"6 1 o 2?": strani giochi di dadi l'identità, il rapporto a sé e agli altri. o forse un gioco a nascondino. contare ad occhi chiusi? poi un grido: "libero per tutti!".pan ha scritto:
Sono passati ventiquattro anni da quando, in un freddissimo pomeriggio di fine gennaio, sulla strada di San Martino, dove sempre passeggiavamo, la mia bella fidanzata mi raccontò di aver conosciuto un tipo in discoteca che le aveva fatto la corte.
Impiegai 4,33265 nanosecondi per capire che la mia sorte era segnata. E poiché ero indubbiamente senza peccato, una grossa pietra volò nella sua direzione, fortunosamente infilandosi in quel vacuum angolare tra collo e la spalla sinistra, altrimenti non sarei qui a raccontare, anzi sì, tra un indulto e la buona condotta…
Si spaventò talmente che continuò a stare con me pensando che non mi accorgessi della compresenza.
Avevo trent'anni e un ritardo dello sviluppo cognitivo, dovuto un po’ agli studi e ai primi anni di lavoro e molto al mio amore per circoli, bar, tennis-tavolo e ombrelloni, ma sotto lo sprone di herpes, più forte in me di Marte e Venere, presi a cercare una via d’uscita dalla compunzione.
Mi rivolsi alla psicanalisi classica, ma i testi consultati emisero un verdetto anche peggiore del male:
-Il geloso è essenzialmente un omosessuale latente che vorrebbe farsi l’amante della sua donna-.
Troppo sbrigativo, e poi neanche l’avevo visto mai, anche se tutte le sue “amiche” mi dicevano che era un bono della madonna con l’intento non disinteressato di sdoganarmi da lei.
Continuai a cercare e a scopare, spesso a ponte bagnato(1), per settimane e settimane fino a imbattermi in Open Pussy - vita e morte di un giornale underground- Per quelle pagine sarò eterno debitore di Bukowsky, specialmente laddove, dopo aver ridicolizzato un figlio dei fiori e del libero amore, nonché direttore di Open Pussy, che un giorno esce con la 44 magnum per sparare al suo redattore che gli fotteva la moglie, se ne esce con una di quelle frasi che sono il fondamento della sua sapienza:
”E poi, dopo i trent’anni si diventa francamente patetici”.
Da allora e per sempre mi emendai da questo handicap tanto che, quando in primavera si aggiunse un secondo amante (o terzo, dipende dai punti di vista), in effetti strafichissimo e mi presi un’uretrite che mi mandava in giro col salva-slip, ero talmente guarito che l’urologo, il primario fiorentino del laboratorio che mi parlava sghignazzando di uno zoo microbiologico nei secreti uretrali, tutti i colleghi della scuola di specializzazione, nonché il venerato maestro e capo prof. G.C. napoletano d.o.c., mi chiedevano dettagliati resoconti della vicenda che per l’occasione chiamammo l’Aggiornacorna con cadenza settimanale.
In realtà sapevo assai poco di quanto stesse veramente accadendo tra noi quattro e soprattutto ero ancora a zero riguardo ai fondamenti teorici di tali simpaticissimi fenomeni combinatori.
Intanto tramontavano definitivamente e irreversibilmente per me le illusioni
delle profondità di misteri
in superficie con te gustati
nella segretezza
d’immaginati cortili
sognate e accarezzate fin dalla preadolescenza e innalzate da questi versi di una poetessa bergamasca fino alla soglia della vero.
La pala della rimozione lavorava indefessa come quella di una ruspa dell’A.N.A.S. in una frana che era mia e forse non solo mia, sbancando anche quanto di buono o riutilizzabile potesse residuare tra i detriti.
Fu solo sul finire degli anni 80, a casini ormai passati, che ebbi l’illuminazione tanto attesa. Stavolta fu la pubblicazione di Amare/Tradire del compianto Maestro Aldo Carotenuto, a convincermi della confusione fatta in passato -probabilmente ad arte- nella accezione del verbo trado e nella successiva sua traduzione tradizionale (ma guarda un po’…) nelle lingue europee che venivano alla luce.
Se è vero, come sembrerebbe, che Gesù fu quindi consegnato e non venduto da Giuda al Sinedrio affinché trionfasse e venisse il suo regno, allora chi ci tradisce non fa altro che consegnarci a noi stessi. Ma qui il Maestro neo-junghiano ed io ci dividemmo (cfr. W.Allen in Zelig) perché per lui questa è una tragedia in ogni caso, abbordabile, elaborabile, superabile, ma esperienza necessariamente tragica, mentre io ritengo, in maniera più ruspante (in senso anassiano da A.N.A.S.), che sia una tragedia mooolto relativa perché il come staremo al momento della riconsegna dipende in definitiva dal come stiamo messi con noi stessi in quel momento.
Non capisco perché se abbiamo accettato di nascere e morire soli, di andare al cinema in 120, ai premi di poesia in 60 (quando va bene), allo stadio in 70.000, facciamo poi tante storie per essere proprio in 2 (DUE) in amore, fissandoci su questo che, statisticamente, è il numero più improbabile che esca fuori. E’ vero che Freud diceva che si scopa minimo in 6 [ 2 + le 2 coppie genitoriali], è vero che tanti lo fanno sempre da soli indipendentemente da tutto, ma vero sopra ogni altra cosa è che il 2 è passato così violentemente nel sentire comune quasi certamente per colpa di quegli sfigati dei poeti, che per millenni ci hanno bushobamianamente bombardato con coppie ancora più sfigate di loro: autentica maledizione !
E se oggi per un Romeo e una Giulietta si troverebbero agevoli mediazioni (si scalano banche a destra e sinistra, figuriamoci se non si trova un accordo per due ragazzi di ottime famiglie), ecco che i Signori del 2 prontamente sfornano sempre nuove e inaddomesticabili diadi, riuscendo a trarne a vagonate dall’orrore della contemporaneità.
Spiegazione della nota
(1) Espressione dei marinai dell’U.S. Navy per indicare la sensazione provata dai peni degli ultimi della fila, specie all’inizio del coito, con prostitute subito dopo lo sbarco.
belle le tue parole pan. chi è la poetessa bergamasca?