in attesa di helmut
provvedo in parte io
LA PARABOLA DEL FIGLIUOL PRODIGO
E' questa le terza parabola, la cui parte rilevante è, appunto, l'amor di Dio per i peccatori. Questa parabola è il più bel diamante di questo tesoro di parabole evangeliche.
Un uomo, che rappresenta Dio, aveva due figli, propone Gesù. Quest'uomo è ricco, buono e generoso e nella sua casa anche i servitori, i mercenari hanno un trattamento di favore.
I due figli vivono la vita onesta del padre, e partecipano all'amministrazione dei suoi beni.
Ma un giorno il più giovane dei due e con aria di autorità gli dice: «Padre, dammi la mia parte dei beni che mi tocca!». Ma. in realtà , non gli spetta nulla per ora, perchè suo padre vive ancora. Tuttavia, egli vuole avere la sua libertà , fare a modo suo, senza dover consultare e rendere conto ad alcuno. Il padre gli dà quello che desidera, spartendo i beni tra i figli. Allora, il più giovane, messa assieme ogni cosa, «se ne parte per un paese lontano », immagine del mondo, dove Dio è dimenticato, dove il Suo nome non è mai pronunciato.
E nel mondo dà subito inizio a festini, bagordi, attirandosi gran numero di amici e di adulatori solleciti a godere delle sue sostanze. Ma questa vita debosciata non dura molto, Ben presto le ricchezze finiscono e con esse spariscono tutti gli amici e adulatori.
Intanto sopravviene nel paese «una gran carestia», e il giovane pallido, affamato, cencioso bussa di porta in porta, supplicando per avere un tozzo di pane e un misero lavoro. Ma dappertutto incontra rifiuto, dati i tempi difficili.
Solo un proprietario meno provato dalla carestia, l'accoglie per pietà e lo manda lontano nella sua tenuta a fare il guardiano delle mandrie di porci.
«Ed egli avrebbe desiderato empirsi lo stomaco delle ghiande che i porci mangiavano, ma nessuno dei guardiani preposti ai greggi, gliene dava».
Era questa l'ora che Dio attendeva. In questo stato di profonda umiliazione e di prostrazione fisica e morale, senza alcuna prospettiva per il giorno dopo, il giovane sventurato ripensa alla casa del padre e a tutti quei servi e mercenari che in essa hanno tutto in abbondanza.
«Rientrato in sè disse: Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io qui muoio di fame!». E' questo il primo sintomo del suo ravvedimento. Quindi prende la risoluzione: «Io mi leveró», dalla bassezza in cui è caduto, «e me ne andró », perchè è così lontano, « dal padre mio», il cui cuore paterno è pieno di inestinguibile tenerezza, «e gli diró: Padre, ho peccato contro il cielo e contro te: non son più degno di essere da te considerato come tuo figliuolo, accettami almeno come uno dei tuoi servi».
Quindi si alza e parte, facendo a ritroso verso la speranza quel cammino, che aveva iniziato credendo di trovare libertà , gioia di vivere, piacere.
Ma il padre non si è dimenticato di lui. Anzi, quanto più lui, il figlio, si è mostrato ingrato, tanto più ha inteso amarlo, sentendolo nel bisogno e privo del suo amore ed aiuto. Ed ogni tanto l'amore lo portava a scrutare l'orizzonte per vedere il figlio tornare a lui.
Finalmente, un giorno lo scorge camminare lentamente, stanco, vestito di stracci e macilento per la mancanza di cibo. Sena frapporre indugio, gli corre incontro, e, quando lo raggiunge, lo bacia e lo abbraccia a lungo, mentre il figlio tra lacrime e singulti cerca di dirgli, come si era prefissato: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro te; non son più degno di essere chiamato tuo figliuolo ». Ma il padre non lo fa nemmeno finire di parlare, perchè tanta è la gioia, da cui è pervaso che si affretta col figlio verso casa, ove giunto chiama tutti i suoi servi: « Presto, dice loro, portate qui la veste più bella», quella veste cioè lunga, detta anche toga, che era portata come segno di condizione elevata: «mettetigli un anello al dito», che altro non era che un anello recante un sigillo che distingueva le persone di condizione sociale elevata: « mettetigli dei calzari ai piedi», segno di libertà , perchè i servi e schiavi erano scalzi; « e portate fuori presto, il vitello già ingrassato», come ce ne erano sempre per ogni occorrenza nelle case dei facoltosi orientali, « ammazzatelo e mangiamo e facciamo festa, perchè questo mio figlio era morto, ed è tornato a vita; era perduto ed è stato ritrovato. E si misero a far gran festa». Nel mezzo di essa ecco giungere dai campi il fratello maggiore, che, intesi suoni danze e allegria, senza entrare nella casa del banchetto, si informa da un servo cosa stia accadendo.
Il servo lo informa di tutto. Allora egli manda a chiamare il padre per rimproverarlo del suo ingiusto comportamento e senza ascoltarne gli inviti a entrare nella sala, gli dice: « Ecco, da tanti anni ti servo, e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me peró non hai mai dato neppure un capretto per far festa coi miei amici; ma, quando è venuto questo tuo figliuolo che ha divorato i tuoi beni con le meretrici, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato ».
Il padre gli risponde: « Figliuolo, tu sei sempre stato con me, ed ogni cosa mia è tua; ma bisogna far festa e rallegrarsi, perchè questo tuo fratello era morto ed è tornato a vita, era perduto ed è stato ritrovato ».
Gesù non finisce la parabola, si ferma qui. Non dice se il figlio maggiore partecipó anche lui alla festa. Con un sentimento di profonda delicatezza e bontà lascia ai farisei la conclusione del racconto, perchè questo fratello scontento, geloso, egoista e orgoglioso è il loro ritratto.
Se nelle intenzioni di Gesù il figliuol prodigo rappresenta direttamente tutti i peccatori gentili del suo tempo, tuttavia egli ha voluto gettare la corda della salvezza a tutti i poveri figliuoli prodighi di ogni tempo, mostrando in Dio un padre buono, più ostinato nella sua misericordia che essi nella loro ingratitudine, più tenace nel perdonarli che essi ad offenderlo.