(OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Dos hai visto Ursula? Ursula è bbbonaaaa...la tedesca buona nostra alleata contro il Barbaro del Nord
“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
In realtà bisognerebbe calcolare quanti soldi dovrebbe ridare l'europa per andare pari con quelli che ha versato l'italia negli ultimi decenni.Drogato_ di_porno ha scritto: ↑16/06/2020, 0:15In realtà se vanno in porto gli accordi appena presi in Europa l'Italia passerebbe da contributore netto a beneficiario netto con un saldo positivo di 26 miliardi:bellavista ha scritto: ↑15/06/2020, 23:38è un esempio un po’ semplicistico e comunque inesatto.Salieri D'Amato ha scritto: ↑15/06/2020, 23:16Mi sembra di capire che alcuni vorrebbero che l'Italia facesse un po' il cazzo che gli pare, senza imposizioni da nessuno, ma al contempo ricevere aiuti dall'Europa (possibilmente a fondo perduto), senza mettersi in condizione non solo di dover ricambiare la cosa, ma di non dire neppure grazie.
Come dire si vorrebbe la botte piena, la moglie ubriaca e andarsene pure al bar a bere un grappino offerto dagli amici.![]()
Ovviamente Conte non ci riuscirà mai e avremo buon gioco per attaccarlo, questo incapace conclamato!![]()
L’europa non da nessun aiuto per la semplice ragione che i soldi che versa l’italia sono più di quelli che prende. Tecnicamente si dice che è un contribuente netto.
Per farti un esempio altrettanto semplice di quello del barista, è come se tu dai la paghetta a tuo figlio e poi tuo figlio ti ridà indietro un po’ della paghetta ma per farlo ti impone condizioni capestro e nel frattempo ti dice anche che sei un cattivo padre che non sa gestire i soldi![]()
Ecco diciamo che come esempio questo calza di più con l’europa che prende i soldi italiani e poi quando te ne ridà un po’ ti insulta![]()
Il tempo dirà se è vero, è tutto in fieriUe, saldo positivo per l'Italia. Gli aiuti superano il nostro contributo al bilancio comune
La Commissione europea ha messo in campo un complesso meccanismo di sostegni e prestiti ai Paesi in difficoltà. E il nostro riceverà più soldi di quanti ne versa per il funzionamento dell'Unione
https://www.repubblica.it/economia/2020 ... 257812727/
Una volta che li ridarà tutti si potrà dire che l'italia sta ricevendo soldi

Qui habet, dabitur ei. E comunque: Stikazzi
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Da come ne parla mi sa che giuseppi una botta gliel'ha data alla urusla.Drogato_ di_porno ha scritto: ↑16/06/2020, 0:45Dos hai visto Ursula? Ursula è bbbonaaaa...la tedesca buona nostra alleata contro il Barbaro del Nord
Vai giuseppi tu si che sei un seduttore

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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
ah dici che si è innamorata la filantropa... eppure ho sempre creduto che conte fosse un tipo da botta e via,quindi se lei si è presa la cotta e lui la tradisce poi siamo noi a rischiare il culo.
Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Drugat so che ami il sadomasochismo ma con questa belva della Gestapo ci rimaniamo secchiDrogato_ di_porno ha scritto: ↑16/06/2020, 0:45Dos hai visto Ursula? Ursula è bbbonaaaa...la tedesca buona nostra alleata contro il Barbaro del Nord

- GiarneseUmnberto
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
ritengo che Di Battista si sia incazzato in queste ore perché si è sentito escludere,sospetta che Conte gli fa le scarpe e prende il suo posto,d'altronde è naturale che il 5 stelle che ormai allo sbando possa trarre un minimo di giovamento da questa acquisizione,conviene ad entrambi perché a Conte se si fa un partito finisce come Monti.
Di Battista ormai si era abituato a rimanere in italia più di 1 giorno e quindi vuole prendere la leadership,sembrano lontani i suoi viaggi sul kilimangiario o nelle lontane grotte del krizikistan. A questo punto reputo Grillo come un padre padrone che vuole escludere Di Battista ed espropriarlo.
Di Battista ormai si era abituato a rimanere in italia più di 1 giorno e quindi vuole prendere la leadership,sembrano lontani i suoi viaggi sul kilimangiario o nelle lontane grotte del krizikistan. A questo punto reputo Grillo come un padre padrone che vuole escludere Di Battista ed espropriarlo.
Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
VISTI DAL COLLE/ Guadagnare tempo per non votare: Mattarella boccia la linea Conte
Con gli stati generali Conte vuole solo guadagnare tempo per chiudere la finestra di un voto politico in autunno. Ecco le tappe successive
Più chiaro di così Sergio Mattarella non poteva essere: la riflessione avviata in questi giorni deve saper arrivare a risultati concreti. Detto sabato, nelle stesse ore in cui si avviavano gli “Stati generali” di Villa Pamphili, queste parole possono avere un’unica lettura, che il Quirinale teme di trovarsi davanti a tanto fumo e a niente arrosto. E per chi avesse dubbi sull’interpretazione del pensiero del presidente della Repubblica si rifletta sulla richiesta “che l’impegno sia corale, autentico, aperto. Che abbia lo sguardo rivolto al futuro, e non a effimeri interessi personali o di parte, a rendite di posizione, a stasi o rinunzie frutto di timore”.
Senza dubbio sabato a Giuseppe Conte sono fischiate le orecchie. È lui il primo destinatario del richiamo, anche se non l’unico, perché di certo c’era anche un invito all’opposizione a non sottrarsi al confronto, sotto forma di auspicio alla partecipazione. Al contrario, la richiesta di dialogo e ascolto era senza dubbio rivolta al premier di un governo che sinora alla minoranza non ha concesso assolutamente nulla.
Ma ancor prima dei contenuti, il discrimine è il fattore tempo. Mattarella teme che quella “attesa esigente” che sente nel paese vada delusa. In troppi vedono negli Stati generali un artificio per prendere tempo. Per quale ragione?
Due, essenzialmente. La prima consiste nel cercare di allungare la vita del governo mettendo una quantità esagerata di carne al fuoco, partorendo (con calma) un programma enciclopedico, un libro dei sogni tanto vasto quanto irrealizzabile. E allungando il brodo si ottiene l’altro effetto, chiudere ogni finestra a possibili crisi di governo che possano scivolare verso il voto.
Fantapolitica? Proviamo a mettere in fila un po’ di ascendenze istituzionali. Tirarla per le lunghe adesso nel definire il piano di rilancio del paese ha l’effetto di chiudere l’ipotetica finestra elettorale di settembre, guarda caso quella che con grande ritardo il centrodestra ha provato a reclamare, per la verità con poca convinzione e senza serie carte in mano per ottenerla.
Il 20 e 21 settembre (la data è ormai pressoché certa) non si voterà quindi per il rinnovo del Parlamento, ma per sei consigli regionali, un migliaio di comuni e soprattutto per il referendum confermativo della riforma costituzionale che prevede il taglio del numero dei parlamentari. Dando per scontata una larga affermazione del sì, si apre poi una fase di adeguamento della legge elettorale ai nuovi numeri, 400 deputati e 200 senatori. Vanno come minimo ridisegnati i collegi elettorali, ma la maggioranza è intenzionata a riprendere in mano la riscrittura sostanziale del Rosatellum. Potrebbe esserci addirittura un’accelerazione intorno al “Brescellum”, dal nome del presidente della commissione Affari Costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia, su cui la maggioranza aveva trovato un’intesa politica alla vigilia del lockdown. Si andrebbe nella direzione di un sistema proporzionale con sbarramento nazionale al 5% e senza coalizioni. Un sistema che sembra fatto su misura per sbarrare la strada di una vittoria al centrodestra, che resta saldamente in testa secondo tutti i sondaggi, con almeno sei punti di vantaggio sull’area di governo. Numeri larghi, che il Rosatellum potrebbe trasformare in una comoda maggioranza parlamentare, e poco conta che sia in corso dentro questo schieramento una cospicua redistribuzione dei consensi fra Lega e Fratelli d’Italia.
La fase di riscrittura della legge elettorale, fra dibattito parlamentare e definizione dei collegi, potrebbe per mesi rendere impossibile il ricorso alle urne, rendendo di fatto ineluttabile la prosecuzione dell’esperienza di governo giallorossa. La data chiave a quel punto diventa il 3 agosto 2021, quando comincerà l’ultimo semestre della presidenza Mattarella, quel “semestre bianco”, in cui il Capo dello Stato perde il potere di sciogliere le Camere.
A
Con gli stati generali Conte vuole solo guadagnare tempo per chiudere la finestra di un voto politico in autunno. Ecco le tappe successive
Più chiaro di così Sergio Mattarella non poteva essere: la riflessione avviata in questi giorni deve saper arrivare a risultati concreti. Detto sabato, nelle stesse ore in cui si avviavano gli “Stati generali” di Villa Pamphili, queste parole possono avere un’unica lettura, che il Quirinale teme di trovarsi davanti a tanto fumo e a niente arrosto. E per chi avesse dubbi sull’interpretazione del pensiero del presidente della Repubblica si rifletta sulla richiesta “che l’impegno sia corale, autentico, aperto. Che abbia lo sguardo rivolto al futuro, e non a effimeri interessi personali o di parte, a rendite di posizione, a stasi o rinunzie frutto di timore”.
Senza dubbio sabato a Giuseppe Conte sono fischiate le orecchie. È lui il primo destinatario del richiamo, anche se non l’unico, perché di certo c’era anche un invito all’opposizione a non sottrarsi al confronto, sotto forma di auspicio alla partecipazione. Al contrario, la richiesta di dialogo e ascolto era senza dubbio rivolta al premier di un governo che sinora alla minoranza non ha concesso assolutamente nulla.
Ma ancor prima dei contenuti, il discrimine è il fattore tempo. Mattarella teme che quella “attesa esigente” che sente nel paese vada delusa. In troppi vedono negli Stati generali un artificio per prendere tempo. Per quale ragione?
Due, essenzialmente. La prima consiste nel cercare di allungare la vita del governo mettendo una quantità esagerata di carne al fuoco, partorendo (con calma) un programma enciclopedico, un libro dei sogni tanto vasto quanto irrealizzabile. E allungando il brodo si ottiene l’altro effetto, chiudere ogni finestra a possibili crisi di governo che possano scivolare verso il voto.
Fantapolitica? Proviamo a mettere in fila un po’ di ascendenze istituzionali. Tirarla per le lunghe adesso nel definire il piano di rilancio del paese ha l’effetto di chiudere l’ipotetica finestra elettorale di settembre, guarda caso quella che con grande ritardo il centrodestra ha provato a reclamare, per la verità con poca convinzione e senza serie carte in mano per ottenerla.
Il 20 e 21 settembre (la data è ormai pressoché certa) non si voterà quindi per il rinnovo del Parlamento, ma per sei consigli regionali, un migliaio di comuni e soprattutto per il referendum confermativo della riforma costituzionale che prevede il taglio del numero dei parlamentari. Dando per scontata una larga affermazione del sì, si apre poi una fase di adeguamento della legge elettorale ai nuovi numeri, 400 deputati e 200 senatori. Vanno come minimo ridisegnati i collegi elettorali, ma la maggioranza è intenzionata a riprendere in mano la riscrittura sostanziale del Rosatellum. Potrebbe esserci addirittura un’accelerazione intorno al “Brescellum”, dal nome del presidente della commissione Affari Costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia, su cui la maggioranza aveva trovato un’intesa politica alla vigilia del lockdown. Si andrebbe nella direzione di un sistema proporzionale con sbarramento nazionale al 5% e senza coalizioni. Un sistema che sembra fatto su misura per sbarrare la strada di una vittoria al centrodestra, che resta saldamente in testa secondo tutti i sondaggi, con almeno sei punti di vantaggio sull’area di governo. Numeri larghi, che il Rosatellum potrebbe trasformare in una comoda maggioranza parlamentare, e poco conta che sia in corso dentro questo schieramento una cospicua redistribuzione dei consensi fra Lega e Fratelli d’Italia.
La fase di riscrittura della legge elettorale, fra dibattito parlamentare e definizione dei collegi, potrebbe per mesi rendere impossibile il ricorso alle urne, rendendo di fatto ineluttabile la prosecuzione dell’esperienza di governo giallorossa. La data chiave a quel punto diventa il 3 agosto 2021, quando comincerà l’ultimo semestre della presidenza Mattarella, quel “semestre bianco”, in cui il Capo dello Stato perde il potere di sciogliere le Camere.
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
poi ci si chiede per quale ragione la gente qui sta incazzata ovunque in questo Paese,uno cerca di riaprire e cercare di campare con quello che riesce rimboccandosi le maniche,lavorando in maniera onesta e poi arriva la burocrazia che quando deve rompere le scatole ai cittadini è sempre in prima fila.
Cassiera a 80 cm dal cliente invece di un metro: Conad chiuso per 5 giorni
Sigilli da ieri al supermercato Conad del centro commerciale Vittoria: 5 giorni di chiusura forzata a seguito di una ispezione della polizia locale di Mira per le norme anti-Covid. I controlli furono a marzo: gli agenti verificarono i mancati rispetti della distanza fraclienti e una cassiera: erano 80 centimetri e non il canonico metro.
Nonostante i chiarimenti degli esercenti, la famiglia Marzola, è arrivato il provvedimento. E davanti alla cassiera avevano anche installato un plexiglas di protezione. Inflessibile la polizia locale l'accertamento e così, ieri mattina 14 giugno, è apparso un cartello all'ingresso del supermercato posto dai carabinieri di Mira. Il supermercato che si trova al centro commerciale Vittoria è in chiusura provvisoria su disposizione del Prefetto di Venezia fino a mercoledì
https://www.ilgazzettino.it/nordest/ven ... 88880.html
Cassiera a 80 cm dal cliente invece di un metro: Conad chiuso per 5 giorni
Sigilli da ieri al supermercato Conad del centro commerciale Vittoria: 5 giorni di chiusura forzata a seguito di una ispezione della polizia locale di Mira per le norme anti-Covid. I controlli furono a marzo: gli agenti verificarono i mancati rispetti della distanza fraclienti e una cassiera: erano 80 centimetri e non il canonico metro.
Nonostante i chiarimenti degli esercenti, la famiglia Marzola, è arrivato il provvedimento. E davanti alla cassiera avevano anche installato un plexiglas di protezione. Inflessibile la polizia locale l'accertamento e così, ieri mattina 14 giugno, è apparso un cartello all'ingresso del supermercato posto dai carabinieri di Mira. Il supermercato che si trova al centro commerciale Vittoria è in chiusura provvisoria su disposizione del Prefetto di Venezia fino a mercoledì
https://www.ilgazzettino.it/nordest/ven ... 88880.html
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Un altro volpone
Orban si convince da solo (senza Salvini), il Recovery fund gli serve
Dopo aver ‘sparato’ contro per settimane, il premier ungherese Viktor Orban ha deciso di sostenere il ‘recovery fund’ varato dalla Commissione europea per rispondere alla crisi economica da Covid. Pur “riluttante”, ha detto Orban già venerdì scorso in un’intervista radiofonica, “devo ammettere che dobbiamo usare questo strumento”, ma “i soldi devono essere distribuiti equamente. Non si può prendere in giro l’Europa dell’est, non siamo scemi”.
In vista del Consiglio europeo di venerdì prossimo, il leader più ‘pesante’ del blocco dei paesi di Visegrad ammorbidisce dunque la sua posizione sul piano di ricostruzione europeo. Non per merito di Matteo Salvini che oggi, rintuzzando a Giuseppe Conte (“Convincete Visegrad”, aveva chiesto il premier al centrodestra nella prima giornata degli Stati generali dell’economia), garantisce che “Orban sostiene le richieste dell’Italia”. L’ungherese invece fa un gioco tattico per ottenere di più per la sua Ungheria, preoccupata come gli altri paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) di perdere il posto come privilegiati dai fondi europei in base al Pil (basso), superati dai paesi più colpiti dal virus come l’Italia.
Di fatto, l’Ungheria non ha vissuto una vera emergenza Covid: ad oggi, poco più di 4mila casi, meno di 600 decessi. Però il leader di Fidesz non vuole restare indietro rispetto ai 750 miliardi di euro che il Recovery fund dovrebbe mettere a disposizione (secondo la proposta della Commissione europea), tra sussidi e prestiti. Per questo, Orban pianta i suoi paletti in vista della trattativa che a partire da venerdì entra nel vivo: può darsi che siano necessari ben due consigli europei straordinari a luglio per l’intesa a 27. Sul recovery fund infatti ognuno dei 27 Stati membri dell’Ue gioca la sua partita e la trattativa è ancora in salita.
Intanto, i paesi di Visegrad si presentano in un’unica squadra, come al solito. Divisi semmai dalla competizione interna allo stesso blocco, come al solito: non c’è legame sovranista che tenga due paesi insieme, prevale l’interesse nazionale. Dentro Visegrad, ognuno pensa a ottenere di più per il proprio paese anche a scapito dell’alleato. Però giovedì scorso i premier di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia hanno concordato una linea comune in un vertice in Moravia (Repubblica Ceca).
Tra i quattro, la Polonia è la più colpita dal coronavirus: oltre 29mila casi, oltre 1200 decessi. Varsavia figura al terzo posto nella ripartizione degli aiuti del recovery fund: ben 64mld di euro, dopo l’Italia (172) e la Spagna (140). Una ripartizione che però non lascia contenti Stati membri che hanno conosciuto un’emergenza molto più grave, come il Belgio, per esempio, che ha oltre 60mila casi di covid e quasi 10mila morti. Ma il premier polacco Mateusz Morawiecki - a capo dell’esecutivo del Pis, il partito del sovranista Jarosław Kaczyński - insiste e attacca quei paesi europei che usufruiscono di sconti (‘rebates’) sui loro contributi al bilancio dell’Ue (Germania, Olanda, Austria e altri) perchè usano meno fondi europei rispetto ad altri Stati. “I Paesi dell’Ue più ricchi dovrebbero pagare di più nel bilancio dell’Unione sulla scia della ripresa economica”, è il ragionamento di Morawiecki dopo il vertice in Moravia. “Non dovrebbero esserci sconti nel bilancio dell’Ue per quei Paesi che sono più ricchi”.
Il premier ceco Andrej Babis, liberale a capo di un’alleanza di governo con i socialdemocratici, sostiene che “il criterio principale” dell’assegnazione delle risorse “debba essere il crollo del Pil, da valutare all’inizio del prossimo anno” in ogni Stato dell’Unione, e non la diffusione dell’epidemia. La Repubblica Ceca ha oltre 10mila casi di covid, 330 decessi.
Anche la Slovacchia teme di non avere molti ‘titoli epidemici’ per attingere al recovery fund, in quanto ha avuto ‘solo’ 28 decessi e poco più di 1500 casi di coronavirus. Per questo, il premier Igor Matovi, conservatore del Ppe che governa anche con i sovranisti, ce l’ha con i paesi del sud: “Dovremmo evitare che un Paese con più o meno la stessa popolazione e più o meno lo stesso Pil pro capite che si trovi in Europa meridionale trarrà vantaggio dal programma molto più di un paese dell’Europa centrale”.
Tutta tattica, per ottenere di più da ‘mamma Europa’. E’ questo il gioco dei sovranisti, da Orban in giù. E il Covid esalta ulteriormente le richieste nazionali.
Poi ci sono le resistenze del ‘solito’ blocco del nord: i frugali. Olanda, Danimarca, Austria, Svezia spingono per ridurre l’ammontare dei sussidi e per ridimensionare il fondo: da 750 a 500 miliardi, come ha chiesto anche lo stesso ministro dell’Economia tedesco Olaf Scholz nell’ultima riunione dell’Ecofin proprio per mediare con i frugali.
Venerdì dunque si entra nel vivo della trattativa, partendo da posizioni ancora distanti e con il rischio che il recovery fund esca dimagrito dal negoziato a 27.
“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Patacca è Patacca rimane
Tutti (o quasi) i media italiani, ormai di regime europeo, hanno titolato a tutta pagina il grande evento dell’arrivo dei 750 mld del Recovery Fund, deridendo i “gufi sovranisti” che sarebbero così stati smentiti dalla generosità della Commissione europea.
Matteo Renzi, persona notoriamente molto attendibile, ha scritto su Twitter: “Molto bene la proposta della Commissione europea sul Recovery Fund. Unione europea batte populisti 750 (miliardi) a zero”. Anche nel mondo della destra qualche pasdaran europeista si è compiaciuto parlando di svolta e di smentita delle tesi sovraniste.
Ma, purtroppo per loro e per noi, le cose non stanno affatto in questi termini e anzi, guardando le cose con realismo, tutto lascia intendere che siamo di fronte a una vera e propria “truffa”. Ursula von der Leyen ha proposto un vero e proprio “Fondo Truffa”.
Innanzitutto sottolineiamo che si tratta di un “Commission Staff Working Document” quindi solo di una proposta che dovrà passare al vaglio dei vari governi tramite trattative infinite che richiederanno mesi di tempo per arrivare ad una soluzione definitiva, la quale, poi, molto probabilmente sarà completamente diversa da quella attuale. Ricordiamoci che per far passare questa proposta è necessaria l’unanimità del Consiglio europeo e quindi anche un solo paese membro – ad esempio l’Olanda – ha diritto di veto… e immaginate quante trattative e concessioni si dovranno fare per far venire meno questi veti.
Ma anche prendendo per buona questa proposta, le cose non stanno come le hanno raccontate: 172 miliardi di “aiuti” per l’Italia, 80 dei quali addirittura a fondo perduto.
Messa cosi la cifra potrebbe anche apparire adeguata, quasi il 10% del nostro PIL. Ma se guardiamo le tabelle all’interno del documento della Commissione scopriamo innanzitutto che il totale dei soldi che l’Italia dovrebbe ricevere non è 172 mld ma bensì 153 mld. Poi ci rendiamo conto che di quella cifra di 153 mld, ben 96,3 dovranno essere versati dal nostro paese come contributo al Bilancio europeo. Quindi con una semplice sottrazione arriviamo facilmente a definire quale sarebbe la cifra netta che spetta al nostro paese: 56,7 miliardi di euro pari appena al 3,2% del nostro PIL spalmati in 4 anni, quindi 0,8% del PIL all’anno.
Solo una parte di questi 56,7 mld sono a fondo perduto, gli altri saranno prestiti che naturalmente dovranno essere restituiti. Oltre a questo tutti i flussi che arriveranno, sia quelli a fondo perduto che quelli a prestito, saranno soggetti a condizionalità ed a vincoli di destinazione. Cioè saranno le autorità di Bruxelles a dirci come e dove dovranno essere spesi…
Infine si parla del 2021 come anno di entrata in vigore del “Recovery Fund” ma perfino Mario Monti ha confermato, in diretta all’Aria che Tira, che già per il 2021 sarebbe un miracolo: “di solito ci vogliono due anni per l’approvazione, speriamo che facciano in fretta”. In attesa dell’approvazione di questo fondo dovrmo addattarci, secondo le logiche “europeiste”, ad utilizzare il MES, il fondo salva-stati con tutte le sue trappole.
In conclusione, tirando le somme della proposta, questa risulta, come da evidenza numerica, completamente insufficiente se comparata con il PIL del nostro paese e con il suo più che certo crollo, già stimato con un meno 15% per il primo semestre del 2020.
Se poi la confrontiamo con quanto stanno facendo i governi degli altri paesi nel mondo per risollevare le loro economie, i valori sono distanti anni luce. Ma loro hanno i dollari, le sterline, gli yen, cioè una moneta che controllano direttamente, una Banca Centrale che risponde al governo e che a comando con un “click” riempie le casse del Tesoro per poter spendere immediatamente.
Noi invece siamo alle proposte della Commissione ed a chi la spara più grossa sui giornali e tra i politici nostrani.
Tutti (o quasi) i media italiani, ormai di regime europeo, hanno titolato a tutta pagina il grande evento dell’arrivo dei 750 mld del Recovery Fund, deridendo i “gufi sovranisti” che sarebbero così stati smentiti dalla generosità della Commissione europea.
Matteo Renzi, persona notoriamente molto attendibile, ha scritto su Twitter: “Molto bene la proposta della Commissione europea sul Recovery Fund. Unione europea batte populisti 750 (miliardi) a zero”. Anche nel mondo della destra qualche pasdaran europeista si è compiaciuto parlando di svolta e di smentita delle tesi sovraniste.
Ma, purtroppo per loro e per noi, le cose non stanno affatto in questi termini e anzi, guardando le cose con realismo, tutto lascia intendere che siamo di fronte a una vera e propria “truffa”. Ursula von der Leyen ha proposto un vero e proprio “Fondo Truffa”.
Innanzitutto sottolineiamo che si tratta di un “Commission Staff Working Document” quindi solo di una proposta che dovrà passare al vaglio dei vari governi tramite trattative infinite che richiederanno mesi di tempo per arrivare ad una soluzione definitiva, la quale, poi, molto probabilmente sarà completamente diversa da quella attuale. Ricordiamoci che per far passare questa proposta è necessaria l’unanimità del Consiglio europeo e quindi anche un solo paese membro – ad esempio l’Olanda – ha diritto di veto… e immaginate quante trattative e concessioni si dovranno fare per far venire meno questi veti.
Ma anche prendendo per buona questa proposta, le cose non stanno come le hanno raccontate: 172 miliardi di “aiuti” per l’Italia, 80 dei quali addirittura a fondo perduto.
Messa cosi la cifra potrebbe anche apparire adeguata, quasi il 10% del nostro PIL. Ma se guardiamo le tabelle all’interno del documento della Commissione scopriamo innanzitutto che il totale dei soldi che l’Italia dovrebbe ricevere non è 172 mld ma bensì 153 mld. Poi ci rendiamo conto che di quella cifra di 153 mld, ben 96,3 dovranno essere versati dal nostro paese come contributo al Bilancio europeo. Quindi con una semplice sottrazione arriviamo facilmente a definire quale sarebbe la cifra netta che spetta al nostro paese: 56,7 miliardi di euro pari appena al 3,2% del nostro PIL spalmati in 4 anni, quindi 0,8% del PIL all’anno.
Solo una parte di questi 56,7 mld sono a fondo perduto, gli altri saranno prestiti che naturalmente dovranno essere restituiti. Oltre a questo tutti i flussi che arriveranno, sia quelli a fondo perduto che quelli a prestito, saranno soggetti a condizionalità ed a vincoli di destinazione. Cioè saranno le autorità di Bruxelles a dirci come e dove dovranno essere spesi…
Infine si parla del 2021 come anno di entrata in vigore del “Recovery Fund” ma perfino Mario Monti ha confermato, in diretta all’Aria che Tira, che già per il 2021 sarebbe un miracolo: “di solito ci vogliono due anni per l’approvazione, speriamo che facciano in fretta”. In attesa dell’approvazione di questo fondo dovrmo addattarci, secondo le logiche “europeiste”, ad utilizzare il MES, il fondo salva-stati con tutte le sue trappole.
In conclusione, tirando le somme della proposta, questa risulta, come da evidenza numerica, completamente insufficiente se comparata con il PIL del nostro paese e con il suo più che certo crollo, già stimato con un meno 15% per il primo semestre del 2020.
Se poi la confrontiamo con quanto stanno facendo i governi degli altri paesi nel mondo per risollevare le loro economie, i valori sono distanti anni luce. Ma loro hanno i dollari, le sterline, gli yen, cioè una moneta che controllano direttamente, una Banca Centrale che risponde al governo e che a comando con un “click” riempie le casse del Tesoro per poter spendere immediatamente.
Noi invece siamo alle proposte della Commissione ed a chi la spara più grossa sui giornali e tra i politici nostrani.
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
dos non sapevo esistesse addirittura un "quotidiano sovranista": www.qelsi.it
“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Preferisco questoDrogato_ di_porno ha scritto: ↑16/06/2020, 2:43dos non sapevo esistesse addirittura un "quotidiano sovranista": www.qelsi.it
Debito pubblico e lotta di classe nell'Unione europea
di Giulio Palermo
image8987jLa crisi da coronavirus ha colto di sorpresa l’Unione europea. Quest’ultima era ancora alle prese con la crisi del debito pubblico iniziata nel 2009 e con un sistema bancario molto esposto su questo fronte. Nel campo dell’economia reale, poi, diversi paesi erano in recessione e, nonostante i livelli favorevoli dei tassi d’interesse, gli investimenti rimanevano compressi dalle basse aspettative di crescita e dalle difficili situazioni patrimoniali delle imprese. Sul mercato del lavoro, l’arretramento sul fronte dei salari e dei diritti, in un contesto di precarietà diffusa, non ha affatto stimolato la crescita — come promesso dalle ricette neoliberiste — ma, al contrario, ha compresso ulteriormente la domanda. Il blocco della produzione e le conseguenti tensioni sui mercati finanziari innescati dall’emergenza coronavirus si inseriscono in questo contesto di crisi preesistente.
Prima del coronavirus, l’Unione aveva affrontato la crisi del debito pubblico di singoli stati o, sarebbe più corretto dire, di singole banche. Nel caso della Grecia, ad esempio, la gestione della crisi da parte delle istituzioni europee fu un’abile manovra per salvare le banche francesi, tedesche e olandesi più esposte sui titoli del debito greco e far pagare tutto ai lavoratori greci. Perché una cosa è certa nei rapporti interni all’Unione: gli stati e i capitali nazionali non hanno tutti lo stesso ruolo e lo stesso peso. Dicendo di salvare lo stato greco, in realtà si salvavano le banche dei paesi europei più forti. Il tutto imponendo dure riforme contro i lavoratori greci redatte direttamente dalle istituzioni internazionali.
Ora il problema è che ad essere in crisi è l’intero sistema economico-finanziario dell’Unione. L’Europa non è come la Cina. In Cina, la pianificazione economica gioca un ruolo importante nel coordinamento e nel finanziamento delle attività produttive. Spegnere e riaccendere l’interruttore del processo produttivo ha creato sì qualche problema, ma ha funzionato. L’Europa sta invece accusando il colpo. Quando il capitale non circola, cessa di produrre valore. Interrompere il flusso, per molte imprese, significa il fallimento. Il quale inevitabilmente si ripercuote sui fornitori e sugli acquirenti. In mancanza di un coordinamento centrale, la crisi ha effetti a catena. Nemmeno le imprese più solide sul piano finanziario possono ritenersi al sicuro poiché l’aver superato la fase del lockdown non significa affatto ritrovare le condizioni di mercato preesistenti.
Per questo, sui mercati finanziari l’Europa è la più penalizzata, sia rispetto alle borse americane (trainate al rialzo dal boom dei titoli tecnologici), sia rispetto a quelle asiatiche. Nel settore tecnologico, a guadagnare non sono solo le Fang made in Usa (Facebook, Amazon, Netflix e Google, i colossi tecnologici che dettano legge sul Nasdaq e nel mondo reale e che durante la crisi hanno moltiplicato i loro profitti, in inglese “fang” significa zanna, azzannare). Anche in Europa, le vere vincitrici nella crisi da coronavirus sono le imprese tecnologiche, impegnate nel processo di digitalizzazione della società, rinvigorito proprio dalle modalità di gestione della crisi e dalle trasformazioni di lungo periodo nella vita sociale.
Ma l’alta tecnologia non è tutto e sui listini europei pesano i settori tradizionali e i bancari. E il problema non è certo confinato alle imprese quotate. Al contrario, riguarda tutto il mondo produttivo, fatto di piccole e medie imprese, molte delle quali già sanno che non ce la faranno a ripartire. Per non parlare di tutte le attività in proprio o a conduzione familiare spazzate via dal lockdown.
Se non intervengono gli stati in soccorso del capitale bancario e industriale, i fallimenti saranno generalizzati e l’Unione stessa rischia di disgregarsi. Non si tratta di salvare singoli gruppi bancari che hanno giocato col fuoco con titoli ad alto rischio. Si tratta di salvare i capitali di tutt’Europa. Questa volta, i margini per gli interessi particolari dei singoli capitali e dei singoli paesi sono ridotti e, se non si vuole che salti tutto, deve prevalere l’interesse generale del capitale finanziario unito.
La logica dell’Unione europea
Il capitale, scrive Marx, va sempre visto nella sua duplice veste di un’entità unica, organica, dotata di leggi proprie di funzionamento (nel Capitale, Marx lo chiama il “capitale totale sociale”) e di un insieme di singoli capitali in concorrenza tra loro. Non è possibile comprendere l’accumulazione capitalistica senza comprendere le leggi del capitale totale sociale e i rapporti tra i singoli capitali che lo costituiscono.
Non si tratta di un mero espediente di analisi. Il capitale è sempre al tempo stesso un’entità organica che si confronta con la classe lavoratrice nel processo di produzione del valore ma è anche un insieme di singoli capitali che competono tra loro per aggiudicarsi una porzione più o meno grande di questo valore estratto alla classe lavoratrice.
L’Unione europea costituisce un quadro istituzionale all’interno del quale il capitale agisce come entità organica e, allo stesso tempo, offre i canali per ricomporre gli interessi specifici dei singoli capitali nazionali secondo i loro rapporti di forza. I capitali nazionali restano in concorrenza tra loro e conservano ciascuno i propri interessi particolari ma, piuttosto che rapportarsi tra loro in modo conflittuale, trovano nelle sedi dell’Unione la possibilità di ricomporre i loro contrasti e far valere i loro interessi comuni.
Dal punto di vista dei rapporti di classe, il progetto di un’unione anche monetaria aggiunge poi ai benefici derivanti da questo maggiore coordinamento dei capitali l’aumento della concorrenza tra i lavoratori. In un sistema di tassi di cambio fissi, infatti, la concorrenza internazionale nella produzione di merci si scarica interamente sul mercato del lavoro. Nell’impossibilità di recuperare competitività attraverso la svalutazione della moneta, l’unico modo per per rendere più economiche le proprie merci consiste nel comprimere i costi, con innovazioni tecnologiche o con semplici decurtazioni salariali.
Nella zona euro, la gara competitiva sul mercato dei beni si traduce così in una gara al ribasso sui salari. Nei rapporti tra capitali internazionali, viene premiato il capitale del paese che comprime meglio i salari in rapporto alla crescita della produttività. Nei rapporti capitale/lavoro, vince il capitale europeo nel suo insieme sulle classi lavoratrici di tutti gli stati membri. Un capitale guadagna più di un altro, secondo i rapporti di forza internazionali ma, nel suo insieme, il capitale avanza e la classe lavoratrice indietreggia. In questo quadro, il compito dello stato diventa essenzialmente quello di reprimere la dinamica salariale interna per promuovere i capitali nazionali nel contesto internazionale.
Questa è la logica dell’Unione europea e dell’euro: lavoratori di ogni paese divisi e in concorrenza tra loro nella gara a chi soddisfa meglio gli appetiti del capitale internazionale e il capitale unito che si spartisce i benefici dell’aumento generalizzato dello sfruttamento, secondo i propri rapporti di forza interni.
La politica dell’Unione europea prima del coronavirus
Negli ultimi anni, il bilancio complessivo dell’Unione europea ha oscillato tra i 140 i 160 miliardi di euro. Nel 2018, lo stato italiano ha versato circa 17 miliardi (l’1% del Pil) dei 157 miliardi incassati dall’Unione europea, ricevendo in cambio circa 10 miliardi di finanziamenti europei a beneficio di imprese e altri soggetti economici italiani (senza Unione Europea, lo stato avrebbe dunque potuto fare gli stessi interventi, risparmiando circa 7 miliardi di euro, o avrebbe potuto utilizzare questi fondi per interventi diversi, rispondenti alle priorità nazionali invece che a quelle europee).
Si tratta di cifre relativamente piccole rispetto al bilancio complessivo degli stati. In Italia, nel 2018, entrate fiscali e spesa pubblica sono state pari a 818 miliardi (il 46,6% del Pil) e 857 miliardi (il 48,9% del Pil) rispettivamente. Vale la pena di notare che, come ogni anno, l’Italia è in disavanzo (39 miliardi) e, come ogni anno, dal 1992, l’Italia è in avanzo primario: tolta la spesa per interessi sul debito, pari a 64 miliardi, la spesa pubblica primaria è infatti di 793 miliardi, con un avanzo primario di 25 miliardi. Questo giusto per sottolineare che lo stato italiano non ha bisogno di nessun aiuto dell’Unione europea, né del mondo bancario. Sono infatti i soldi del contribuente italiano a finanziare le politiche dell’unione e le banche europee, non il contrario.
Ma restiamo alle politiche europee. Il bilancio dell’Unione ha scopi essenzialmente strategici e si concentra sulla voce investimenti. Si tratta di una voce chiave attraverso la quale le istituzioni europee promuovono particolari traiettorie tecnologiche secondo gli interessi strategici del capitale internazionale. Gli stati versano l’1% del Pil all’Unione e l’Unione decide quali progetti, quali settori e quali imprese finanziare.
Questo trasferimento dei poteri dallo stato alle istituzioni dell’Unione si rafforza nelle fasi di crisi del debito dei singoli stati. È infatti quando lo stato è ormai alla bancarotta che le istituzioni internazionali possono dettare le proprie condizioni sulle politiche economiche nazionali. Le necessità del paese passano così in secondo piano e la riforme economiche le scrive direttamente la Troika — formata dalla Commissione euorpea, la Banca centrale europea (Bce), e il Fondo monetario internazionale — in nome degli interessi dei creditori.
Prima del coronavirus, la strategia del capitale finanziario europeo era chiara: colpire uno a uno gli stati in difficoltà di bilancio, costringendoli ad adottare le misure necessarie nei confronti dei lavoratori in cambio di nuovi prestiti e della ristrutturazione del debito. Il primo paese a farne le spese fu la Grecia, ma poi venne il turno anche di Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro, con effetti indiretti su tutti i paesi dell’unione monetaria per via della concorrenza internazionale sui salari. Paese dopo paese, il capitale finanziario ha imposto le sue regole in tutta Europa, schiacciando i lavoratori, disciplinando le politiche economiche nazionali attraverso il ricatto del debito pubblico e depotenziando lo stato a beneficio delle istituzioni internazionali.
Le reazioni alla crisi
Nel contesto pre-coronavirus, le parole d’ordine della politica dell’Unione erano il rigore di bilancio per gli stati e un bilancio dell’Unione limitato alle scelte strategiche. La Bce stava cercando di rientrare gradualmente dalle misure ultra-espansive adottate negli ultimi anni e le banche private erano ancora intente a ripulire i bilanci dalla crisi precedente. Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) si era fino a quel momento occupato della crisi di singoli stati e non aveva certo il potenziale di fuoco per reggere ad una crisi congiunta dell’Unione intera.
La prima reazione al crollo di borsa causato dal lockdown è stata quella della Bce, la quale ha invertito da un giorno all’altro la sua politica, avviando il programma Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme — Programma di Acquisto titoli per far fronte all’Emergenza Pandemia), un nuovo quantitative easing da 750 miliardi di euro per il 2020, cui poi si sono aggiunti altri 600 miliardi di acquisti entro il 2021. Successivamente, a favore di banche e imprese in crisi, sono intervenuti: il fondo Sure (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency — Sostegno per mitigare i rischi di disoccupazione in caso di emergenza), una cassa integrazione europea a carico degli stati membri da 100 miliardi; il Mes da 240 miliardi; la Banca europea per gli investimenti (Bei) con 200 miliardi di finanziamenti; e, infine, il nuovo strumento per la ripresa, Next Generation EU da 750 miliardi, proposto dalla Commissione europea, volto a rinforzare il bilancio settennale dell’Unione di 1.100 miliardi di euro.
Tolti i 1.100 miliardi del Quadro finanziario pluriennale, che costituiscono le spese ordinarie dell’Unione, le misure straordinarie ammontano a 2.640 miliardi, spalmate su più anni — una volta e mezzo il Pil dell’Italia.
Il progetto presentato dalla Commissione è il risultato della mediazione tra la proposta franco-tedesca e quella dei cosiddetti quattro frugali (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia), la prima incentrata su sovvenzioni a fondo perduto, la seconda su prestiti di lunga durata. Nella sintesi operata dalla Commissione, le somme erogate secondo queste due modalità saranno di 500 e 250 miliardi di euro rispettivamente e saranno spalmate sui prossimi sette anni. L’accesso a questi fondi sarà subordinato all’attuazione di “sane politiche economiche” e un’ambiziosa agenda di riforma da parte degli Stati.
I 750 miliardi saranno raccolti tramite l’emissione di titoli da parte della Commissione europea e saranno poi restituiti dagli stati membri tra il il 2028 e il 2058, con un aggravio del loro contributo al bilancio dell’Unione. La Commissione propone inoltre di raddoppiare da quest’anno il contributo degli stati, portandolo al 2% del Pil.
Per la prima volta, la Germania accetta e si fa promotrice del principio di mutualizzazione del debito. Si tratta della prova più significativa dei rischi di implosione dell’Unione europea. La Germania è infatti uno dei paesi con i tassi di interesse più bassi della zona euro. Addirittura, grazie ai tassi negativi, lo stato tedesco vede il suo debito ridursi automaticamente di anno in anno e non ha alcun interesse a sviluppare forme di indebitamento congiunto assieme ai paesi che invece pagano per indebitarsi (per rinnovare un titolo da 100 euro che arriva a scadenza, i paesi con tassi di interesse positivi devono emettere un nuovo titolo che a scadenza rimborsi 100 euro più il tasso di interesse, mentre ai paesi con tassi negativi basterà emettere un titolo che a scadenza rimborsi meno di 100; nel tempo, in assenza di manovre di bilancio, il debito diventa esplosivo nel primo caso e tende ad azzerarsi nel secondo).
Allo stesso tempo, tuttavia, la Germania è anche uno dei paesi che beneficia maggiormente sul piano commerciale e finanziario del mercato comune e del sistema di cambi fissi e non ha certo interesse a perdere questi privilegi (peraltro lo stesso tasso di interesse negativo sui titoli tedeschi de degli altri paesi meno indebitati è in gran parte un riflesso dell’unione monetaria in condizioni economiche asimmetriche). C’è inoltre da dire che nell’accesso ai fondi dell’Unione le imprese tedesche sono senz’altro ben piazzate. I finanziamenti europei non andranno infatti in prima battuta ai settori più colpiti dalla crisi, né ai soggetti sociali più bisognosi, ma alle imprese che investono nella transizione verde e digitale o in altri settori strategici secondo il Piano della Commissione.
Anche nei momenti più acuti della crisi, con le tensioni sociali che crescono, la Commissione non rinuncia dunque alle sue priorità nei rapporti tra i singoli capitali d’Europa. La crisi — con le sue modalità di controllo sanitario, distanziamento sociale e riorganizzazione delle attività produttive — offre infatti un’occasione ghiotta per le imprese tecnologiche e la Commissione non intende lasciarsela sfuggire. Gli interessi dei singoli capitali e l’importanza asimmetrica degli stati restano dunque al centro delle politiche dell’Unione. Ma il vero problema ora è assicurare la tenuta del sistema. Lo sviluppo dei settori strategici diventa infatti problematico se crollano i settori tradizionali. Per questo, gli aiuti devono essere diffusi e la manovra di bilancio ambiziosa. Ogni paese ha le sue imprese sull’orlo del fallimento e le sue banche in crisi di solvibilità. L’importante è salvarle prima che crolli tutto. Non sono solo i paesi più deboli a dover espandere il debito ma tutti gli stati dell’Unione. Ormai non si tratta più di colpire gli stati membri uno a uno ma di colpirli tutti e accelerare il trasferimento dei poteri alla finanza internazionale.
Crisi del capitale, crisi dello stato, crisi dei lavoratori
Tutti gli strumenti finanziari messi in campo per far fronte alla crisi trasferiscono agli stati il costo degli aiuti al capitale privato, in un contesto in cui la solvibilità degli stati era già in serio pericolo.
Paesi Nord e paesi Sud, paesi frugali e asse franco-tedesco, europeisti e anti-europeisti, destra e sinistra borghese, ognuno ha la sua idea e i suoi interessi circa la ripartizione ideale dei costi della crisi, ma tutti concordano che il capitale privato vada salvato e che a pagare debbano essere i lavoratori, per il tramite dello stato.
Nel dibattito politico, le divisioni maggiori riguardano le eventuali condizioni a carico degli stati affinché possano accedere a queste nuove linee di credito (finanziate dagli stati stessi). Il Mes, ad esempio, opera attraverso la definizione di un piano di rientro dai prestiti definito direttamente dalle istituzioni finanziarie internazionali. Le quali hanno un’unica preoccupazione: generare le risorse necessarie al ripiegamento dei debiti, senza alcun riguardo per i bisogni sociali. Il progetto della Commissione, parimenti, riserva l’accesso ai fondi ai paesi che intraprendono “sane politiche economiche”, cioè misure in grado di generare un surplus di bilancio. Peccato che sanità, scuola, salvaguardia del territorio, interventi a favore dei bisognosi e spesa sociale non generino nessun surplus di bilancio. Al contrario, da sempre, sono proprio le voci di spesa da tagliare per far quadrare i conti.
A ben vedere, tuttavia, le cose cambiano poco se i vari strumenti prevedono o non prevedono condizioni: il vero problema è che i costi di tutti questi nuovi strumenti di aiuto al capitale ricadono interamente sui bilanci degli stati membri. Il dibattito sulle cosiddette “condizionalità” è un falso dibattito. Quando il debito pubblico raggiunge livelli inesigibili non fa nessuna differenza quale parte del debito sia stata contratta sotto condizioni e quale parte sia invece libera da condizioni. Per evitare il default, gli stati saranno in ogni caso costretti ad attuare riforme contro i loro popoli, come condizione per garantire gli interessi dei creditori. Le riforme strutturali anti-sociali non sono mica l’invenzione di politicanti cattivi. Sono la condizione economica per generare surplus di bilancio nei conti dello stato e trasferire valore dai lavoratori al capitale finanziario.
La capacità di un soggetto di onorare un nuovo debito non dipende tanto dell’uso che farà dei soldi presi in prestito quanto dalla capacità che ha di ripagare l’intero debito accumulato. Se uno stato aveva già un alto rapporto debito/Pil e aveva dunque difficoltà a pagare gli interessi sul debito, con questa nuova ondata di debiti e la contestuale caduta del Pil, avrà difficoltà ancora maggiori. Le riforme strutturali e le forme di commissariamento da parte dei creditori saranno inevitabili.
In definitiva, il Mes, il programma Sure, i finanziamenti Bei, il nuovo piano della Commissione si differenziano solo per i beneficiari degli interventi ma a pagare il conto saranno sempre i lavoratori. Perché, subito dopo aver salvato il capitale privato dalla bancarotta, questa nuova massa di debiti a carico dei bilanci pubblici manderà in bancarotta lo stato, il quale dovrà spremere ulteriormente i lavoratori per ripagare i debiti al capitale. Oggi lo stato salva il capitale finanziario, domani il capitale finanziario strangola lo stato e dopodomani lo stato dissangua i lavoratori.
Questo è il piano d’emergenza dell’Unione europea di fronte allo scoppio della crisi da coronavirus: una nuova valanga di debiti pubblici per salvare il sistema bancario e industriale in crisi, nuovi regali alle imprese tecnologiche e ai capitali più forti in seno all’Unione e … dopo di noi il diluvio. L’importante ora è salvare il capitale privato e le istituzioni stesse dell’Unione. Poi, come sempre, i debiti li pagheranno i lavoratori.
Per un’uscita anticapitalistica dalla crisi
L’ipotesi che non è mai contemplata nel dibattito politico e nelle sedi decisionali è quella di uno stato che non solo rifiuti di accollarsi nuovi debiti ma dica anche stop al pagamento di quelli vecchi.
Non si tratta affatto di una via impossibile. Ben al contrario, per la classe lavoratrice è la condizione necessaria per evitare di pagare per intero il conto della crisi. Per questo nessuno stato borghese seguirà mai questa via se non sotto la pressione del popolo in rivolta.
In questo modello internazionale di sfruttamento incentrato sul ricatto del debito, lo stato gioca un ruolo decisivo. Si indebita per conto dei suoi cittadini, salva il capitale privato dalla crisi, e poi chiede ai lavoratori di stringere la cinghia. Ma questo significa anche che lo stato si indebolisce progressivamente nei confronti delle istituzioni internazionali.
Gli stati europei sono di fronte a un bivio: salvare il capitale privato, indirizzandosi verso la bancarotta, per poi rifarsi sui lavoratori; oppure, salvare se stessi, lasciando fallire il capitale in crisi, e proteggere le sorti dei lavoratori. Nel primo caso, lo stato dovrà rinforzare il suo ruolo di classe nel processo internazionale di sfruttamento, piegandosi alle esigenze del capitale finanziario sotto la direzione delle istituzioni dell’Unione. Nel secondo caso, si aprono invece margini per un avanzamento dei lavoratori e una società meno a misura del capitale.
Per intraprendere questa secondo via è però necessario innanzitutto dire no a questa gestione della crisi volta a scaricare i problemi del capitale prima sullo stato e poi sui lavoratori. Se i lavoratori devono essere tutelati, non ci sono margini per risollevare il capitale dalla sua crisi. In Italia non mancano di certo i lavoratori che vogliono lavorare e se le imprese falliscono possono essere loro a farle ripartire. Lo stato può assumerne la proprietà e i lavoratori il controllo. Dove il capitale fallisce, lo stato può rilevarne la produzione. Dove oggi prevale la legge del profitto domani prevarrà il principio della soddisfazione dei bisogni sociali. Questo è il ruolo di uno stato che tuteli il suo popolo e i suoi lavoratori invece di scaricare sui lavoratori il fallimento del capitale.
Ovviamente, si tratta di un percorso che può svilupparsi solo attraverso la lotta. Perché nessuno stato borghese rinuncerà mai spontaneamente alle sue funzioni di classe. Ma si tratta di un percorso possibile e necessario. È possibile perché oggi il soggetto debole è il capitale. È necessario perché altrimenti i lavoratori rimarranno schiacciati tra lo sfruttamento diretto sul posto del lavoro e quello indiretto per il tramite dello stato. Il capitale, che vorrebbe trasformare la sua crisi in una nuova occasione di profitto, aumentando lo sfruttamento dei lavoratori, oggi sta alle corde. Non è il momento di aiutarlo ma di affossarlo.
Le istituzioni internazionali continuano a ragionare dando per scontato che lo stato sia un burattino del capitale internazionale e che i lavoratori debbano solo obbedire. Finora, la cosa ha funzionato grazie alle misure repressive straordinarie che, di fatto, hanno impedito ai lavoratori e alla società intera di prendere parola. Ma le decisioni delle istituzioni nazionali e internazionali devono fare i conti con la lotta di classe nella società e nei posti di lavoro. È lì che si giocherà la vera partita. Solo le lotte dei lavoratori possono infliggere il colpo decisivo al capitale in crisi e costringere lo stato a rivedere il suo suolo nel sistema europeo di sfruttamento.
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
GiarneseUmnberto ha scritto: ↑16/06/2020, 1:54ritengo che Di Battista si sia incazzato in queste ore perché si è sentito escludere,sospetta che Conte gli fa le scarpe e prende il suo posto,d'altronde è naturale che il 5 stelle che ormai allo sbando possa trarre un minimo di giovamento da questa acquisizione,conviene ad entrambi perché a Conte se si fa un partito finisce come Monti.
Di Battista ormai si era abituato a rimanere in italia più di 1 giorno e quindi vuole prendere la leadership,sembrano lontani i suoi viaggi sul kilimangiario o nelle lontane grotte del krizikistan. A questo punto reputo Grillo come un padre padrone che vuole escludere Di Battista ed espropriarlo.

“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Ho dato una rapida occhiata ai commenti ai twit di grillo. Sono un vero massacro poveraccioDrogato_ di_porno ha scritto: ↑16/06/2020, 3:05GiarneseUmnberto ha scritto: ↑16/06/2020, 1:54ritengo che Di Battista si sia incazzato in queste ore perché si è sentito escludere,sospetta che Conte gli fa le scarpe e prende il suo posto,d'altronde è naturale che il 5 stelle che ormai allo sbando possa trarre un minimo di giovamento da questa acquisizione,conviene ad entrambi perché a Conte se si fa un partito finisce come Monti.
Di Battista ormai si era abituato a rimanere in italia più di 1 giorno e quindi vuole prendere la leadership,sembrano lontani i suoi viaggi sul kilimangiario o nelle lontane grotte del krizikistan. A questo punto reputo Grillo come un padre padrone che vuole escludere Di Battista ed espropriarlo.![]()
Qui habet, dabitur ei. E comunque: Stikazzi
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Re: (OT) Conte²: governo, governicchio o governo del cacchio?
Non so come si possa continuare a votare un partito che era nato con il manifesto intento di distruggere il PD, "partito di sistema", e che adesso non solo governa col PD ma addirittura schiaccia qualsiasi critica. Vien quasi da prendere le difese di Di Battista.
Abbiamo avuto anni di comizi infuocati di Grillo, con giornalisti "di regime" del tg3 insultati e allontanati dalla piazza. E adesso Grillo è il più integralista sostenitore dell'europeismo più spinto.
Abbiamo avuto il governo FI-PD, ora quello M5S-PD, non vorrei che il prossimo fosse Salvini-Meloni-PD
Non sarà che a parole sono tutti contro il PD ma nei fatti vogliono governarci tutti assieme?
Adesso mi lancio in una profezia: Di Battista farà un suo partito con cui ruberà tutti i voti a Salvini il quale per sopravvivere si alleerà col PD
Abbiamo avuto anni di comizi infuocati di Grillo, con giornalisti "di regime" del tg3 insultati e allontanati dalla piazza. E adesso Grillo è il più integralista sostenitore dell'europeismo più spinto.
Abbiamo avuto il governo FI-PD, ora quello M5S-PD, non vorrei che il prossimo fosse Salvini-Meloni-PD

Non sarà che a parole sono tutti contro il PD ma nei fatti vogliono governarci tutti assieme?

Adesso mi lancio in una profezia: Di Battista farà un suo partito con cui ruberà tutti i voti a Salvini il quale per sopravvivere si alleerà col PD

“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”