tutt’oggi, poiché ad eccezione del pissing le altre pratiche dirty restano oggettivamente meno sdoganabili e coloro che vi si dedicano preferiscono evitare di essere associate esclusivamente ad esse tramite interviste dedicate. Non credo si tratti di vergogna in realtà, quanto piuttosto il non voler precludersi altre strade nel mondo adult - cosa che capita quando alcuni registi o produzioni sanno che il tuo nome è noto solo per il dirty fucking.
Il tutto porta - o meglio, ha portato - le produzioni dedicate a questi generi a proporre i loro performer in veste amatoriale. Penso al catalogo High Tide, dove accanto alla Moser o alla Cage giravano un mucchio di performer femminili elencate con nomi brevi e anonimi, facilmente dimenticabili, mentre i maschi venivano e vengono laconicamente citati.
Nessun protagonismo, dunque. Scelta voluta e perseguita dalle protagoniste medesime, in linea di massima. Naturalmente con l’avvento dei social è cambiato molto. Ricordo ad esempio che una partecipante al porno reality ‘A casa das Brasileirinhas’ faceva tranquillamente scene scatologiche, seppur con nome diverso. Era ed è comunque facilmente intuibile la sua duplice attività, ecco il punto: queste performer riescono a diversificare la loro produzione, laddove anni prima una ‘scat queen’ non avrebbe certo aspirato ad altro.
Nel mondo dell’hard ‘non convenzionale’ esistono artisti dediti al dirty BDSM e fetish molto kinky, i quali comunque preferiscono relegare le loro attività di registi/produttori di tali materiali a sfere rigorosamente di nicchia e reperibili solo se si conosce preventivamente il nome di tali produzioni. Per tradurre, niente pubblicità, interviste, promo o altro. Tutto resta underground per scelta precisa e, direi, ostinata. Questo per tutelare l’anonimato dei performer, sempre non professionisti, dunque ostili al voler essere individuati e, magari, diventare oggetto di ricerca da parte di eventuali ‘fan’.
Marc Martin è un fotografo che fa esposizioni ‘particolari’: la sua ‘Les Tasses’ l’ha portata da Berlino a Parigi, e consiste, per essere chiari, nella mostra dei vecchi cessi pubblici maschili d’antan, appuntamenti per sesso rubato e momenti di intimità gay ‘selvaggia’ e occasionale. Parallelamente a questa sua attività, supportata anche da volumi cartacei, porta avanti una produzione in cui il feticismo ‘sporco’ la fa da padrone: largo dunque a human toilets, dirty fucking maschile, bdsm strong. La particolarità è, come scrivevo prima, che questa produzione amatoriale è e resta a portata di chi la conosce e non viene minimamente promossa: i performer sono anonimi, e, anche se alcuni si possono riconoscere in vari video, non si hanno dei riferimenti per poterli individuare in quanto ‘professionisti’. Restano corpi, volti, che si amano in un contesto molto intimo e ‘inspiegabile’: forse per questo Martin ha deciso di relegare questa sua dimensione di kink producer a pura espressione autofinanziata e lontana dai riflettori - nei festival dediti al ‘post’ porn, o ‘alt’ porn aperti al mondo lgbt certi video di Marc Martin sono comunque visibili. Il punto è che: 1) non sono in vendita 2) lui non ne parla 3) gli ‘attori’, praticamente, non esistono in quanto tali.
Ho divagato parecchio ma direi che il concetto di fondo è un po’ lo stesso: chi praticava o pratica oggi dirty sex tende, di solito, ad evitare di parlarne. Il che se volete è ipocrita o patetico - i tuoi video li vendi però non vuoi argomentarne? - ma trova a mio avviso giustificazione ultima nel fatto che si tratta di una forma di feticismo che, in effetti, non è facile o agevole da spiegare per chi lo coltiva. Come per ogni cosa di questo mondo, esistono comunque, ripeto, non poche eccezioni…ma qui il discorso va inevitabilmente allargandosi.