Bossi junior tra i libri: “Sul comodino Popper e il Petrucciani”
Intervista al figlio del leader leghista
EMANUELA MINUCCI
Solo gli snob, ieri mattina, al Lingotto, non attendevano con particolare trepidazione l’arrivo di Renzo Bossi. Gli altri, dai cronisti ai politici, continuavano a chiedersi guardando la fila di auto blu ferme davanti al Salone del Libro: «Ma Bossi junior che fine ha fatto? Si era accreditato, doveva venire come consigliere regionale, dov’è?». E i maligni, area centro-sinistra: «Si sarà perso come nella giungla, anzi come in un acquario, il trota fra i libri, ma ve lo vedete?”. Intanto se lo vedranno, stamattina, il trota fra i libri. Perché a dispetto della fama che si è fatto, con quella tripletta di bocciature alla maturità, dai libri si sente attratto».
Allora consigliere, come mai non si è presentato al Salone? «Dovevo lavorare con la mia squadra, la Padania, di cui sono manager. Ma domani (oggi per chi legge, ndr) non voglio perdermi questa festa».
Quindi lei ama la lettura. «Sul comodino ho parecchi saggi di politica e filosofia della politica. In particolare amo Popper».
Scelta impegnativa. Come si concilia con quell’esame di maturità ripetuto tre volte?«Mi interessavo già di politica, fai fatica quando hai questa passione a dedicarti anche agli impegni scolastici».
Non sarà che l’hanno un po’ presa di mira anche perché si chiama Bossi? «Non credo, semplicemente ho riservato poco tempo allo studio. Ma ora la maturità l’ho presa e mi sono pure iscritto a Economia. Poi, grazie a un amico di famiglia come Giorgio Albertazzi ho potuto apprezzare la cosiddetta cultura alta, come il teatro classico».
Insomma, è tempo di cose serie. «Sì, come i libri».
A parte Popper c’è un altro autore che le sta a cuore? «No, però ho un debole per libri-pilastro come il Petrucciani. Gliel’ho detto, la storia della politica mi affascina. Ho fatto lo scientifico, ma credo che al classico avrei potuto dare di più».
Del resto, con un padre come il suo che fa già parte di questa storia. Ma a proposito del babbo, le ha dato molto fastidio che l’abbia soprannominata trota? «No, assolutamente. Anzi ha ragione. Ho poco più di vent’anni, le sembro forse un delfino? Poi su questa cosa della trota le posso raccontare un aneddoto delizioso».
Dica. «Qualche settimana fa sono stato in Svizzera e lì ho conosciuto il figlio del segretario della Lega dei Ticinesi. Beh, vuole sapere come l’aveva soprannominato il padre? Trota. Evidentemente è un simpatico nomignolo che è tagliato su misura per noi figli di padri federalisti…».
Come vede questo Piemonte neogovernato da Cota? «Meglio di così non poteva andare. Una regione così alla Lega e a una persona giovane e capace. Vedrà che saprà realizzare sul serio il federalismo».
Sarebbe venuto al Salone, anche con la Bresso ancora presidente? «Non lo so, certo che così ci vengo molto più volentieri».
La Stampa