L'ingegnosità  delle prostitute nell'antichità 

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donegal
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L'ingegnosità  delle prostitute nell'antichità 

#1 Messaggio da donegal »

Una grande novità  : un topic sulla prostituzione !

No, dai... questa volta torniamo indietro nel tempo...



Da qualche parte ho letto che il cavigliere (il braccialetto per caviglie) veniva usato nel '700 dalle prostitute francesi con le mestruazioni, per segnalare che erano disponibili solo oralmente


Ieri mi hanno segnalato :



Immagine

SCARPE PER PROSTITUTA GRECA

Era abbastanza comune nell'antichità  scrivere sotto la suola delle scarpe.
Gli Egizi tracciavano il nome o un sommario ritratto dei propri nemici, manifestando così il proprio disprezzo.
I Greci, invece, sotto le suole scrivevano il nome dell'oggetto dei propri desideri.
Per ultime le prostitute greche, sapendo che la pubblicità  è l'anima del commercio, incidevano la suola delle loro scarpe a mó di timbro, in modo che rimanesse impressa sulla strada da loro percorsa la seguente frase:
"SEGUI I MIEI PASSI".
Maturità e depravazione battono sempre gioventù e bellezza

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dostum
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#2 Messaggio da dostum »

Amate e ripudiate, sfruttate e rese immortali nei versi dei poeti, le
prostitute nell'antica Roma hanno avuto un ruolo sociale di primo
piano, come testimoniano centinaia di documenti risalenti al periodo
compreso tra il 200 a.C. e il 250 d.C.. L'atteggiamento dei romani
nei loro confronti era controverso, intessuto di paradossi e
apparenze. Il bordello, interdetto moralmente ai patrizi, veniva
definito, con tono arrogante e misogino, lupanar (o lupanarium ),
ossia «tana dei lupi», delle donne-lupo, dal momento che la parola
lupa (femmina del lupo), era spesso usata anche per le meretrici. Il
termine lupanar aveva quindi un valore dispregiativo, che evidenziava
la natura rapace, predatrice ed egoista della prostituta,
rinnegandone, al tempo stesso, l'umanità . Nonostante questi
pregiudizi, le case d'appuntamento a Roma e nell'Impero erano molto
frequentate, e le prostitute non attiravano le attenzioni solo dei
ceti medio-bassi. L'aristocrazia vedeva nel sesso a pagamento uno
svago e una attività  economica con un notevole flusso di denaro
contante dai profitti alti e dai costi - anche quando le schiave e la
casa dovevano essere acquistate - relativamente modesti. Così, le
prostitute avevano libero accesso anche a terme e spettacoli, luoghi
ed eventi destinati ad accogliere un gran numero di persone. La
discriminazione sociale, tanto a cuore ai patrizi, era
paradossalmente elusa in edifici d'uso pubblico e non in zone
malfamate. Gli aristocratici erano evidentemente liberi di
patrocinare gli incontri alle terme, ma rischiavano la loro
reputazione se avessero messo piede in un bordello o popina . L'idea
di reprimere o creare zone riservate per le prostitute - come fecero
in seguito i cristiani - non sfiorava nemmeno il pensiero dei
cittadini romani: per loro era sufficiente incaricare alcuni
ufficiali di sorvegliare i bordelli e mantenere l'ordine pubblico. In
realtà , questi soldati si limitavano a tutelare la distinzione di
status tra prostitute e donne rispettabili e a riscuotere per lo
stato tasse e canoni d'affitto delle proprietà  pubbliche. D'altronde,
per l'erario le meretrici erano una fonte di cospicui guadagni: erano
molte e poco costose, il loro lavoro tassabile. Alcune di loro
intraprendevano la professione spinte dalla prospettiva di un
beneficio economico, la maggior parte erano costrette a farlo da
schiavisti o lenoni aggressivi. Paragonata alle brulle alternative
che l'economia romana offriva alle donne costrette a trovare lavoro,
la prostituzione poteva essere una possibilità  attraente, sebbene
illusoria, dal momento che anche le prostitute «libere» erano
sfruttate. Si trattava in ogni caso di una professione che offriva il
miraggio di profitti elevati, come dimostrano le tariffe in uso in
età  imperiale: una prostituta poteva guadagnare da 0,25 a 16 assi per
prestazione e forse più. Le prostitute di basso rango prendevano per
ogni singolo incontro un sesto dello stipendio giornaliero di un
lavoratore maschio della tarda repubblica. Se paragoniamo le tariffe
applicate in un bordello nella Norimberga del quindicesimo secolo -
che Peter Schuster ritiene pari a tre ore di lavoro di un
apprendista - a quelle della tarda Repubblica e del primo Impero, si
deduce che il sesso a pagamento era poco costoso e accessibile a
molti uomini poveri. Certo, esistevano anche meretrici d'alto
livello. Ma alcune cifre leggendarie, riportate dalla letteratura,
elargite a prostitute (o amanti) sembrano solo frutto della fantasia,
come i centomila sesterzi (ricordiamo che un sesterzio era
l'equivalente di quattro assi) che Marziale dichiarava d'aver
sperperato per un'amante a Leda. Le tariffe indicate sembrano per la
maggior parte plausibili. I riferimenti alla cosiddetta quadrantaria
(«ovvero la donna che richiede un quarto d'asse per una prestazione»)
sono forse puri insulti, mera diffamazione, dal momento che
il «prezzo» di un quarto di asse è molto lontano dalla media
attestata: di solito le prostitute più vecchie o meno attraenti
richiedevano un asse. Due assi era invece la tariffa per le
prostitute di basso livello. Prezzi bassi, modesti, alla portata di
tutti. In fondo, due assi era il prezzo di una fetta di pane. Per
avere un'idea del volume d'affari del mondo a luci rosse romano
basta prendere in considerazione la situazione a Pompei. Le
prostitute in attività  - circa un centinaio - avevano
complessivamente una media di cinquecento rapporti ogni giorno e
guadagnavano in totale almeno mille assi (250 sesterzi) giornalieri.
Il profitto che lo stato ricavava dalle prostitute ai tempi di
Caligola, invece, dovrebbe essere stato come minimo di 50 sesterzi al
giorno, vale a dire 18.250 all'anno. A mantenere i prezzi bassi
contribuivano soprattutto le donne straniere, in gran parte schiave(sul serio micacome adesso!!!).
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Baalkaan hai la machina targata Sassari?

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Lemmy
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#3 Messaggio da Lemmy »

Oè, non ho letto tutto il post di dostum che è lungo e fitto quindi spero di non ripetere nulla che sia già  stato scritto.
Un'altra chicca: si chiamano ancora "zoccole" perchè anticamente si faceva indossar loro gli zoccoli in modo che il rumore che questo tipo di calzatura produceva sui ciottoli avvertisse chi era nei dintorni della presenza della professionista.
''Maró lemmy che cazzone che era!!!''
CianBellano

Errato: Lemmy E'

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australiano
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#4 Messaggio da australiano »

anche dr house va con le escort

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nik978
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#5 Messaggio da nik978 »

grandissimo topic...mi era colpevolmente sfuggito...
E' la vecchia guardia e i suoi interventi sul darkside sono imprescindibili, affronta il lato oscuro del sesso estremo con l'approccio dostojeschiano dell'uomo che soffre, mitizza e somatizza.UN DEMONE
Now I lay me down to sleep,Pray the lord my soul to keep.And if I die before I wake pray the lord my soul to take.

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Sfonda
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#6 Messaggio da Sfonda »

australiano ha scritto:anche dr house va con le escort
MA CHI è CHE NON VA?
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dostum
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#7 Messaggio da dostum »

In questa accattivante rassegna delle variegate pratiche sessuali degli etruschi non poteva certo mancare il sesso di gruppo, lo scambio di coppie e la sodomia. Ed è qui che Teopompo dà  il meglio di sè, con un finale pirotecnico e spettacolare. Dunque, a suo dire, i nostri cari etruschi in occasione di incontri conviviali, a sfondo familiare o di carattere sociale, dopo aver abbondantemente mangiato e soprattutto bevuto, al momento di coricarsi, si apprestano a ricevere indistintamente le cortigiane, le mogli o bellissimi giovani. Dopo aver ampiamente goduto di questi e di quelle, presi evidentemente da un moto di grande generosità , lasciano il posto a giovani vigorosi perchè possano soddisfarsi, restando, presumiamo, a guardare. Il tutto avviene in modo promiscuo o, più frequentemente, al riparo di semplici paraventi di rami intrecciati sui quali appendono i mantelli. Dopo questo bel quadro edificante Teopompo non puó peró fare a meno di sottolineare che gli etruschi preferiscono comunque le donne, ma "talvolta" si danno ai piaceri con giovani e ragazzi, che del resto in Etruria sono bellissimi perchè sono abituati al lusso e usano depilarsi il corpo.

Il primo commento che verrebbe da fare a queste affermazioni è "da quale pulpito...", in effetti Teopompo attribuisce agli etruschi "vizi" e costumi che sono tipicamente greci, e che i greci hanno, per così dire, "esportato" in Etruria. Il gioco è abbastanza scoperto: ogni volta che il nostro accenna ai ragazzi etruschi non riesce a trattenere la sua ammirazione e si profonde in lodi per la loro prestanza e bellezza. In verità  gli etruschi, come vedremo nel prossimo capitolo, non approvavano l'omosessualità , ma non è escluso che essendo sensibili e aperti alle esperienze socio-culturali dei popoli con cui venivano a contatto possano averla accettata e marginalmente praticata. Di certo non entró mai nel costume.

E veniamo, infine, al capitolo prostituzione. Qui non è solo Teopompo a dire la sua, è un autentico coro di scrittori greci e latini che elevano lamenti ed alti lai per l'asserita immoralità  delle donne etrusche, talvolta contrapposta alla virtù e alla castità  delle donne greche e romane. Al punto che in epoca tarda la parola "etrusche" era quasi sinonimo di prostitute. Timeo, Platone, Plauto, Livio... per citare i più noti, un vero plotone. Nel richiamare quanto già  detto sulle peculiarità  della posizione della donna nella società  etrusca, vogliamo solo aggiungere che certamente presso gli etruschi la prostituzione è esistita, come presso qualsiasi altro popolo, in qualsiasi altra epoca (non a caso è il mestiere più antico del mondo...). Che il fenomeno avesse le dimensioni paventate è da escludersi, non essendo ció supportato da alcun dato oggettivo. Sappiamo da fonti storiche, ed in parte anche archeologiche, che in Etruria la prostituzione veniva praticata nella sua forma più "nobile": la prostituzione sacra. Presso il tempio di Pyrgi le ierodule, vale a dire le prostitute sacre, offrivano se stesse ai pellegrini e ai viaggiatori per sostenere le spese del tempio ed incrementarne le ricchezze. Tali ricchezze dovevano essere evidentemente cospicue se suscitarono l'avidità  di Dionigi I che nel 384 a.C., alla testa della flotta siracusana, riuscì a impadronirsene, nonostante il soccorso degli abitanti di Caere in difesa del loro porto.

A ben vedere anche le "signore", impegnate nello svolgimento di raffinate pratiche erotiche con una pluralità  di partner, raffigurate nella tomba dei Tori e in quella della Fustigazione nella necropoli di Tarquinia (cfr. il prossimo capitolo), dovevano senz'altro essere delle prostitute. Ma dobbiamo fermarci qui, altri dati di particolare rilievo non ne abbiamo. Un po' poco per fare dell'Etruria il luna park della prostituzione.
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monteur
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Re: L'ingegnosità  delle prostitute nell'antichità 

#8 Messaggio da monteur »

donegal ha scritto:Una grande novità  : un topic sulla prostituzione !

No, dai... questa volta torniamo indietro nel tempo...



Da qualche parte ho letto che il cavigliere (il braccialetto per caviglie) veniva usato nel '700 dalle prostitute francesi con le mestruazioni, per segnalare che erano disponibili solo oralmente


Ieri mi hanno segnalato :



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SCARPE PER PROSTITUTA GRECA

Era abbastanza comune nell'antichità  scrivere sotto la suola delle scarpe.
Gli Egizi tracciavano il nome o un sommario ritratto dei propri nemici, manifestando così il proprio disprezzo.
I Greci, invece, sotto le suole scrivevano il nome dell'oggetto dei propri desideri.
Per ultime le prostitute greche, sapendo che la pubblicità  è l'anima del commercio, incidevano la suola delle loro scarpe a mó di timbro, in modo che rimanesse impressa sulla strada da loro percorsa la seguente frase:
"SEGUI I MIEI PASSI".

erano delle grandi imprenditrici :)

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#9 Messaggio da dostum »

X Wolf 55



A Roma si affermò la figura della cortigiana cosiddetta "da candela" o da "lume", chiamata così perché abitava talvolta nel retrobottega dei venditori di candele o perché usava una candela per misurare il tempo di ogni cliente. Queste sono registrate nei libri degli stati delle anime delle parrocchie romane, come meretrici o curiales, donne povere che spesso si prostituivano, divenendo, per usare un termine di Delumeau[28], "delle cortigiane provvisorie" specialmente nei momenti più acuti di miseria, ad esempio durante le carestie: grave fu a Roma quella del 1590-92 che fece aumentare il numero di prostitute presenti in città . Ma quante erano le cortigiane a Roma? Nel XVI secolo ne vennero in gran numero, così come molti altri poveri, da varie parti d'Italia, come emerge dalle statistiche del Cerasoli[29]. Il Delumeau[30] calcola, sulla base dei dati forniti dai censimenti degli anni 1599-1605, che dovevano esserci 17 cortigiane ogni 1000 abitanti di sesso femminile. Umberto Gnoli[31], facendo riferimento al censimento del 1526, calcola che a Roma erano circa 4900 su 55035 abitanti censiti, circa il 10 per cento della popolazione. E' chiaro che questi dati sono relativi a periodi particolari e non possano corrispondere pienamente ad una situazione costante nel tempo, ma concretamente si può pensare che quest'ultimo dato, preso come valore medio, possa quantificare la loro presenza dalla metà del cinquecento in poi. I bandi e gli avvisi di Pio V mostrano una severità particolare anche nel reprimere la prostituzione, attraverso i metodi della segregazione prima e dell'espulsione dalla città dopo. Dal 1566 iniziarono le disposizioni contro la prostituzione. La vicenda delle cortigiane romane va di pari passo con la concezione negativa che si ha, come già detto, del povero lungo l'età moderna. La stessa meretrice rappresentava il nesso indissolubile, l'esempio vivente del connubio tra peccato e povertà e tra povertà e vizio[32]. Povere pericolose perché immorali. Povere colpevoli che minano l'aura sacra della città di Roma. In un avviso del 3 agosto 1566 Pio V sottolinea il carattere infame della presenza delle meretrici nella città eterna: "...l'infamia ... che dalle meretrici siano habitate le più belle strade di Roma santa, ove è sparso il sangue dei santi martiri, ove sono tante reliquie, tante devotioni, ove è la Santa Sede Apostolica et tanta religione: città , che per specchio del mondo tutta doverà esser monda da vicii et peccati a confusione d'infideli et eretici..". Tra le categorie marginali che popolano le carceri emergono anche le prostitute: gli arresti oscillavano, nel luglio del 1570, tra i dieci e i venti ogni giorno. Di loro si dice "frequenter carceribus mancipantur", poiché erano spesso all'origine di risse e discordie.[33] Nelle carceri le cortigiane assieme alle donne avevano un settore a parte. La pena che viene loro inflitta è spesso l'esilio da Roma ed il ritorno nella città di origine; a volte si incontra la fustigazione ed i tre tratti di corda (questa forma di punizione consisteva nel legare le mani del condannato dietro la schiena con una corda che, passata attraverso una carrucola, serviva a sollevarlo da terra; ogni tratto corrispondeva nel sollevare e lasciar cadere di colpo il reo). Accanto all'atteggiamento repressivo che accompagna le misure contro la prostituzione ve ne è un altro che considera questa attività una fonte di introiti per il governo, che vede le prostitute in funzione di interlocutrici all'interno del sistema legislativo in quanto contribuenti. Si è alla presenza di una serie di provvedimenti che obbligano le meretrici a contribuire al bene della città : in occasione della sistemazione di via Ripetta fu imposta loro una tassa; le meretrici erano inoltre tenute a pagare un tributo fisso di 10 carlini[34]. Con quest'ultimo provvedimento le stesse prostitute erano difese dalla legge contro gli abusi degli esattori, che in caso di frode nei loro confronti incorrevano in pene severe, come la galera ed i tre tratti di corda. In tal senso il governo si assumeva la tutela delle prostitute in quanto contribuenti da difendere contro i soprusi. In realtà la missione che Pio V si era proposto non era tanto l'abolizione della prostituzione, cosa oltretutto difficile viste le resistenze che i suoi provvedimenti già trovavano, bensì l'opera di moralizzazione della città che doveva far assurgere Roma a modello per tutta la cristianità , nello sforzo di rinnovamento che in quel periodo la Chiesa chiedeva innanzitutto a se stessa. Gli ostacoli che abbiamo accennato provenivano anche dagli interessi economici che legavano indissolubilmente le prostitute al resto della città . Infatti, quando Papa Ghisleri decise la cacciata di alcune prostitute da Roma nel 1566 e contemporaneamente pensò di rinchiudere le altre prima in Trastevere e successivamente nella zona dell'Ortaccio, molte furono le proteste che provenivano ad esempio dagli affittuari delle case che in questo modo videro crollare i prezzi, dai conservatori che videro diminuire il gettito della dogana e da molti commercianti che avendo dei crediti tra le meretrici li videro sfumare assieme alla possibilità di fare buoni affari con le medesime. Il papa che decise di proseguire l'atteggiamento di Pio V verso la prostituzione fu Sisto V. Le pene inflitte alle meretrici sotto Sisto V sono particolarmente dure poiché mirano anche alla loro umiliazione: spesso viene prevista, quando vengono colte in flagranza di reato o perché sono in contravvenzione ai bandi, la spoliazione che consiste nella confisca di tutte le cose che avevano con sé compreso lo stesso abito. Si assiste alla fine del cinquecento ad una svolta dell'atteggiamento della chiesa nei confronti della prostituzione: da una parte la legislazione si concentra sulla repressione e non solo sulla richiesta di contributi; dall'altra vengono colpiti anche coloro che si accompagnano alle prostitute. Gli uomini loro complici o che per stare con loro contravvengono alle disposizioni governative incorrono anche loro in pene, meno umilianti rispetto alle meretrici, ma pur sempre dure: a questi spetta la fustigazione o i tre tratti di corda. Questa situazione si confermerà agli inizi del secolo successivo. Nel XVII secolo i provvedimenti mirano a colpire sempre di più gli uomini trovati in loro compagnia. Tutto ciò sembra figlio di una strategia precisa che è quella di isolare le meretrici attenuando contestualmente nella città il reato. Ma la novità maggiore che si può cogliere agli inizi di questo secolo, e che si scorge anche nelle precedenti disposizioni di Sisto V, è che nei bandi viene evidenziato il reato dello stupro e dell'avviamento o istigazione alla prostituzione. Per il primo reato vengono stabilite pene diverse a seconda se si tratti di una donna onesta, nel qual caso il violentatore può incorrere nella pena capitale, o di una meretrice, ed allora il reo dovrà minimo pagare una multa o al massimo scontare sette anni di galera. Se c'è quindi una mutazione legislativa tendente a reprimere gli abusi anche verso le meretrici perseguendo i colpevoli, esiste pur sempre una forte discriminazione nei loro confronti dettata dal fatto che esse stesse inducono al peccato essendo la fonte dello stesso.

La risposta che in quegli anni viene data dal governo pontificio non si esaurisce solo nei provvedimenti legislativi; contestualmente nascono, sotto la spinta riformista, delle istituzioni che vogliono dare una risposta operativa al problema. Tra queste, nella metà del Cinquecento, troviamo il Conservatorio di S. Caterina della Rosa detta anche dei Funari che nasce, ispirato probabilmente anche da S. Ignazio da Loyola, con lo scopo di raccogliere le figlie delle cortigiane e le fanciulle povere in pericolo di prostituzione, per sottrarle al proprio destino. Ma nelle regole del Conservatorio emerge una scelta particolare che è utile sottolineare: non è la fanciulla povera o abbandonata che può trovare accoglienza in questa casa, tant'è che non venivano accettate né le brutte, né le storpie, né quelle malate. Questo perché pur essendo povere, proprio a causa della loro condizione fisica, non versavano in stato di pericolo, ossia non avevano molte possibilità di affermazione nel mondo del meretricio. Sempre agli inizi del cinquecento viene fondato il monastero di S. Maria Maddalena[35] che ha lo scopo di accogliere le prostitute pentite e tra queste non quelle anziane e disperate ma quelle giovani che in modo volontario, colte da crisi religiosa, scelgono di cambiare la loro vita e donarsi interamente al Signore. E' chiaro che questa scelta di campo che viene operata nella costituzione stessa del monastero taglia fuori quell'alto numero di meretrici che in vecchiaia riscopriranno la propria fede, in quel periodo della vita quando le malattie, la miseria e le difficoltà le accomuna un po' tutte, facendo divenire il convento spesso l'unica reale alternativa; ma tale scelta è figlia della convinzione che il pentimento, quando uno è vecchio, non è genuino, reale, vero perché promana da uno stato di bisogno. Per la maggior parte povere tra i poveri queste cortigiane "da candela" o meretrici sono un'espressione, fra le tante, di quella variegata realtà che è il pauperismo nel cinquecento; esse, diversamente dagli altri poveri, hanno l'aggravante di essere peccatrici per la vita immorale che conducono e per il fatto stesso di essere donne, la cui assenza, però, così come ci testimonia un avviso sulla polizia dei costumi del 19 luglio 1567 che informa della cacciata di 60 meretrici dalla città , suscita il malcontento generale
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#10 Messaggio da Barabino »

dostum ha scritto:Tra queste, nella metà  del Cinquecento, troviamo il Conservatorio di S. Caterina della Rosa detta anche dei Funari che nasce, ispirato probabilmente anche da S. Ignazio da Loyola, con lo scopo di raccogliere le figlie delle cortigiane e le fanciulle povere in pericolo di prostituzione, per sottrarle al proprio destino. Ma nelle regole del Conservatorio emerge una scelta particolare che è utile sottolineare: non è la fanciulla povera o abbandonata che puó trovare accoglienza in questa casa, tant'è che non venivano accettate nè le brutte, nè le storpie, nè quelle malate. Questo perchè pur essendo povere, proprio a causa della loro condizione fisica, non versavano in stato di pericolo, ossia non avevano molte possibilità  di affermazione nel mondo del meretricio.
Mi immagino la scena nel vicino convento di cappuccini...

"fratelli, chi vuole fare il confessore nel conservatorio della Rosa?..."

"IO... IO... IO... IO!!!"

Una volta ho trovato per terra una pagina strappata
da un libro con una poesia che terminava cosi':

"or se vuoi l'assoluzione
prendi in mano sto cordone"

"oh, ma padre, non son chiorba! (=orba)
questo e' cazzo e non e' corda!"


mica sapete da dove viene?

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