Loris Batacchi ha scritto:il boardroom, secondo grasso, è nel palazzo della regione, ma potrebbe benissimo essere in un qualsiasi ufficio. le riprese sono tutte esterne, o al limite fanno vedere l'eliminato salire su un taxi ma ormai a pian terreno. esilarante ogni volta la scenetta boss-segretaria che fa entrare i concorrenti.
ps: mi pareva strano che grasso non avesse ancora detto nulla
secondo me invece è proprio dentro.
si vedono alcune riprese da dentro le finestre di una sala che non può non essere all'interno di quel complesso immobiliare.
detto ciò cmq non ci vedo nulla di male e la battuta sul come vengano spesi soldi pubblici in questo caso mi pare pretestuosa.
infatti avranno (mi auguro e spero) pagato un affitto per utilizzare quelle sale, che non sono certamente peraltro auliche e che quindi non vengono svilite dalla presenza del Briatore e soci.
vi saprò dire oramai frequento abitualemnte il palazzo della regione
onnisciente ha scritto:Il vincitore e xxxxxxxxxxxxxxxxxxx
peccato si sia ritirata la manager . ountavo su d lei
ma come si fa a partecipare a programmi del genere????
dove trovare qyezti annunci ????
cavoli su 5000 partecipanti hanno scelto quei 16
E con te siamo a due
Tralasciando il verbo senza accento, non ti è sfiorata l'idea che forse chi sta seguendo la serie non vuole sapere prima il vincitore?
E che se lo vuole sapere sa usare google come te?
Un po' come quando uno guarda una partita registrata e passa il rompicoglioni di turno a dirgli il risultato finale e i marcatori
si appunto, ho avuto la sfiga di leggere il messaggio prima che fosse censurato, grazie
Le panoramiche in esterna sono effettivamente belle.
Riguardo al palazzo della regione: visto che quei palazzi sono quasi completamente vuoti, se sono riusciti ad affittare un piano a sky hanno fatto bene. Sarebbe interessante sapere:
1- se lo hanno affittato o regalato
2- se si, a quanto l'hanno affittato
Magari sono riusciti a recuperare un mese di stipendio alla minetti
idiota: "non mi considerano perchè non sono laureato ma ho fatto il liceo"
sosia obeso di Briatore:" hai fatto il liceo?!"
idiota: " quasi"
sosia obeso di Briatore:" cioè?!"
idiota:"ho fatto 4 anni poi ho smesso"
sosia Obeso di Briatore:"allora non hai fatto il liceo, c'hai provato.."
idiota: "si.."
e l'altra che fa la figa:"io ho fatto IL master!" ahuahuahauhu che ggente
imamaniac ha scritto:sarebbe piacevole incontrarli per strada
Al termine del reality basterà avere la pazienza di attendere sul marciapiede, fuori da una sede Randstad o Manpower, che finiscano il colloquio per mulettista.
Avrai modo di conoscerli tutti in prima persona.
"Il moralista dice di no agli altri, l’uomo morale solo a se stesso."
Pier Paolo Pasolini
"Una buona notizia e una cattiva. La buona notizia: il briatorismo, malattia infantile del berlusconismo, sopravvive in un solo paese. La cattiva: quel paese è il nostro. E dunque, non si può che rimirare, divertiti e annichiliti, il reality The Apprentice (su Cielo, Sky e digitale terrestre, ogni martedì sera). L’intento sarebbe quello di riprodurre il fortunato format americano (invece di Flavio Briatore laggiù hanno Ted Turner), abbastanza elementare: uno squalo insegna ai piranha l’arte del «farsi strada nella vita», anzi nel «business», anzi nel «successo» e via così…
Istruendo gli alunni con il vecchio sistema, punizioni e umiliazioni, complimenti e radiazioni senza appello. Il famoso merito, insomma, che il paese intero invoca come toccasana. Intenerisce che poi, all’apparir del vero, i piranha pronti a tutto per la scalata sociale sembrino pesci rossi, e lo squalo somigli a un vecchio tonno canuto che dice cose come «Bisogna fare squadra» o «Siete dieci capre, ma non voglio offendere le capre». Niente male come scuola di capitalismo senza cuore, un darwinismo sociale cacio e pepe, per palati non proprio raffinati.
Ad ogni passo ci viene ricordato che il vincitore, quello che meglio saprà fare business, potrà aspirare a lavorare con lui, il Boss, cioè Briatore, e questo anche se nessuno ha capito esattamente che lavoro faccia Briatore. Ma sia: il disegno complessivo non oscuri i dettagli, l’ideologia non offuschi la triste pratica quotidiana. Due squadre di aspiranti squaletti vengono sguinzagliate in città incaricate di ardimentose “mission” ultraliberiste. Come trovare dello champagne a poco prezzo, vendere vestiti in un discount, creare un prodotto ed elaborare una strategia di mercato. Lo fanno con cinica determinazione, basandosi per le comunicazioni interpersonali su una devastante neolingua (si suppone di origini anarco-padronali) che mischia parole come «focus», «top seller» e «product placement», con locuzioni come «se avrebbe argomentato meglio», o «se nessuno l’avrebbe seguita». Una terra di nessuno che si colloca tra l’inglese aziendale e l’italiano analfabeta oriented. Alla fine, Flavio Briatore, affiancato da due lugubri assistenti, decide chi ha vinto, mandando i vincitori a spassarsela (il giusto riposo del manager vincente) in luoghi ameni come San Pellegrino Terme o Gardaland (altro che stock options!), e gli sconfitti a meditare sui loro errori.
Nel teatrino finale, che sarebbe il clou dello spettacolo, il Boss caccia il più scarso tra gli scarsi, non senza infiocchettare il tutto con la lezioncina classica sul successo, il modo di raggiungerlo, l’etica del capitalismo turbo, l’individualismo che sa giocare in gruppo e altre puttanate di complemento, alle quali peraltro mostra di credere sul serio. Divertente. Un po’ come vedere un film in costume, una scheggia di anni Ottanta consunta dall’uso e abuso, eppure ancora in volo mentre tutto crolla e si disfa nella crisi di quei valori marci che Briatore sembra voler tenere in piedi a dispetto di tutto. Triste e allegro. Triste perché si vede in filigrana il patetico straccionismo delle carriere aziendali, la pratica immortale del leccaculismo, gli specchietti e le collanine di vetro che sberluccicano, presentate come il magico mondo del business.Allegro perché, diciamolo, se i padroni fossero davvero quella cosa lì avremmo il socialismo da duecento anni, e per la rivoluzione basterebbero due congiuntivi ben assestati. Tocco di classe con la lezioncina sull’abbigliamento: il boss Briatore fa notare a un concorrente che con una giacchetta così non arriverebbe, non dico al suo augusto cospetto, ma nemmeno nell’atrio del palazzo. E quello contrito: «Boss, mi scuso per la giacca». Fantozzi puro. Com’è umano, lei. Già, umano e ridicolo."
Alessandro Robecchi, il manifesto, 27 settembre 2012
se vedi poi sul suo blog cosa ha scritto sul quel fenomeno di sallusti...(tutto in voluto minuscolo, si capisce)
è stato uno dei pochi a scovare l'articolo di quel pirla di betulla e pubblicarlo integralmente.
soccorsorosso ha scritto:"Una buona notizia e una cattiva. La buona notizia: il briatorismo, malattia infantile del berlusconismo, sopravvive in un solo paese. La cattiva: quel paese è il nostro. E dunque, non si può che rimirare, divertiti e annichiliti, il reality The Apprentice (su Cielo, Sky e digitale terrestre, ogni martedì sera). L’intento sarebbe quello di riprodurre il fortunato format americano (invece di Flavio Briatore laggiù hanno Ted Turner), abbastanza elementare: uno squalo insegna ai piranha l’arte del «farsi strada nella vita», anzi nel «business», anzi nel «successo» e via così…
Istruendo gli alunni con il vecchio sistema, punizioni e umiliazioni, complimenti e radiazioni senza appello. Il famoso merito, insomma, che il paese intero invoca come toccasana. Intenerisce che poi, all’apparir del vero, i piranha pronti a tutto per la scalata sociale sembrino pesci rossi, e lo squalo somigli a un vecchio tonno canuto che dice cose come «Bisogna fare squadra» o «Siete dieci capre, ma non voglio offendere le capre». Niente male come scuola di capitalismo senza cuore, un darwinismo sociale cacio e pepe, per palati non proprio raffinati.
Ad ogni passo ci viene ricordato che il vincitore, quello che meglio saprà fare business, potrà aspirare a lavorare con lui, il Boss, cioè Briatore, e questo anche se nessuno ha capito esattamente che lavoro faccia Briatore. Ma sia: il disegno complessivo non oscuri i dettagli, l’ideologia non offuschi la triste pratica quotidiana. Due squadre di aspiranti squaletti vengono sguinzagliate in città incaricate di ardimentose “mission” ultraliberiste. Come trovare dello champagne a poco prezzo, vendere vestiti in un discount, creare un prodotto ed elaborare una strategia di mercato. Lo fanno con cinica determinazione, basandosi per le comunicazioni interpersonali su una devastante neolingua (si suppone di origini anarco-padronali) che mischia parole come «focus», «top seller» e «product placement», con locuzioni come «se avrebbe argomentato meglio», o «se nessuno l’avrebbe seguita». Una terra di nessuno che si colloca tra l’inglese aziendale e l’italiano analfabeta oriented. Alla fine, Flavio Briatore, affiancato da due lugubri assistenti, decide chi ha vinto, mandando i vincitori a spassarsela (il giusto riposo del manager vincente) in luoghi ameni come San Pellegrino Terme o Gardaland (altro che stock options!), e gli sconfitti a meditare sui loro errori.
Nel teatrino finale, che sarebbe il clou dello spettacolo, il Boss caccia il più scarso tra gli scarsi, non senza infiocchettare il tutto con la lezioncina classica sul successo, il modo di raggiungerlo, l’etica del capitalismo turbo, l’individualismo che sa giocare in gruppo e altre puttanate di complemento, alle quali peraltro mostra di credere sul serio. Divertente. Un po’ come vedere un film in costume, una scheggia di anni Ottanta consunta dall’uso e abuso, eppure ancora in volo mentre tutto crolla e si disfa nella crisi di quei valori marci che Briatore sembra voler tenere in piedi a dispetto di tutto. Triste e allegro. Triste perché si vede in filigrana il patetico straccionismo delle carriere aziendali, la pratica immortale del leccaculismo, gli specchietti e le collanine di vetro che sberluccicano, presentate come il magico mondo del business.Allegro perché, diciamolo, se i padroni fossero davvero quella cosa lì avremmo il socialismo da duecento anni, e per la rivoluzione basterebbero due congiuntivi ben assestati. Tocco di classe con la lezioncina sull’abbigliamento: il boss Briatore fa notare a un concorrente che con una giacchetta così non arriverebbe, non dico al suo augusto cospetto, ma nemmeno nell’atrio del palazzo. E quello contrito: «Boss, mi scuso per la giacca». Fantozzi puro. Com’è umano, lei. Già, umano e ridicolo."
Alessandro Robecchi, il manifesto, 27 settembre 2012
Bello il pezzo di Robecchi, a parte la chiusa su: ".Allegro perché, diciamolo, se i padroni fossero davvero quella cosa lì avremmo il socialismo da duecento anni", ma se uno scrive per il Manifesto gli tocca buttare li il contentino ai lettori
Ultima modifica di bellavista il 28/09/2012, 19:08, modificato 1 volta in totale.
Ma no, Bella, secondo me invece è un riconoscimento a chi imprenditore lo è per davvero.
Nel senso: fossero così gli imprenditori, li avremmo sconfitti già da parecchio.
Io piuttosto chioserei: fossero così tutti gli imprenditori, sarebbe un Paese più di merda di quello che già è.
Per il mio ego può bastare che SCB mi citi nella sua firma, tutto il resto è noia.
Cicciuzzo 1.6.2016
Mi spiegate come postare le immagini, sono scemo oltre che cornuto
Furore 1.3.2017
scb ha scritto:Ma no, Bella, secondo me invece è un riconoscimento a chi imprenditore lo è per davvero.
Nel senso: fossero così gli imprenditori, li avremmo sconfitti già da parecchio.
Io piuttosto chioserei: fossero così tutti gli imprenditori, sarebbe un Paese più di merda di quello che già è.
Ma infatti intendeva proprio questo: se fossero tutti così i "padroni" avremmo il socialismo.
E' chiaro che una cosa del genere la scrivi su un giornale dove sai che molti lettori il socialismo lo vorrebbero veramente.
Dubito se avesse scritto lo stesso pezzo per "il sole 24 ore" l'avrebbe inserito quella battuta