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Drugà se permetti, quella delle vacanze in Kenya è 'na mezza cazzata. Non stiamo parlando di tour ottocenteschi, che all'epoca potevano permetterseli solo Goethe e 4-5 altre famiglie in tutta Europa.Drogato_ di_porno ha scritto:no, l'unica soluzione è l'onesta INTELLETTUALE. I grillini si sono dimenticati di aggiungere questa parola. senza la prima non esiste la seconda.manigliasferica ha scritto:sono tanti mi sembra che ci prendano per il culo sia a dx che a sx che sopra che sotto.
è una guerra persa, non se ne uscirà mai, l'unica soluzione è la morte.
Non cominciamo col qualunquismo "chiunque può andare ovunque". Qui si sta parlando di una vacanza durante le feste natalizie (non fuori stagione) nel resort di Briatore frequentato da Alonso, Naomi Campbell, Berlusconi le cui tariffe riportate nell'articolo sono: "Ieri i prezzi sul sito del raffinato hotel nato dalla ex villa di Briatore, dove hanno alloggiato Berlusconi e Naomi Campbell, Fernando Alonso e Paolo Bonolis, erano diversi: circa 3500 euro a persona in mezza pensione (volo escluso), con spa e centro benessere."gi.kappa. ha scritto:Drugà se permetti, quella delle vacanze in Kenya è 'na mezza cazzata. Non stiamo parlando di tour ottocenteschi, che all'epoca potevano permetterseli solo Goethe e 4-5 altre famiglie in tutta Europa.
Oggi chiunque può spostarsi nel mondo con veramente pochi spicci, a maggior ragione in quei paesi con il cambio favorevole.
Buon Natale da Beppe Grillo
di Beppe Grillo
Quest'anno voglio farvi gli auguri di Natale con un testo di Goffredo Parise pubblicato il 30 giugno del 1974, si intitola: "Il rimedio è la povertà". È un po' lungo, ma ne vale la pena. Armatevi di pazienza, leggetelo fino alla fine e fatelo leggere ai vostri cari. Vi abbraccio. Buon Natale da Beppe Grillo
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«Questa volta non risponderò ad personam, parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: «I poveri hanno sempre ragione», scritta alcuni mesi fa, e quest’altra: «il rimedio è la povertà. Tornare indietro? Sì, tornare indietro», scritta nel mio ultimo articolo.
Per la prima volta hanno scritto che sono “un comunista”, per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di “consumare”.
Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c’è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall’altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d’accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.
Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.
Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.
Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”.
Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.
Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.
Il nostro paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostra paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.
Il nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli “etichettati” che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo.
I giovani “comprano” ideologia al mercato degli stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro necessità reale, importa la loro diffusione. Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c’è di tutto, vedi l’estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l’élite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all’opposizione. L’obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del grand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo.
La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.
Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più “corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell’Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l’enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro paese».
No no, per favore: prendetelo sul serio.Salieri D'Amato ha scritto:4 piazzisti più uno: Geisha, Cicciuzzo, Walter, Maniglia più Australiano guest star delle ultime puntate. Il pubblico in studio saltuariamente può intervenire.
Trasmissione:quale è il migliore amaro del mondo?
Consiglio il Cynar, gli altri li ho provati tutti ma nessuno mi ha fatto digerire!
L'amaro del Capo è il peggio del peggio, non lo berrò mai!
Ho fatto una scelta razionale, una comparazione organica e indipendente dai gusti personali e ho stabilito di mia sponte che il meglio è senz'altro il Cynar.
Dopo aver assaggiato Fernet e Ramazzotti, sebbene personalmente preferisca altri liquori come la Vecchia Romagna etichetta nera, direi che il Cynar al momento è preferibile.
Ramazzotti senza dubbio, qualche pecca organolettica, ma senz'altro il migliore. Poi ha cambiato bottiglia e non capisco come possa non piacere, è così accattivante nella nuova veste!
Nell'appassionante discussione interviene DDP: gli amari fanno tutti schifo, in realtà non ti fanno digerire, ma devi pure smaltire anche quelli!
PS: sto scherzando, non prendetemi sul serio
superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”
Non ti ho visto così indulgente verso altri. Così tollerante. Vedo un filino di doppiopesisimo, di due pesi e due misure.Tasman ha scritto:Non è che ogni azione/idea del Signor Beppe Grillo sia oro colato,puttanate ne ha fatte,dette e ne dirà,come tutti noi mortali del resto.
gi.kappa. ha scritto:Dai Drugà, sii serio. Un articolo sulla povertà non è un programma politico, è al massimo uno spunto di riflessione. E andare in Kenya non è incoerente perché si tratta di riflessioni a lungo termine. Così come la storia delle barche. E tutto un parlare in prospettiva, come quando Casaleggio metteva quei video strambi e apocalittici.
Superfissato ha scritto:Sul web minacce di morte all'ex premier. Pd: basta seminare odio. M5S: noi vittime
ROMA «Auguriamo la morte a Matteo Renzi». Su Facebook compare una pagina che inneggia alla morte dell'ex premier. Il Pd, allarmato, si rivolge alla polizia postale. E denuncia il «clima d'odio» che sfocia in episodi del genere. «Chi lo fomenta?», domanda Alessia Rotta. E invita alla responsabilità chi, come Beppe Grillo, evoca i «tribunali del popolo». Ma i Cinque stelle ribaltano l'accusa: il M5s è vittima, affermano, di chi teme una loro vittoria alle elezioni e fabbrica «false notizie» per «demolirli». Prosegue così uno scontro a distanza, sempre più proiettato sul ring del Web.
Dopo la sconfitta al referendum Renzi ha riconosciuto come errore del Pd aver lasciato «il Web a chi diffonde falsità». Ma si è andati oltre le falsità, denuncia ora dal Nazareno Alessia Rotta. Il «clima d'odio» sfocia in episodi come quello di una pagina Facebook che inneggia apertamente alla «morte» di Renzi.
Sulla pagina il gestore, che si nasconde dietro l'anonimato e usa foto profilo di Mussolini, inveisce contro i «comunisti» che lo accusano di aver superato il limite, minaccia a sua volta di rivolgersi alla polizia postale e non accetta di cancellare il suo messaggio: «Non è mica una colpa esprimere un desiderio...».
Fonte Il Messaggero : http://www.ilmessaggero.it/primopiano/p ... 80810.html
Insomma i 5* dicono di essere delle vittime. Le campagne di odio e di inneggiamento a rivoluzioni, colpi di stato, annientamento della "casta", apertura del Parlamento a mo di scatola di sardine so tutte paroline zuccherose che i nemici degli onesti usano al solo proposito di screditare il movimento.