Laura Levi

La storia del porno attraverso i suoi protagonisti

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Alec Empire
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LAURA LEVI

1. Ascesa e caduta

Spesso capita di leggere delle storie in cui le toccanti vicende umane dei protagonisti, la loro verità di esseri umani segnati da innumerevoli ferite possono far dimenticare lo scopo 'professionale' della nostra indagine di appassionati.
Si tratta di parole taglienti, che denunciano un rancore celato tanto gelosamente quanto maldestramente, rancore per se stessi e per ciò che ci si è lasciati compiere, amarezza per aver visto calpestata la propria dignità di individui costretti dal bisogno a svendersi. Per queste persone l'imperativo diventa, col passare del tempo, dimenticare quanto si è subito, ricostruire e soprattutto ricostruirsi aiutate dalla scarsa memoria della gente.
Indagare oggi su una pornostar italiana operante già nei primissimi anni Ottanta significa doversi arrangiare e districare tra leggende, dicerie, gossip di gusto variabile e poche, pochissime notizie certe e affidabili. Ci si sente un pò sadici a scavare nel porno di Laura Levi, sapendo che quei suoi film nascondono il dolore e la vergogna di una donna bisognosa di soldi per soddisfare le proprie (e non solo) esigenze primarie: "Ho cominciato per fame. Una laurea che valeva come un rotolo di carta igienica, un marito malato: c'era poco da scegliere (...) Quando sono li' a soddisfare un uomo con la bocca in realtà io penso se il produttore pagherà puntualmente quanto mi servirà per la bolletta della luce (...)" Questo il cinismo disincantato con cui Gabriella Tricca, vero nome di Laura Levi, commentava la sua esperienza nelle luci rosse in una rara intervista rilasciata a 'L'Europeo' nel 1982.
Attrice porno per bisogno dunque, questo era la Tricca, nata a Pescara nel 1954 e trasferitasi a Firenze per ottenere quel 'rotolo di carta igienica' di laurea in architettura col massimo dei voti, per poi sposare proprio un architetto dalle amicizie 'prestigiose'. Ragazza dai molteplici interessi culturali, Gabriella passava il suo tempo di ventenne tra lezioni universitarie, libri sull'arte architettonica fiorentina, fogli di carta sui quali si dilettava nel comporre poesie ("Fogli" è proprio il titolo della raccolta di poesie scritte dalla giovane Gabriella Tricca, tra l'altro accolta con favore negli ambienti letterari locali). Sveglia e intelligente quanto bastava, la nostra non si fece scappare l'opportunità suggeritale da un giornalista di bussare alla porta del mondo dello spettacolo, cinema e televisione, apparendo nel film "La città delle donne" di Federico Fellini: correva la stagione 1979/80 quando il regista riminese, nell'atto di comporre il nutrito casting di comparse per il suo nuovo film, univa curiosamente ben tre future pornodive tricolori: oltre alla Levi vi erano infatti, non accreditate, Marina Frajese e Sabrina Mastrolorenzi. Si è molto discusso in certe interviste rivolte al loquacissimo Fellini molto tempo dopo il Marzo 1980, data dell'uscita del film, se egli si ricordasse di una certa Marina Frajese e di una Gabriella Tricca, ma il Maestro non si è comunque mai dimostrato a conoscenza dei nomi di coloro che aveva scelto per colorare di femminilità l'esuberante sceneggiatura del film in questione (d'altronde, Fellini spenderà parole per una donna che non sia protagonista di un suo film ma semplice comparsa per la sola Moana Pozzi in occasione di "Ginger e Fred" risalente al 1983). All'esordio cinematografico rispondeva un certo impegno televisivo di Gabriella, presente in due puntate di due sceneggiati Rai: "Orient Express" (regia di Daniele D'Anza con la presenza di Stéphane Audran, conturbante moglie del regista Claude Chabrol) e "La vendetta", la cui trasmissione è anch'essa databile attorno al 1980.
Il novello architetto Tricca sembrava proprio bruciare le tappe nel bel mondo dello spettacolo: grazie allo scrupoloso lavoro storico di Andrea Napoli e Francesco Grattarola sulla storia del cinema a luci rosse in Italia sappiamo d'altronde che il marito della nostra vantava una collaborazione da scenografo con Franco Zeffirelli, per cui le porte del grande e piccolo schermo si saranno senza dubbio aperte con una certa facilità , al punto che c'era chi fra gli addetti ai lavori dava Gabriella Tricca come ‘promessa del cinema italiano' (un articolo anonimo del Giornale dello Spettacolo del 1981, in particolare).
In realtà , se si tiene conto della gigantesca affluenza di volti nuovi femminili per ruoli più o meno scollacciati agli albori degli anni Ottanta si ha idea di quanto effimero fosse il ruolo di una ragazza ancora mai protagonista al cinema o in tv, che per giunta non brillava certo per oggettiva bellezza: anonimi capelli castani, tutt'altro che scolpiti in tagli virginali allora molto trendy, viso scuro, vagamente imbronciato e senza dubbio non accattivante. Lo stesso Fellini si procurò per "La città delle donne" ragazzone che primeggiassero per quantità in seni e sederi, anche a scapito della qualità estetica: ecco perché accanto alla maggiorata e volgaruccia Donatella Damiani potevano convivere figure sgraziate, pesanti, ma dalle mammelle a prova di grande schermo: Gabriella era una di queste, nient'altro che una di queste. A dimostrazione di ciò, dopo Fellini nessun altro Autore la chiamò: la Tricca dovette dunque accontentarsi di una misera e dimessa particina in "Peccati a Venezia", thriller sentimentale di Amasi Damiani risalente al 1980 dove ben altro spessore è riservato a Leonora Fani, eterna lolita del cinema erotico degli appena trascorsi anni Settanta. Accreditata come Gabriella Danj, l'attrice abruzzese è nel film l'infermiera della vecchia zia inferma di una Marisa Mell sul viale del tramonto fisico e professionale: un altro ruolo assolutamente secondario insomma, che svegliò i malumori della Tricca, ormai mancata donna in carriera: "Nel nostro cinema viene dato poco spazio alle nuove leve. C'è una grande carenza di idee (...) unita al fatto che molti giovani attori e attrici rifiutano di prestarsi a qualsiasi forma di compromesso, artistico o personale". C'è, in questa dichiarazione dell'attrice, una sorta di intenzione dei suoi futuri intenti: come dire che se l'unico modo per bazzicare l'ambiente del cinema fosse accettare compromessi, anche pesanti, lei era disponibile.
In realtà , una gravidanza in vista e l'incidente che avrebbe reso infermo il marito portarono Gabriella Tricca di fronte alla necessità di occuparsi del sostentamento di un nucleo familiare in crescita: l'hard avrebbe potuto darle in poco tempo i soldi per fare questo...e nel 1980 la via dell'hard italiano aveva un nome: Aristide Massaccesi, in arte Joe D'Amato.
Aristide Massaccesi è stato, insieme a Franco Lo Cascio, tra le primissime persone a produrre film a luci rosse in Italia all'inizo degli anni Ottanta. Dopo la celebre serie dei cinque hard caraibici risalenti alla stagione 1978/79 (e visibili nel nostro paese solo a cominciare dal 1980) Massaccesi, più celebre sotto lo pseudonimo di Joe D'Amato, intuisce le grandi potenzialità commerciali che un mercato di cinema porno avrebbe avuto in Italia. Comincia cosi' ad importare col suo amico- collaboratore Lo Cascio (il futuro Luca Damiano) molte pellicole provenienti dal già solido mercato francese per poi farle uscire rimontate e rititolate in terra tricolore. Dal collage di prodotti altrui alla produzione propria il passo è breve: nel 1982 D'Amato decide di fondare due etichette a produzione pornografica mettendosi a cercare ‘gente che quelle cose le fa' da utilizzare come attori.
Si forma un nucleo di persone che costituiscono la prima vera generazione delle luci rosse italiane: fra i maschi ricordiamo Brunello Chiodetti, il già collaudato Mark Shanon (Manlio Cersosimo), Giuseppe ‘Pino' Curia e Paolo Gramignano (Eugenio Gramignano). Tra le donne troviamo Guia Lauri Filzi (Barbara de Massi), Sabrina Mastrolorenzi, Sandy Samuel (con tutta probabilità Daniela Samueli), Marina Frajese (futura prima diva italica dell'hard) e la nostra Laura Levi (Gabriella Tricca). Dopo la marginale frequentazione del cinema ‘normale', conclusasi con l'apparizione ne "La dottoressa ci sta col colonnello" (la scoperta esclusiva della presenza della Levi in questo film la si deve ad Andrea Napoli), la memoria di Massaccesi ci narra del fallimento di un ristorante messo su da Gabriella col marito semiparalizzato. Successivamente, possiamo collocare l'entrata prepotente della Tricca nel nascente porno italico, condizionata a suo dire da una situazione familiare molto complicata che la vede costretta a mantenere marito e figli. A prima vista potrebbe sembrare che, facendolo per esigenze alimentari, quello di attrice porno sia per Gabriella un mestiere di ripiego da svolgere freddamente e con poco entusiasmo...invece le testimonianze di Massaccesi ci ricordano la foga della nostra: "Sul set è un demonio. L'unica capace di far funzionare anche tre uomini contemporaneamente". Anche Renato Polselli ne decanta l'impegno "sia nelle sequenze hard che in quelle per cosi' dire normali", definendola un' attrice molto professionale. La stessa Gabriella/Laura parla nella sua unica intervista di cui siamo in possesso delle notevoli difficoltà che si incontravano in scena: "Sai com'è nata la mia fortuna? Dovevo girare una scena con quattro teppisti che mi violentavano. Preparavo il primo e si smontava il secondo, passavo al terzo e il primo perdeva l'erezione (...) Finalmente sono riuscita a metterli in parata tutti insieme. E' da li' che hanno cominciato a pagarmi meglio e che mi sono fatta un nome (...) Oggi guadagno un paio di milioni a film". Una tale schiettezza nel parlare del proprio mestiere è senza dubbio dote inedita della Tricca, donna che non si è mai nascosta dalla scelta del fare hard, decantando in maniera colorita lo squallore degli ‘addetti ai lavori': "Un ambiente di schifo. Pieno di avvoltoi in agguato sulle povere carogne come me. Quelli che cercano di farti fare le marchette con l'arabo di passaggio, i macchinisti che pretendono di scoparti nell'intervallo (...) i registi che ti insultano a morte il giorno che devi saltare le riprese perché hai le mestruazioni..."
E il marito? Quel marito infermo per cui la nostra si sacrificherebbe? "Mio marito capisce" dichiara velocemente la Tricca, ma il regista Antonio D'Agostino, con cui l'attrice ebbe modo di lavorare in almeno due film, sembra avere la memoria più lunga e maliziosa: "Il marito era un po' maniaco (...) veniva sul set ad assistere alle scene girate dalla moglie". Pronta la conferma sorniona di Massaccesi: "Col marito vanno a vedere i suoi film, poi lui le fa i complimenti..." Sull'ambiguo rapporto col marito, ancora D'Agostino informa lo studioso Franco Grattarola che "la Levi poi lo lasciò e si mise insieme ad un famosissimo divo dei fotoromanzi (faceva Bolero ma non mi ricordo il nome), che la convinse a lasciare il cinema hard".
In realtà , l'osservazione della Levi al lavoro ci lascia la sensazione di un volto svagato e quasi sempre inespressivo tipico di quei primi attori hard per fame (non per fama). Il suo corpo giunonico ed inerte viene preso per una decina di film nelle medesime situazioni e si trascina di pellicola in pellicola in maniera svogliata, poco credibile e tutt'altro che eccitante. A poco serve il tentativo dei doppiatori di imprimere a quei prodotti l'atmosfera frizzante di commedie leggere e audaci: anche lo spettatore più disinteressato, a parere di chi scrive, non può esimersi dal notare il menefreghismo fisico e comportamentale degli attori, la banalità spesso demenziale delle situazioni ed una generale povertà di idee fotocopiate per un numero incredibile di film secondo la logica del massimo profitto mediante il maggior numero di prodotti possibile a basso profilo. Si sprecano dunque i titoli con la Levi negli anni che vanno dal 1981 al 1983, anche in virtù (o a causa, che dir si voglia) degli inserti di scene hard presenti in pellicole a cui la Tricca era assolutamente estranea (ad esempio, la versione italiana de "I racconti immorali di Manuela" a firma Gerard Damiano o nel film "Le sexy goditrici" di Jesus Franco, sempre nella sua edizione per l'Italia). Il 1983 vede la Tricca impegnata anche in produzioni oscure a tutt'oggi, di produzione ufficialmente greca e francese. Queste ultime costituiscono anzi gli unici due casi di hard in cui Gabriella concede prestazioni anali e sono divenuti, col passare degli anni, titoli di culto presso i collezionisti.
In generale, se Gabriella Tricca si serve del porno per motivazioni ufficialmente familiari, il porno non è da meno, risucchiandola spietatamente nella sua apparenza godereccia come la donna stessa testimonia in queste parole: "Ho avuto un periodo in cui mi divertivo a fare ammucchiate, andavo con le donne, non sai quante ce ne sono che ti cercano. Un'attrice importante mi ha invitato a casa sua e due secondi dopo già voleva mettermi un seno in bocca (...)"
La militanza nelle fila dell'hard all'amatriciana di Laura Levi è, come abbiamo più volte sottolineato, riconducibile direttamente all'attività filmografica di Aristide Massaccesi, il regista romano nato nel 1936, passato alle cronache del cinema di genere settantiano come Joe D'Amato, scomparso nel 1999. Nel biennio 1980- 82 Massaccesi gira quattordici porno sotto due società , la M.A.D. e la Cinema '80, utilizzando lo pseudonimo di Alexander Borsky. Caratterizzati da tempi di produzione strettissimi e dal costo medio di 55 milioni di lire, gli hard massaccesiani annoverano spesso nel loro cast la Levi, che si crea tra gli appassionati la fama di ‘attrice senza sorriso' in quanto, effettivamente, la si vede generalmente imbronciata o indisponente nelle scene ‘narrative' di questi film (che, ricordiamolo, non sono pochissime: il porno dei primi anni Ottanta è ancora solidamente legato ad una trama o canovaccio che dir si voglia, dunque permane la necessità , per quanto minima, di un abbozzo di finzione da parte degli attori coinvolti). Il nome di Laura Levi è altresi' legato ad un evento che non esitiamo a definire ‘storico' per i seguaci dell'hard che fu, ovvero l'unica produzione italiana di quello che è da considerarsi a tutti gli effetti il padre della pornografia filmata, Alberto Ferro in arte Lasse Braun: si tratta di "Un folle amore", più conosciuto come "Zozzerie di una moglie in calore" prodotto dalla Imago International. Tra un D'Amato ed un Lasse Braun la Levi si concede filmicamente agli occhi di Antonio D'Agostino in "Fashion Movie",
Mario Siciliano in "Sesso allegro" (con l'immancabile triade di attrici della prima ora Levi- Lauri- Mastrolorenzi), Giovanni Leacche in "Una ragazza vogliosa", non dimenticando i già citati due casi di anal per la regia di Henri Sala (v. Hard History del mese scorso). Un tipico esempio della massima secondo cui ‘del porno non si butta via niente' lo abbiamo ricordando l'apparizione di Laura in "Una vergine per l'Impero romano", pellicola massaccesiana del 1983 composta da scarti del ben più ambizioso film storico di sesso e violenza "Caligola- La storia mai raccontata" (scomodiamo il termine tecnico di peplum per le raffazzonate velleità storicistiche della pellicola).
Da quel che si legge, Gabriella Tricca pare, a questo punto, parte integrante di una macchina destinata a non fermarsi: più di trenta film hard in soli quattro anni, senza contare le scene di recupero e gli inserti incollati in chissà quante altre opere erotiche che il mercato ha voluto furbescamente ‘hardizzare' ad uso e consumo dei pornofili dei cinema a luci rosse italiani. Una carriera longeva e, nel suo ambito, di tutto rispetto. Che la Tricca lo facesse - o meglio, avesse cominciato a farlo - per bisogno, che vi si fosse dedicata per velleità personali o quant'atro, sta di fatto che il suo nome (o meglio, il suo pseudonimo) in questo periodo è quella che potremmo definire una ‘garanzia di qualità ': non per niente tutt'oggi i collezionisti attempati la ricordano con entusiasmo, cosi' come i neofiti ostentano rispetto alla lettura delle sue generalità .
Eppure Laura Levi non ha mai smesso di essere Gabriella Tricca, nemmeno durante quei convulsi anni di pornografia. Non ha mai abbandonato se stessa, le sue aspirazioni di donna dotata di cervello e sensibilità ragguardevoli. Sappiamo infatti che, dal 1982 al 1986, la nostra si divide fra i set hard e l'attività di imprenditrice nel settore di maglieria, mentre risale al 1988 la pubblicazione di "Bianchi paesi dell'anima", una raccolta di poesie che testimonia la durata e l'intensità del suo amore per l'arte letteraria, che diventa in questa occasione una specie di sfogo autobiografico al solito impietoso verso quella parte di se stessa che portava dentro, lucidamente, il ricordo del recente passato di attrice porno. Passato che, con la fervida attività degli anni a venire, può dirsi definitivamente remoto: dagli albori del 1990 Gabriella è infatti attivissima su molteplici fronti, da quello puramente imprenditoriale (come procacciatrice di affari in prodotti bancari, dopo un lungo periodo passato nel settore della consulenza aziendale) a quello, più singolare, di ricercatrice delle tradizioni popolari, passione che la porta nel 1997 alla pubblicazione di un volume fotografico sugli spaventapasseri nelle campagne toscane redatto assieme all'allora suo marito Giuseppe Sparnacci, di professione psicologo (il volume gode addirittura di una presentazione nell'ambito di una trasmissione della Rai). In questi anni di ritrovato entusiasmo Gabriella può anche dedicarsi intensamente alla letteratura per l'infanzia, arrivando addirittura, come scrivono A. Napoli e F. Grattarola in un articolo biografico a lei dedicato nell'ambito del Dossier sulla storia del cinema a luci rosse in Italia, alla stesura della sceneggiatura per un cortometraggio di carattere lirico ed intimista, "I fiori di herpes". Sempre attinente al sentito tema dell'infanzia è l'impegno assunto dalla Tricca nel 2003, che la vede svolgere mansioni di ispezione negli asili nidi e per i servizi dedicati ai bambini presso svariati comuni dell'area fiorentina.
Se queste ultime note personali ci danno l'immagine di un'indole straordinariamente versatile e attiva, senza dubbio contribuiscono ad infittire la figura di una donna controversa e difficilmente analizzabile in termini puramente biografici. Una personalità inquieta ed itinerante, che ha viaggiato negli ambiti più disparati senza dubbio pagando anche in prima persona alcune decisioni e scelte di vita le cui motivazioni, per quanto contraddittorie possano rimanere a distanza di un ventennio, meritano comunque spirito critico di giudizio e, soprattutto, assoluto rispetto.


Filmografia di Laura Levi

La città delle donne (Federico Fellini, v.c. del 27.03.80, ppp: 28/03/80)

Peccati a Venezia (Amasi Damiani, v.c. del 07.06.80, ppp: 07/11/80)

I racconti immorali di Manuela (Gerard Damiano, le scene della Levi sono insertate nell'edizione italiana del film)

Daniela mini- slip (altro tit. "Eros Hotel", Sergio Bergonzelli; le scene della Levi sono insertate, 1979 o 1980)

Doppio sesso incrociato (Vincenzo Savino come Jeff Hudson, v.c. del 12.09.80, ppp: 23/09/80)

Blue erotic climax (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 25.09.80, ppp: 09/10/80)

La zia svedese (Mario Siciliano, v.c. del 10.11.80, ppp: 09/12/80)

La dottoressa ci sta col colonnello (Michele Massimo Tarantini, v.c. del 28.11.80, ppp: 28/11/80; la scoperta della Levi in questa pellicola come ‘un'odalisca in topless e lingerie' è da attribuirsi ad Andrea Napoli)

Super climax (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 10.12.80, ppp: 24/12/80)

Cameriera senza ...malizia (Lorenzo Onorati come Lawrence Webber e Bruno Gaburro, v.c. del 12.12.80, ppp: 23/12/80)

Febbre a 40 (Buon compleanno, Harry) (Marius Mattei, 1980)

Le ereditiere superporno (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 13.02.81, ppp: 05/03/81)

Fashion movie (Antonio D'Agostino, v.c. del 09.03.81, ppp: 09/03/81)

Bocca golosa (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 28.03.81, ppp: 23/04/81)

Sesso allegro (Mario Siciliano come Lee Castle, v.c. del 15.04.81, ppp: 27/05/81)

La voglia (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 30.04.81, ppp: 29/05/81)

Labbra vogliose (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 25.06.81, ppp: 23/07/81)

Sesso acerbo (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 10.08.81, ppp: 17/09/81)

Voglia di sesso (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 05.11.81, ppp: 13/11/81)

Le porno investigatrici (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v.c. del 24.11.81, ppp: 16/12/81)

Agnese e... (Funny Frankenstein) (Mario Bianchi come Alan W. Cools, 1981)

Lea (Corri, seguimi, vienimi dietro) (Lorenzo Onorati come Lawrence Webber, 1981)

Brigade call girls (J. H. Lewis, 1981)

Le sexy goditrici (Jess Franco, le scene della Levi sono insertate nella versione italiana del film, 1982)

Super hard love (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Alexander Borsky, v .c. del 02.06.82, ppp: 15/06/82)

Oh...Angelina! (Bruno Vani, v.c. del 10.08.82, ppp: 01/09/82; questa è l'unica pellicola in cui la Levi è accreditata con le sue reali generalità )

La doppia bocca di Erika (Silvio Bergonzelli come Zacarias Urbiola, 1982)

Il punto proibito di una moglie (Alain Payet, 1982)

Il grande momento (Antonio D'Agostino, v.c. del 10/11/82)

Sandrine e Isabelle (Henri Sala, v.c. del 22/04/83)

Una vergine per l'impero romano (Aristide Massaccesi/ Joe D'Amato come Robert Hall, v.c. del 13/05/83)

Vieni, vieni da me, amore mio (Mario Bianchi come Alan W. Cools, v.c. del 24/05/83)

Una ragazza vogliosa (Giovanni Leacche, 1983)

Madame Helene (Henri Sala, v.c. del 15/09/83)

Sapore di zia (Giovanni Leacche, 1984)

Porcellone e porcellini (Raniero di Giovanbattista, 1985)

Zozzerie di una moglie in calore (tit. originale "Un folle amore", Alberto Ferro/ Lasse Braun, v.c. del 28/11/1988)


Fonti:
Napoli, Andrea e Franco Grattarola, ‘Blue Dossier- La lunga marcia del cinema a luci rosse' in "Blue", Agosto 2003, Coniglio Editore, Roma.

P.S. La prima parte di questo art. è stata pubblicata nel num. di videoimpulse di Dicembre. La seconda e la terza parte sono ad essa connesse.
Non parlo con le pedine (Kyrie Irving)
Io mi limito a giocare a basket e lascio che Dio faccia il resto (Michael Beasley)
In rete c’è troppo di tutto ed è meglio “spegnere” ogni tanto (Fabban)

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