
[O.T.] La SINISTRA e la GUERRA
Moderatori: Super Zeta, AlexSmith, Pim, Moderatore1
Ho detto più volte che non mi piacciono le generalizzazioni… Ne consegue che non sono antiamericano (poi, ho troppi "idoli" in vari campi per pensare agli ammericani come popolo "nemico"…)! Per carità !
Esistono americani che stimo, altri che detesto. Tra questi c'è l'inetto del Texas.
Sotto il punto di vista degli ideali il cow-boy ha sbagliato di grosso perchè:
-ha snobbato il veto dell'Onu (non vale un cazzo, d'accordo, adesso vale ancora meno, sebbene poi, a cose fatte, per dare impronta di plurilateralità all'azione infame, abbia cercato di coinvolgere più paesi possibili…)
-ha raccontato minchiate al mondo intero:
sulla questione delle armi di distruzione di massa; sul legame tra iracheni e i fondamentalisti; sulla "democrazia" da esportare…
Sotto il punto di vista "materiale" perchè:
-ha alimentato il terrorismo, fornendo ai molti che in Iraq non ne avevano, delle ragioni per combattere l'invasore…
-ha fomentato (cosa peggiore di tutte) la bipolarizzazione occidente-mondo musulmano… (va da sè che per i terroristi dell'11 settembre non esistano aggettivi, ma da un presidente, democraticamente eletto, degli USA ci si aspetterebbe una lucidità e una lungimiranza superiore...)
Ma forse lui ha una strategia, folle quanto vogliamo, ma pur sempre una strategia… Fonti energetiche + "controllo" di medio-oriente e (non in subordine) Cina.
La sua strategia peró non prevede spartizioni… Si parla del dominio del mondo…
Il punto focale è l'11 di settembre…
Come dice balkan, l'inetto ha il "casus belli" nella manica…
Da lì la spedizione punitiva in Afghanistan, l'inasprimento della questione cecena (Bush applaudito da Putin lo abilita a compiere massacri), l'invasione dell'Iraq (vecchio pallino di famiglia…). Domani chi sceglierà ? O, chi abiliterà a scegliere?
Non posso accettare un mondo governato da un padrone, che fa e disfa le cose a proprio piacimento, giocando con le piccole vite degli uomini… Piccole, inutili vite di uomini comuni, con una quotidianità che non fa notizia…
Mi ritrovo molto nelle parole di Drugat (scusa la confidenza!) quando dice che per poterci esprimere, dovremmo aver perso fratelli o gambe… Allora avremmo la coscienza reale di ció che sta accadendo…
Le vite umane non sono numeri o minutaglia, cazzo!
Postilla: In Europa la stragrande maggioranza delle persone la pensa come me (il che non vuol dire un cazzo, ma è per fugare dubbi di filo-fondamentalismo!). La stragrande maggioranza degli europei pensa che il presidente degli Stati Uniti sia un cretino molto pericoloso… Boh, forse esser retorici è un vizio diffuso...
Azz… Dimenticavo le soluzioni. Il piano dada prevede:
-un maggiore e migliore uso della diplomazia (la guerra va usata soltanto come estrema ratio…)
-poteri forti all'ONU
-europeismo convinto (Berlusconi ha le sue grosse colpe…)
Chiaramente parlo da italiano ed europeo…
E con questo chiudo davvero. Le posizioni sono chiare: retorica umanitaristica contro sublimazione pragmatica del cinismo...
Esistono americani che stimo, altri che detesto. Tra questi c'è l'inetto del Texas.
Sotto il punto di vista degli ideali il cow-boy ha sbagliato di grosso perchè:
-ha snobbato il veto dell'Onu (non vale un cazzo, d'accordo, adesso vale ancora meno, sebbene poi, a cose fatte, per dare impronta di plurilateralità all'azione infame, abbia cercato di coinvolgere più paesi possibili…)
-ha raccontato minchiate al mondo intero:
sulla questione delle armi di distruzione di massa; sul legame tra iracheni e i fondamentalisti; sulla "democrazia" da esportare…
Sotto il punto di vista "materiale" perchè:
-ha alimentato il terrorismo, fornendo ai molti che in Iraq non ne avevano, delle ragioni per combattere l'invasore…
-ha fomentato (cosa peggiore di tutte) la bipolarizzazione occidente-mondo musulmano… (va da sè che per i terroristi dell'11 settembre non esistano aggettivi, ma da un presidente, democraticamente eletto, degli USA ci si aspetterebbe una lucidità e una lungimiranza superiore...)
Ma forse lui ha una strategia, folle quanto vogliamo, ma pur sempre una strategia… Fonti energetiche + "controllo" di medio-oriente e (non in subordine) Cina.
La sua strategia peró non prevede spartizioni… Si parla del dominio del mondo…
Il punto focale è l'11 di settembre…
Come dice balkan, l'inetto ha il "casus belli" nella manica…
Da lì la spedizione punitiva in Afghanistan, l'inasprimento della questione cecena (Bush applaudito da Putin lo abilita a compiere massacri), l'invasione dell'Iraq (vecchio pallino di famiglia…). Domani chi sceglierà ? O, chi abiliterà a scegliere?
Non posso accettare un mondo governato da un padrone, che fa e disfa le cose a proprio piacimento, giocando con le piccole vite degli uomini… Piccole, inutili vite di uomini comuni, con una quotidianità che non fa notizia…
Mi ritrovo molto nelle parole di Drugat (scusa la confidenza!) quando dice che per poterci esprimere, dovremmo aver perso fratelli o gambe… Allora avremmo la coscienza reale di ció che sta accadendo…
Le vite umane non sono numeri o minutaglia, cazzo!
Postilla: In Europa la stragrande maggioranza delle persone la pensa come me (il che non vuol dire un cazzo, ma è per fugare dubbi di filo-fondamentalismo!). La stragrande maggioranza degli europei pensa che il presidente degli Stati Uniti sia un cretino molto pericoloso… Boh, forse esser retorici è un vizio diffuso...
Azz… Dimenticavo le soluzioni. Il piano dada prevede:
-un maggiore e migliore uso della diplomazia (la guerra va usata soltanto come estrema ratio…)
-poteri forti all'ONU
-europeismo convinto (Berlusconi ha le sue grosse colpe…)
Chiaramente parlo da italiano ed europeo…
E con questo chiudo davvero. Le posizioni sono chiare: retorica umanitaristica contro sublimazione pragmatica del cinismo...

- balkan wolf
- Storico dell'impulso
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- Iscritto il: 07/07/2003, 23:26
- Località: Balkan caverna
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dada l'opinione pubblica europea è anti-americana per un ovvio complesso d'inferiorità ...
come ex. padroni del mondo ( fino a 50 anni fa usavamo gli stessi metodi degli usa ... anzi peggio visto che annettevamo direttamente gli altri stati ) non possiamo accettare che i nostri "figliocci" ci abbiano superato...
io la vedo molto più semplice negli ultimi 50 anni si è giocata una partita con in palio il dominio globale tra due visioni del mondo contrapposte... fortunatamente abbiamo vinto "noi" ...
piaccia o non piaccia siamo tutti amerikani
l'europa il giappone l'australia sono solo appendici dell' "impero occidentale"
come ex. padroni del mondo ( fino a 50 anni fa usavamo gli stessi metodi degli usa ... anzi peggio visto che annettevamo direttamente gli altri stati ) non possiamo accettare che i nostri "figliocci" ci abbiano superato...
io la vedo molto più semplice negli ultimi 50 anni si è giocata una partita con in palio il dominio globale tra due visioni del mondo contrapposte... fortunatamente abbiamo vinto "noi" ...
piaccia o non piaccia siamo tutti amerikani

l'europa il giappone l'australia sono solo appendici dell' "impero occidentale"
“Quando il treno dei tuoi pensieri sferraglia verso il passato e le urla si fanno insopportabili, ricorda che c’è sempre la follia. La follia è l’uscita d’emergenza!”
Alan Moore the killing joke
Alan Moore the killing joke
[size=18:8cacc7e395][b:8cacc7e395]Il "Libro nero di Cuba", un toccasana per la castroenterite[/b:8cacc7e395][/size:8cacc7e395]
di Guido Vitiello
"Gli intellettuali di tutto il mondo a favore di Cuba nella CDH", titolava trionfalmente Granma, organo del regime castrista, il 15 marzo scorso. E il guaio è che aveva pressapoco ragione. Ricordate? In attesa del verdetto della Commissione dei Diritti Umani dell'Onu a Ginevra (in spagnolo, CDH) duecento intellettuali, artisti e intrattenitori avevano vergato un appello in difesa di Fidel Castro e della sua ultraquarantennale dittatura, contro l'"aggressione" degli Stati Uniti che premevano per una condanna - poi arrivata.
Tutti malati di castroenterite, avrebbe detto il grande e compianto Guillermo Cabrera Infante: "Malattia del corpo (ti rende schiavo) e dell'essere (ti rende servile)", che "soffrono indigeni e stranieri - alcuni di questi ultimi con una curiosa allegria".
Tra i duecento firmatari - uno per ogni prigione castrista, si potrebbe osservare - c'erano gli immancabili amici personali di Castro (Gianni Minà , Frei Betto, Ignacio Ramonet, Marta Harnecker); un buon numero di antiamericani compulsivi (Danielle Mitterrand, Tariq Ali, Eduardo Galeano, Ernesto Cardenal); un paio di allegri buontemponi (Red Ronnie, Manu Chao); un direttore d'orchestra che collabora da anni con il - come altro chiamarlo? - Minculpop cubano (il maestro Claudio Abbado) e una trafila di Nobel.
L'appello, pubblicato originariamente da "El Paàs" di Madrid, ripeteva le solite sciocchezze (rectius: Castronerie): che a Cuba non si torce un capello ad anima viva (niente torture, desaparecidos o esecuzioni extragiudiziali) e che la Revolucià³n ha portato con sé tante belle conquiste sociali: sanità , istruzione, cultura... i famosi logros, le Opere del Quarantennio strombazzate come solo la bonifica delle Paludi Pontine lo fu.
Negli stessi giorni, con assai meno clamore, usciva il "Libro nero di Cuba" (Guerini e Associati, 202 pagine, 17,50 euro). Il volume, a cura di Reporter senza frontiere e di altre ong, finalmente documenta per il lettore italiano la spietatezza del sistema repressivo castrista: le retate contro i dissidenti, le intimidazioni e le violenze ai giornalisti cubani e a quelli stranieri, l'arsenale della "repressione ordinaria", la rete capillare di spie e informatori al servizio del regime, le leggi liberticide, la sistematica negazione dei diritti del lavoro. Checché se ne dica, è un piccolo evento editoriale: per trovare qualcosa di altrettanto autorevole, duro e sistematico bisogna fare un salto indietro di una ventina d'anni, alla benemerita effervescenza anticomunista degli editori vicini al Psi craxiano, nei primi anni ottanta. Sembra impossibile, ma dopo quarantasei anni suonati di dittatura - con tutto il "corollario" di feroci persecuzioni contro le minoranze politiche e sessuali, campi di prigionia e di lavori forzati, fucilazioni che si contano a migliaia - è quasi impossibile in Italia procurarsi un libro non dico buono, ma appena passabile su Cuba. Solo monumentali agiografie di Castro - come quella "consentita" di Claudia Furiati, uscita per il Saggiatore - e pie commemorazioni di un guerrigliero passato a miglior vita nell'ottobre del 1967. Requiescat.
L'arte del contrappunto: un omaggio al maestro Abbado
Per ciascuna delle sciocchezze allineate nella lettera-manifesto dei chierici (chierici traà®tres, va da sé), Il "Libro nero di Cuba" contiene una risposta secca e inoppugnabile. è troppo forte la tentazione di trattare i due documenti come su una partitura musicale. Eccovi perciò un piccolo esercizio di contrappunto che il maestro Abbado potrebbe apprezzare.
"Non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extra-giudiziaria", scrivono i duecento, e la Rivoluzione ha consentito il "raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente". Benissimo.
Cuba è un modello di gestione della sanità ? Sentiamo Human Rights Watch (HRW): "I detenuti cubani nel loro insieme non hanno diritto che a un minimo di cure mediche. I prigionieri politici, su ordine delle autorità , non hanno diritto ad alcuna cura. Questa discriminazione è particolarmente orrenda quando sono state proprio le guardie carcerarie o il consiglio dei detenuti a provocare le ferite che necessiterebbero di essere curate". Questo per limitarsi alla ciliegina. Per il marciume dell'intera torta, vi rimando al libro-inchiesta del 2000 "Salud pàºblica cubana: otro perfil" a cura di CubaNet, la rete dei giornalisti indipendenti cubani (lo si può ordinare in rete su www.cubanet.org).
Grandi avanzamenti nella cultura e nell'istruzione? Come no! HRW ricorda che nella retata del marzo 2003 ci sono andati di mezzo anche i bibliotecari indipendenti (qui il loro sito: http://www.bibliocuba.org/), che si arrabattano per diffondere un po' di cultura libera in quel cimitero dell'intelligenza che la Cuba di Castro, come ogni sistema socialista, edifica per i suoi sudditi. La repressione è stata durissima anche contro di loro, ma ai nostri filototalitari basta che i cubani imparino tecnicamente a leggere e scrivere. Pazienza se poi non potranno leggere né scrivere nulla che sia anche vagamente sgradito al regime. In quel caso si apriranno per loro le porte del carcere, dove potranno comunque dedicarsi a un'altra grande conquista della Revolucià³n: lo sport! Ecco a voi, da "Granma", un bell'articolo sulla Prima Olimpiade dei Penitenziari: http://www.granma.cu/italiano/2005/marz ... da-it.html
Ancora: sostengono i duecento che a Cuba non si pratica la tortura. A quanto pare era un'esclusiva di Pinochet e Videla, e oggi di Bush e Rumsfeld. Ma è così? "Occasionalmente", si legge nel rapporto di HRW, "la polizia cubana o le guardie carcerarie rafforzano l'aspetto punitivo dell'isolamento con una serie di angherie di tipo sensoriale: li tengono nella più assoluta oscurità , bloccano il sistema di ventilazione, tolgono letti e materassi, sequestrano i vestiti e gli effetti personali dei detenuti, vietano qualsiasi tipo di comunicazione fra detenuti in isolamento, riducono ulteriormente le razioni alimentari già scarse. Le autorità penitenziarie cercano anche di annullare la percezione del tempo dei prigionieri, lasciando accesa la luce delle celle ventiquattr'ore su ventiquattro, alterando l'ora segnata dagli orologi, o diffondendo in continuazione musica ad altissimo volume". Aggiungete il caldo torrido e le zanzare, e gli esperti non hanno dubbi: questi trattamenti possono essere "assimilati alla tortura fisica e psicologica".
Be', però, i diritti sociali... almeno quelli sono garantiti. Il comunista Marco Rizzo, che a suo tempo definì "errori veniali" le condanne inflitte ai dissidenti (1450 anni di carcere comminati complessivamente!), ha dichiarato al Corriere della Sera le sue preferenze in materia di sistemi politici e sociali: "Da parlamentare potrei permettermi di dire Usa, se fossi operaio sceglierei Cuba". Buon per lui Sentiamo cosa scrive Pax Christi Olanda, a proposito dei fortunati operai cubani: "I lavoratori cubani non hanno il diritto di fondare dei propri sindacati, né di fare sciopero né di pretendere migliori condizioni di lavoro né di criticare i regolamenti del luogo di lavoro, e nemmeno di lamentarsi dei loro superiori". Per giunta, "I lavoratori cubani che fanno parte dei sindacati indipendenti - quindi illegali - vengono licenziati". Ma che problema c'è, tanto provvede per loro il sindacato unico, il CTC: "In realtà posso difendere i miei colleghi solo fino a un certo punto", dichiara un delegato del personale, "Se i lavoratori si mettono contro lo Stato, non posso fare niente per loro. Se li difendessi perderei il posto".
Le tre leggi di Murphy sull'editoria italiana e Cuba
Pezzo dopo pezzo, il manifesto dei duecento è sbugiardato per quel che è: un esempio di maldestra propaganda per un regime abominevole. Ma quanti saranno raggiunti da questo potente antidoto? Che ne sarà , insomma, di questo "Libro nero di Cuba"? Quanto se ne parlerà , quanto servirà - come scrive il segretario generale di Reporter senza frontiere Robert Ménard nella durissima prefazione - a scuotere gli "ultimi sostenitori di una delle più tenaci dittature del mondo"? L'autorevolezza delle ong che hanno contribuito - Amnesty International e Human Rights Watch tra le altre - dovrebbe mettere al riparo il volume dalle solite accuse di partigianeria politica. Insomma, difficilmente sentiremo dire che si tratta di loschi mercenari al soldo della Cia. Ma il rischio peggiore è un altro.
Fino ad oggi, in Italia, i libri su Cuba (e in generale sull'America Latina: il caso del Chiapas e degli zapatisti sta a dimostrarlo) sono stati sottoposti a tre implacabili "leggi di Murphy":
1. Se è un libro serio, non uscirà (la lista è potenzialmente infinita; ma basterà citare il formidabile reportage "Castro's Final Hour" del premio Pulitzer Andrés Oppenheimer, uscito in tutto il mondo tranne che in Italia - e a Cuba).
2. Se uscirà , l'autore sarà screditato in tutti i modi (caso di scuola: "Contro ogni speranza" di Armando Valladares, uscito per SugarCo negli anni ottanta, che venne trattato più o meno come Kravchenko negli anni cinquanta).
3. Se l'autore non è screditabile, il libro sarà ignorato (esempio: nel 2003 Guerini e Associati - sempre lui - aveva pubblicato "Nel nome di mio padre" di Ileana de La Guardia, figlia del colonnello Antonio de la Guardia, fatto giustiziare da Castro a coronamento di una pubblica farsa staliniana, di cui il libro svelava i retroscena... Un libro importante, di cui si era parlato molto in Francia e nel resto d'Europa. Ebbene, chi se n'è accorto?).
Il "Libro Nero di Cuba" è un ottimo candidato per arricchire la lista dei libri sottoposti alla legge numero tre.
Vorrei chiudere con un piccolo aneddoto personale. Qualche anno fa mi capitò di scrivere per MondOperaio un saggio sull'editoria italiana e l'America Latina. Si intitolava "Il doganiere invisibile. I libri sull'America Latina fermati alle nostre frontiere" (chi fosse interessato può leggerlo qui http://www.escualotis.com/unpopperuno/d ... tiello.pdf). Per l'occasione consultai la più appassionata e generosa combattente per la libertà di Cuba, Laura Gonsalez. "Perché - le chiesi un pomeriggio - i libri seri e importanti su Cuba non arrivano quasi mai in Italia? Perché gli editori non comunisti - o addirittura anticomunisti - non si prendono la briga di pubblicarli? Cosa c'è dietro? Disattenzione o censura?".
"Disattenzione censoria", fu la risposta sibillina di Laura.
Disattenzione censoria: il probabile destino di questo coraggioso "Libro nero".
di Guido Vitiello
"Gli intellettuali di tutto il mondo a favore di Cuba nella CDH", titolava trionfalmente Granma, organo del regime castrista, il 15 marzo scorso. E il guaio è che aveva pressapoco ragione. Ricordate? In attesa del verdetto della Commissione dei Diritti Umani dell'Onu a Ginevra (in spagnolo, CDH) duecento intellettuali, artisti e intrattenitori avevano vergato un appello in difesa di Fidel Castro e della sua ultraquarantennale dittatura, contro l'"aggressione" degli Stati Uniti che premevano per una condanna - poi arrivata.
Tutti malati di castroenterite, avrebbe detto il grande e compianto Guillermo Cabrera Infante: "Malattia del corpo (ti rende schiavo) e dell'essere (ti rende servile)", che "soffrono indigeni e stranieri - alcuni di questi ultimi con una curiosa allegria".
Tra i duecento firmatari - uno per ogni prigione castrista, si potrebbe osservare - c'erano gli immancabili amici personali di Castro (Gianni Minà , Frei Betto, Ignacio Ramonet, Marta Harnecker); un buon numero di antiamericani compulsivi (Danielle Mitterrand, Tariq Ali, Eduardo Galeano, Ernesto Cardenal); un paio di allegri buontemponi (Red Ronnie, Manu Chao); un direttore d'orchestra che collabora da anni con il - come altro chiamarlo? - Minculpop cubano (il maestro Claudio Abbado) e una trafila di Nobel.
L'appello, pubblicato originariamente da "El Paàs" di Madrid, ripeteva le solite sciocchezze (rectius: Castronerie): che a Cuba non si torce un capello ad anima viva (niente torture, desaparecidos o esecuzioni extragiudiziali) e che la Revolucià³n ha portato con sé tante belle conquiste sociali: sanità , istruzione, cultura... i famosi logros, le Opere del Quarantennio strombazzate come solo la bonifica delle Paludi Pontine lo fu.
Negli stessi giorni, con assai meno clamore, usciva il "Libro nero di Cuba" (Guerini e Associati, 202 pagine, 17,50 euro). Il volume, a cura di Reporter senza frontiere e di altre ong, finalmente documenta per il lettore italiano la spietatezza del sistema repressivo castrista: le retate contro i dissidenti, le intimidazioni e le violenze ai giornalisti cubani e a quelli stranieri, l'arsenale della "repressione ordinaria", la rete capillare di spie e informatori al servizio del regime, le leggi liberticide, la sistematica negazione dei diritti del lavoro. Checché se ne dica, è un piccolo evento editoriale: per trovare qualcosa di altrettanto autorevole, duro e sistematico bisogna fare un salto indietro di una ventina d'anni, alla benemerita effervescenza anticomunista degli editori vicini al Psi craxiano, nei primi anni ottanta. Sembra impossibile, ma dopo quarantasei anni suonati di dittatura - con tutto il "corollario" di feroci persecuzioni contro le minoranze politiche e sessuali, campi di prigionia e di lavori forzati, fucilazioni che si contano a migliaia - è quasi impossibile in Italia procurarsi un libro non dico buono, ma appena passabile su Cuba. Solo monumentali agiografie di Castro - come quella "consentita" di Claudia Furiati, uscita per il Saggiatore - e pie commemorazioni di un guerrigliero passato a miglior vita nell'ottobre del 1967. Requiescat.
L'arte del contrappunto: un omaggio al maestro Abbado
Per ciascuna delle sciocchezze allineate nella lettera-manifesto dei chierici (chierici traà®tres, va da sé), Il "Libro nero di Cuba" contiene una risposta secca e inoppugnabile. è troppo forte la tentazione di trattare i due documenti come su una partitura musicale. Eccovi perciò un piccolo esercizio di contrappunto che il maestro Abbado potrebbe apprezzare.
"Non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extra-giudiziaria", scrivono i duecento, e la Rivoluzione ha consentito il "raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente". Benissimo.
Cuba è un modello di gestione della sanità ? Sentiamo Human Rights Watch (HRW): "I detenuti cubani nel loro insieme non hanno diritto che a un minimo di cure mediche. I prigionieri politici, su ordine delle autorità , non hanno diritto ad alcuna cura. Questa discriminazione è particolarmente orrenda quando sono state proprio le guardie carcerarie o il consiglio dei detenuti a provocare le ferite che necessiterebbero di essere curate". Questo per limitarsi alla ciliegina. Per il marciume dell'intera torta, vi rimando al libro-inchiesta del 2000 "Salud pàºblica cubana: otro perfil" a cura di CubaNet, la rete dei giornalisti indipendenti cubani (lo si può ordinare in rete su www.cubanet.org).
Grandi avanzamenti nella cultura e nell'istruzione? Come no! HRW ricorda che nella retata del marzo 2003 ci sono andati di mezzo anche i bibliotecari indipendenti (qui il loro sito: http://www.bibliocuba.org/), che si arrabattano per diffondere un po' di cultura libera in quel cimitero dell'intelligenza che la Cuba di Castro, come ogni sistema socialista, edifica per i suoi sudditi. La repressione è stata durissima anche contro di loro, ma ai nostri filototalitari basta che i cubani imparino tecnicamente a leggere e scrivere. Pazienza se poi non potranno leggere né scrivere nulla che sia anche vagamente sgradito al regime. In quel caso si apriranno per loro le porte del carcere, dove potranno comunque dedicarsi a un'altra grande conquista della Revolucià³n: lo sport! Ecco a voi, da "Granma", un bell'articolo sulla Prima Olimpiade dei Penitenziari: http://www.granma.cu/italiano/2005/marz ... da-it.html
Ancora: sostengono i duecento che a Cuba non si pratica la tortura. A quanto pare era un'esclusiva di Pinochet e Videla, e oggi di Bush e Rumsfeld. Ma è così? "Occasionalmente", si legge nel rapporto di HRW, "la polizia cubana o le guardie carcerarie rafforzano l'aspetto punitivo dell'isolamento con una serie di angherie di tipo sensoriale: li tengono nella più assoluta oscurità , bloccano il sistema di ventilazione, tolgono letti e materassi, sequestrano i vestiti e gli effetti personali dei detenuti, vietano qualsiasi tipo di comunicazione fra detenuti in isolamento, riducono ulteriormente le razioni alimentari già scarse. Le autorità penitenziarie cercano anche di annullare la percezione del tempo dei prigionieri, lasciando accesa la luce delle celle ventiquattr'ore su ventiquattro, alterando l'ora segnata dagli orologi, o diffondendo in continuazione musica ad altissimo volume". Aggiungete il caldo torrido e le zanzare, e gli esperti non hanno dubbi: questi trattamenti possono essere "assimilati alla tortura fisica e psicologica".
Be', però, i diritti sociali... almeno quelli sono garantiti. Il comunista Marco Rizzo, che a suo tempo definì "errori veniali" le condanne inflitte ai dissidenti (1450 anni di carcere comminati complessivamente!), ha dichiarato al Corriere della Sera le sue preferenze in materia di sistemi politici e sociali: "Da parlamentare potrei permettermi di dire Usa, se fossi operaio sceglierei Cuba". Buon per lui Sentiamo cosa scrive Pax Christi Olanda, a proposito dei fortunati operai cubani: "I lavoratori cubani non hanno il diritto di fondare dei propri sindacati, né di fare sciopero né di pretendere migliori condizioni di lavoro né di criticare i regolamenti del luogo di lavoro, e nemmeno di lamentarsi dei loro superiori". Per giunta, "I lavoratori cubani che fanno parte dei sindacati indipendenti - quindi illegali - vengono licenziati". Ma che problema c'è, tanto provvede per loro il sindacato unico, il CTC: "In realtà posso difendere i miei colleghi solo fino a un certo punto", dichiara un delegato del personale, "Se i lavoratori si mettono contro lo Stato, non posso fare niente per loro. Se li difendessi perderei il posto".
Le tre leggi di Murphy sull'editoria italiana e Cuba
Pezzo dopo pezzo, il manifesto dei duecento è sbugiardato per quel che è: un esempio di maldestra propaganda per un regime abominevole. Ma quanti saranno raggiunti da questo potente antidoto? Che ne sarà , insomma, di questo "Libro nero di Cuba"? Quanto se ne parlerà , quanto servirà - come scrive il segretario generale di Reporter senza frontiere Robert Ménard nella durissima prefazione - a scuotere gli "ultimi sostenitori di una delle più tenaci dittature del mondo"? L'autorevolezza delle ong che hanno contribuito - Amnesty International e Human Rights Watch tra le altre - dovrebbe mettere al riparo il volume dalle solite accuse di partigianeria politica. Insomma, difficilmente sentiremo dire che si tratta di loschi mercenari al soldo della Cia. Ma il rischio peggiore è un altro.
Fino ad oggi, in Italia, i libri su Cuba (e in generale sull'America Latina: il caso del Chiapas e degli zapatisti sta a dimostrarlo) sono stati sottoposti a tre implacabili "leggi di Murphy":
1. Se è un libro serio, non uscirà (la lista è potenzialmente infinita; ma basterà citare il formidabile reportage "Castro's Final Hour" del premio Pulitzer Andrés Oppenheimer, uscito in tutto il mondo tranne che in Italia - e a Cuba).
2. Se uscirà , l'autore sarà screditato in tutti i modi (caso di scuola: "Contro ogni speranza" di Armando Valladares, uscito per SugarCo negli anni ottanta, che venne trattato più o meno come Kravchenko negli anni cinquanta).
3. Se l'autore non è screditabile, il libro sarà ignorato (esempio: nel 2003 Guerini e Associati - sempre lui - aveva pubblicato "Nel nome di mio padre" di Ileana de La Guardia, figlia del colonnello Antonio de la Guardia, fatto giustiziare da Castro a coronamento di una pubblica farsa staliniana, di cui il libro svelava i retroscena... Un libro importante, di cui si era parlato molto in Francia e nel resto d'Europa. Ebbene, chi se n'è accorto?).
Il "Libro Nero di Cuba" è un ottimo candidato per arricchire la lista dei libri sottoposti alla legge numero tre.
Vorrei chiudere con un piccolo aneddoto personale. Qualche anno fa mi capitò di scrivere per MondOperaio un saggio sull'editoria italiana e l'America Latina. Si intitolava "Il doganiere invisibile. I libri sull'America Latina fermati alle nostre frontiere" (chi fosse interessato può leggerlo qui http://www.escualotis.com/unpopperuno/d ... tiello.pdf). Per l'occasione consultai la più appassionata e generosa combattente per la libertà di Cuba, Laura Gonsalez. "Perché - le chiesi un pomeriggio - i libri seri e importanti su Cuba non arrivano quasi mai in Italia? Perché gli editori non comunisti - o addirittura anticomunisti - non si prendono la briga di pubblicarli? Cosa c'è dietro? Disattenzione o censura?".
"Disattenzione censoria", fu la risposta sibillina di Laura.
Disattenzione censoria: il probabile destino di questo coraggioso "Libro nero".
You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
L'oleodotto della libertà
di Alessandro Tapparini
Prima del 1840 Il petrolio era considerato un liquido melmoso pressochè inutile, che andava a inquinare i pozzi d'acqua e i campi in cui sgorgava. E forse in un prossimo futuro tornerà ad esserlo.
Non oggi, peró.
Oggi, a Baku (Azerbaijan), alla presenza del segretario di stato USA Condoleezza Rice e di vari altri esponenti di governi della regione ed occidentali (per l'Italia c'è il sottosegretario Margherita Boniver), viene ufficialmente inaugurato l'Oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che farà del Caucaso e della Turchia un fondamentale "ponte" energetico tra il Caspio e quello che un tempo si chiamava il Mondo Libero.
Si tratta di un'operazione destinata a ridurre drasticamente sia l'influenza di Mosca sulla regione, sia la dipendenza dell'Occidente dal petrolio mediorientale - oltretutto, se il secondo effetto avesse come ricaduta anche il tanto sospirato calo del prezzo del petrolio mediorientale, il circolo virtuoso nel mondo arabo sarebbe a quel punto ineluttabile: come annotava Fareed Zakaria alla vigilia della guerra in Iraq, "se il petrolio va giù a 10 dollari al barile, la monarchia saudita se ne va a Maiorca" (purtroppo, ad oggi siamo oltre i 50).
Esagerazioni?
Puó darsi. O forse no. Il bacino del Caspio (principalmente Azerbaigian, Dagestan e Kazakistan) è ricchissimo di petrolio, ed era un tempo sotto il pieno controllo dell'Unione Sovietica. Dopo il 1992, la Russia ha dovuto dividerne il possesso non più col solo Iran, com'era in precedenza, ma pure con Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Azerbaigian.
Per anni il petrolio del Caspio ha continuato ad essere portato in Russia e solo da lì smerciato in occidente; il canale obbligato era l'oleodotto Baku-Grozny-Novorossiysk, che passa, guarda caso, dalla Cecenia (la prima guerra cecena fu fatta soprattutto per questo).
Poi, nel 1999, le compagnie petrolifere occidentali hanno investito tutto sulla la realizzazione di un canale alternativo con il quale approvvigionarsi del petrolio Azerbaigiano attraverso la linea Georgia-Turchia, bypassando i territori controllati dalla Russia e dall'Iran.
Ora l'opera è completa e viene inaugurata in pompa magna. L'americana Conoco-Phillips, la britannica BP, l'italiana Eni, la francese Total e la giapponese Inpex possiedono insieme l'80% delle partecipazioni del consorzio che gestisce l'impianto.
Mosca si vede quindi tagliar fuori, avviandosi a perdere il monopolio delle riserve petrolifere caucasiche.
A rincarare la dose ci si è messa nell'ultimo anno la "rivoluzione arancione", finanziata in gran parte da Gorge Soros ma sostenuta anche dal dipartimento di Stato USA, che ha portato a dei "regime change" filo-occidentali non solo in Georgia e in Kirgizistan, ma anche in Ukraina. L'impegno americano (ed europeo) in Ukraina rischia di apparire eccentrico se non si considera l'importanza dell'oleodotto Odessa-Brody-Plonsk, ossia il principale rivale del progetto russo per l'esportazione del petrolio del Caspio nei paesi della Comunità Europea.
Ancora lui: ancora il petrolio.
Non si tratta di dietrologia, e nemmeno di realpolitik (alla larga...): semplicemente, si tratta di non dimenticare quei poco romantici interessi, economici e geostrategici, che, piaccia o no, sono spesso fattori imprescindibili, al di là delle nostre appassionate dissertazioni revisionistiche su Yalta. In fondo, la politica sganciata dagli interessi scivola facilmente nell'ideologia, per cui tener presenti gli interessi in gioco ci aiuta non solo a capire, ma a restare ancorati al mondo reale.
A proposito: ironia della sorte, sempre in queste ore a Mosca si sta dando corso alla lettura della sentenza di condanna a carico di Mikhail Khodorkovsky, l'ex "uomo più ricco della Russia", già fondatore e padrone della YUKOS (la seconda compagnia petrolifera russa) e finanziatore dell'opposizione a Putin in sinergia con Soros.
Khodorkovsky venne arrestato dagli uomini dell'ex Kgb nell'aeroporto di Novosibirsk all'alba del 25 ottobre del 2003, con l'accusa di frode fiscale, all'indomani del suo acquito del Moscow Times e proprio mentre stava trattando la cessione del pacchetto di maggioranza della Yukos alla concorrenza USA (la Texaco e/o la Exxon). Soros prese pubblicamente le difese di Khodorkovsky, ma non fu il solo: anche il neoconservatore americano Richard Perle chiese addirittura che la Russia fosse espulsa dal G8, e nel luglio seguente il New York Times riportó che: "Quando il consigliere politico chiave di Washington Richard Perle ha avuto un meeting, questa settimana, con i più importanti analisti politici russi, ha dato un consiglio non richiesto: lasciate stare la Yukos Oil Co., il gigante russo dell'energia intrappolato in un confronto con dei giudici criminali".
Che strana coppia, si dirà : un neoconservatore bushiano accanto ad un anti-bushiano di ferro come Soros. Eppure, le cose sono molto, ma molto più complesse. Lo scorso marzo il vecchio cronista radicale Jonathan Steele scriveva sul quotidiano britannico di sinistra Guardian:
"Gli uomini di Bush hanno appoggiato la strategia di Clinton volta all'indebolimento della Russia. E una volta al potere la hanno intensificata. Così, sfruttando il terrore prodotto dall'Undici settembre, nonchè il desiderio di Putin di ottenere l'accondiscendenza USA verso la propria guerra perduta in Cecenia, gli USA hanno incassato il consenso di Mosca allo stabilimento di basi statunitensi in Asia Centrale. Innestate come misura temporanea contro i Talebani, gli USA sono decisi a mantenere quelle basi per un loro possibile utilizzo contro Russia, Cina e Medioriente. Hanno, altresì, accelerato le cosiddette "guerre degli oleodotti" nel Caucaso, facendo pressione sulle compagnie occidentali al fine di tagliare la Russia fuori dalla ricerca petrolifera sul Caspio e assicurandosi che nulla venga trasportato attraverso il territorio russo".
A quell'inchiesta del Guardian replicó, con una letterina pepata, David T. Johnson, incaricato d'affari presso l'ambasciata americana a Londra (già "coordinatore" USA nell'Afghanistan de-talebanizzato da Bush, e prima ancora ambasciatore USA all'OSCE, e prima ancora portavoce del National Security Council sotto Clinton...), il quale, negate senza troppa convinzione le rivelazioni più scottanti, si lasció peró andare ad una sorta di rivendicazione:
"àˆ abbastanza vero, tuttavia, che anche allo Zio Sam spetta qualcosa. E non soltanto in Ucraina, ma anche in Bielorussia, in Georgia, in Serbia e in una miriade di altre nazioni in Europa e, effettivamente, in tutto il mondo. Ció di cui ci stiamo occupando noi, è il sostegno alla democrazia".
E così il cerchio si chiude. Lasciando fuori peró, il povero Chodorkovsky, sul quale i "giudici criminali" stanno avendo la meglio. La lettura della sentenza va avanti da giorni perchè sono oltre 1000 pagine e il rito prevede siano declamate a voce alta. Qualche giorno fa Daniele Capezzone notava che si tratta di "una sentenza già scritta, pare con ampi passaggi copiati di sana pianta dagli atti d'accusa, inclusi errori ed imperfezioni ortografiche", e che "per colmo di beffa, la pubblicizzazione della sentenza è stata ritardata di alcune settimane, proprio per evitare una "sgradevole" coincidenza dapprima con la visita di Putin in Israele, e poi con le grandi celebrazioni di Mosca del 9 maggio scorso".
Ma torniamo un attimo da dove eravamo partiti: in Azerbaijan.
Il mese scorso il capo del Pentagono Donald Rumsfeld, in coda alla sua visita "a sorpresa" a Baghdad, aveva fatto anche una capatina ufficiosa e molto riservata a Baku, e da lì si era recato in Kyrgyzistan. Il giorno dopo la visita di Rumsfeld a Baku, il Generale Johns, comandante delle forze NATO in Europa, ha annunciato la imminente apertura di basi militari sul Caspio "per garantire la sicurezza regionale"; e da tempo sulla stampa trapelano indiscrezioni sulla creazione, sotto l'egida degli USA ed in cooperazione con i governi dell'area, di una forza armata comune, la "Caspian Guard", la cui base operativa sarebbe un centro di comando radar di prossima apertura proprio a Baku. Lo scorso 11 aprile, il Wall Street Journal affermava che gli USA intenderebbero investire 100 milioni di dollari nell'operazione.
A complicare ulteriormente il gioco si aggiunge il fatto che, sempre in questi giorni, in Azerbaijan (dove a novembre si dovrebbe votare per eleggere il nuovo parlamento) si agitano le avvisaglie di un'altra possibile rivoluzione, che qualcuno già accosta a quelle che hanno interessato Georgia, Ucraina e Kirgizistan. Solo che stavolta l'amministrazione Bush appare più interessata a servirsi del regime (che collabora anche nella guerra contro Al Qaeda: l'Afghanistan è a due passi...) che non dell'opposizione.
A proposito di Soros: nei prossimi giorni si troverà in Georgia, ufficialmente per festeggiare il decennale della sede del suo "Open Society Institute" a Tbilisi. Neanche a farlo apposta.
di Alessandro Tapparini
Prima del 1840 Il petrolio era considerato un liquido melmoso pressochè inutile, che andava a inquinare i pozzi d'acqua e i campi in cui sgorgava. E forse in un prossimo futuro tornerà ad esserlo.
Non oggi, peró.
Oggi, a Baku (Azerbaijan), alla presenza del segretario di stato USA Condoleezza Rice e di vari altri esponenti di governi della regione ed occidentali (per l'Italia c'è il sottosegretario Margherita Boniver), viene ufficialmente inaugurato l'Oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che farà del Caucaso e della Turchia un fondamentale "ponte" energetico tra il Caspio e quello che un tempo si chiamava il Mondo Libero.
Si tratta di un'operazione destinata a ridurre drasticamente sia l'influenza di Mosca sulla regione, sia la dipendenza dell'Occidente dal petrolio mediorientale - oltretutto, se il secondo effetto avesse come ricaduta anche il tanto sospirato calo del prezzo del petrolio mediorientale, il circolo virtuoso nel mondo arabo sarebbe a quel punto ineluttabile: come annotava Fareed Zakaria alla vigilia della guerra in Iraq, "se il petrolio va giù a 10 dollari al barile, la monarchia saudita se ne va a Maiorca" (purtroppo, ad oggi siamo oltre i 50).
Esagerazioni?
Puó darsi. O forse no. Il bacino del Caspio (principalmente Azerbaigian, Dagestan e Kazakistan) è ricchissimo di petrolio, ed era un tempo sotto il pieno controllo dell'Unione Sovietica. Dopo il 1992, la Russia ha dovuto dividerne il possesso non più col solo Iran, com'era in precedenza, ma pure con Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Azerbaigian.
Per anni il petrolio del Caspio ha continuato ad essere portato in Russia e solo da lì smerciato in occidente; il canale obbligato era l'oleodotto Baku-Grozny-Novorossiysk, che passa, guarda caso, dalla Cecenia (la prima guerra cecena fu fatta soprattutto per questo).
Poi, nel 1999, le compagnie petrolifere occidentali hanno investito tutto sulla la realizzazione di un canale alternativo con il quale approvvigionarsi del petrolio Azerbaigiano attraverso la linea Georgia-Turchia, bypassando i territori controllati dalla Russia e dall'Iran.
Ora l'opera è completa e viene inaugurata in pompa magna. L'americana Conoco-Phillips, la britannica BP, l'italiana Eni, la francese Total e la giapponese Inpex possiedono insieme l'80% delle partecipazioni del consorzio che gestisce l'impianto.
Mosca si vede quindi tagliar fuori, avviandosi a perdere il monopolio delle riserve petrolifere caucasiche.
A rincarare la dose ci si è messa nell'ultimo anno la "rivoluzione arancione", finanziata in gran parte da Gorge Soros ma sostenuta anche dal dipartimento di Stato USA, che ha portato a dei "regime change" filo-occidentali non solo in Georgia e in Kirgizistan, ma anche in Ukraina. L'impegno americano (ed europeo) in Ukraina rischia di apparire eccentrico se non si considera l'importanza dell'oleodotto Odessa-Brody-Plonsk, ossia il principale rivale del progetto russo per l'esportazione del petrolio del Caspio nei paesi della Comunità Europea.
Ancora lui: ancora il petrolio.
Non si tratta di dietrologia, e nemmeno di realpolitik (alla larga...): semplicemente, si tratta di non dimenticare quei poco romantici interessi, economici e geostrategici, che, piaccia o no, sono spesso fattori imprescindibili, al di là delle nostre appassionate dissertazioni revisionistiche su Yalta. In fondo, la politica sganciata dagli interessi scivola facilmente nell'ideologia, per cui tener presenti gli interessi in gioco ci aiuta non solo a capire, ma a restare ancorati al mondo reale.
A proposito: ironia della sorte, sempre in queste ore a Mosca si sta dando corso alla lettura della sentenza di condanna a carico di Mikhail Khodorkovsky, l'ex "uomo più ricco della Russia", già fondatore e padrone della YUKOS (la seconda compagnia petrolifera russa) e finanziatore dell'opposizione a Putin in sinergia con Soros.
Khodorkovsky venne arrestato dagli uomini dell'ex Kgb nell'aeroporto di Novosibirsk all'alba del 25 ottobre del 2003, con l'accusa di frode fiscale, all'indomani del suo acquito del Moscow Times e proprio mentre stava trattando la cessione del pacchetto di maggioranza della Yukos alla concorrenza USA (la Texaco e/o la Exxon). Soros prese pubblicamente le difese di Khodorkovsky, ma non fu il solo: anche il neoconservatore americano Richard Perle chiese addirittura che la Russia fosse espulsa dal G8, e nel luglio seguente il New York Times riportó che: "Quando il consigliere politico chiave di Washington Richard Perle ha avuto un meeting, questa settimana, con i più importanti analisti politici russi, ha dato un consiglio non richiesto: lasciate stare la Yukos Oil Co., il gigante russo dell'energia intrappolato in un confronto con dei giudici criminali".
Che strana coppia, si dirà : un neoconservatore bushiano accanto ad un anti-bushiano di ferro come Soros. Eppure, le cose sono molto, ma molto più complesse. Lo scorso marzo il vecchio cronista radicale Jonathan Steele scriveva sul quotidiano britannico di sinistra Guardian:
"Gli uomini di Bush hanno appoggiato la strategia di Clinton volta all'indebolimento della Russia. E una volta al potere la hanno intensificata. Così, sfruttando il terrore prodotto dall'Undici settembre, nonchè il desiderio di Putin di ottenere l'accondiscendenza USA verso la propria guerra perduta in Cecenia, gli USA hanno incassato il consenso di Mosca allo stabilimento di basi statunitensi in Asia Centrale. Innestate come misura temporanea contro i Talebani, gli USA sono decisi a mantenere quelle basi per un loro possibile utilizzo contro Russia, Cina e Medioriente. Hanno, altresì, accelerato le cosiddette "guerre degli oleodotti" nel Caucaso, facendo pressione sulle compagnie occidentali al fine di tagliare la Russia fuori dalla ricerca petrolifera sul Caspio e assicurandosi che nulla venga trasportato attraverso il territorio russo".
A quell'inchiesta del Guardian replicó, con una letterina pepata, David T. Johnson, incaricato d'affari presso l'ambasciata americana a Londra (già "coordinatore" USA nell'Afghanistan de-talebanizzato da Bush, e prima ancora ambasciatore USA all'OSCE, e prima ancora portavoce del National Security Council sotto Clinton...), il quale, negate senza troppa convinzione le rivelazioni più scottanti, si lasció peró andare ad una sorta di rivendicazione:
"àˆ abbastanza vero, tuttavia, che anche allo Zio Sam spetta qualcosa. E non soltanto in Ucraina, ma anche in Bielorussia, in Georgia, in Serbia e in una miriade di altre nazioni in Europa e, effettivamente, in tutto il mondo. Ció di cui ci stiamo occupando noi, è il sostegno alla democrazia".
E così il cerchio si chiude. Lasciando fuori peró, il povero Chodorkovsky, sul quale i "giudici criminali" stanno avendo la meglio. La lettura della sentenza va avanti da giorni perchè sono oltre 1000 pagine e il rito prevede siano declamate a voce alta. Qualche giorno fa Daniele Capezzone notava che si tratta di "una sentenza già scritta, pare con ampi passaggi copiati di sana pianta dagli atti d'accusa, inclusi errori ed imperfezioni ortografiche", e che "per colmo di beffa, la pubblicizzazione della sentenza è stata ritardata di alcune settimane, proprio per evitare una "sgradevole" coincidenza dapprima con la visita di Putin in Israele, e poi con le grandi celebrazioni di Mosca del 9 maggio scorso".
Ma torniamo un attimo da dove eravamo partiti: in Azerbaijan.
Il mese scorso il capo del Pentagono Donald Rumsfeld, in coda alla sua visita "a sorpresa" a Baghdad, aveva fatto anche una capatina ufficiosa e molto riservata a Baku, e da lì si era recato in Kyrgyzistan. Il giorno dopo la visita di Rumsfeld a Baku, il Generale Johns, comandante delle forze NATO in Europa, ha annunciato la imminente apertura di basi militari sul Caspio "per garantire la sicurezza regionale"; e da tempo sulla stampa trapelano indiscrezioni sulla creazione, sotto l'egida degli USA ed in cooperazione con i governi dell'area, di una forza armata comune, la "Caspian Guard", la cui base operativa sarebbe un centro di comando radar di prossima apertura proprio a Baku. Lo scorso 11 aprile, il Wall Street Journal affermava che gli USA intenderebbero investire 100 milioni di dollari nell'operazione.
A complicare ulteriormente il gioco si aggiunge il fatto che, sempre in questi giorni, in Azerbaijan (dove a novembre si dovrebbe votare per eleggere il nuovo parlamento) si agitano le avvisaglie di un'altra possibile rivoluzione, che qualcuno già accosta a quelle che hanno interessato Georgia, Ucraina e Kirgizistan. Solo che stavolta l'amministrazione Bush appare più interessata a servirsi del regime (che collabora anche nella guerra contro Al Qaeda: l'Afghanistan è a due passi...) che non dell'opposizione.
A proposito di Soros: nei prossimi giorni si troverà in Georgia, ufficialmente per festeggiare il decennale della sede del suo "Open Society Institute" a Tbilisi. Neanche a farlo apposta.
You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
[b:ac2aeb660e]Cuba libera (da Castro)[/b:ac2aeb660e]
http://www.radicali.it/newsletter/view. ... 20RADICALI
[i:ac2aeb660e]non si può possedere un computer senza l'autorizzazione del Ministero dell'Interno e ovviamente è impossibile navigare in internet
Nessuno si è mai preso la briga di denunciare all'opinione pubblica il sospetto, avvalorato da dichiarazioni e documenti mostrati da ex ufficiali e scienziati scappati, di esperimenti batteriologici a scopo militare nell'isola caraibica. Se ne parla dal 1988. [b:ac2aeb660e]Sembra che armi con i micidiali Sarin e gas VX siano state impiegate in Africa dal contingente cubano inviato in Angola[/b:ac2aeb660e].
Un ex ufficiale dell'aviazione cubana rivelò nel 1997 che il suo governo avrebbe acquistato da una ditta italiana una centrifuga in grado di sviluppare una velocità di diecimila giri e di separare i batteri dal loro ambiente solido o liquido.
si afferma nel saggio "Biohazard" di [b:ac2aeb660e]Ken Alibek, ex ufficiale del Kgb[/b:ac2aeb660e], che [b:ac2aeb660e]il direttore del programma militare chimico di Mosca si sarebbe recato nel 1990 a Cuba per un "programma di sviluppo militare batteriologico molto attivo". L'ex Unione Sovietica avrebbe procurato al governo castrista vasche di fermentazione per l'allevamento batteriologico[/b:ac2aeb660e], ufficialmente utilizzate per produrre cibo per il bestiame.
[/i:ac2aeb660e]
http://www.radicali.it/newsletter/view. ... 20RADICALI
[i:ac2aeb660e]non si può possedere un computer senza l'autorizzazione del Ministero dell'Interno e ovviamente è impossibile navigare in internet
Nessuno si è mai preso la briga di denunciare all'opinione pubblica il sospetto, avvalorato da dichiarazioni e documenti mostrati da ex ufficiali e scienziati scappati, di esperimenti batteriologici a scopo militare nell'isola caraibica. Se ne parla dal 1988. [b:ac2aeb660e]Sembra che armi con i micidiali Sarin e gas VX siano state impiegate in Africa dal contingente cubano inviato in Angola[/b:ac2aeb660e].
Un ex ufficiale dell'aviazione cubana rivelò nel 1997 che il suo governo avrebbe acquistato da una ditta italiana una centrifuga in grado di sviluppare una velocità di diecimila giri e di separare i batteri dal loro ambiente solido o liquido.
si afferma nel saggio "Biohazard" di [b:ac2aeb660e]Ken Alibek, ex ufficiale del Kgb[/b:ac2aeb660e], che [b:ac2aeb660e]il direttore del programma militare chimico di Mosca si sarebbe recato nel 1990 a Cuba per un "programma di sviluppo militare batteriologico molto attivo". L'ex Unione Sovietica avrebbe procurato al governo castrista vasche di fermentazione per l'allevamento batteriologico[/b:ac2aeb660e], ufficialmente utilizzate per produrre cibo per il bestiame.
[/i:ac2aeb660e]
You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
L'oro nero
di Alessandro Gerardi
Chi dice che la guerra lo angoscia per il futuro dei propri bambini dovrebbe essere terrorizzato al pensiero di quale destino sarà riservato ai pargoli senza una politica realistica e determinata di controllo sugli approvvigionamenti energetici. Dovrebbe ragionare su quali prospettive si aprirebbero all’improvviso sotto il ricatto petrolifero di despoti criminali o bizzarri signori col tovagliolo in testa ed il lavandino in oro zecchino.
http://www.radicali.it/newsletter/view. ... 20RADICALI
(balkan...
)
di Alessandro Gerardi
Chi dice che la guerra lo angoscia per il futuro dei propri bambini dovrebbe essere terrorizzato al pensiero di quale destino sarà riservato ai pargoli senza una politica realistica e determinata di controllo sugli approvvigionamenti energetici. Dovrebbe ragionare su quali prospettive si aprirebbero all’improvviso sotto il ricatto petrolifero di despoti criminali o bizzarri signori col tovagliolo in testa ed il lavandino in oro zecchino.
http://www.radicali.it/newsletter/view. ... 20RADICALI
(balkan...

You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
Il presidente dei Ds: "Sicurezza e ordine
devono basarsi sul diritto internazionale"
D'Alema: "Giusto espandere
la democrazia, anche con la forza"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Tema "delicato", soprattutto quando si parla del programma del centrosinistra per il 2006. Si puó esportare la democrazia? E se sì, con quali mezzi? Massimo D'Alema indica la sua strada sapendo che quando arriverà sul tavolo di tutta l'Unione sarà un problema. "Esportare la democrazia con successo vuol dire non escludere a priori il tema dell'uso della forza", dice il presidente dei Ds al seminario della fondazione Italianeuropei che ruota intorno al progetto riformista.
Il suo è un discorso tutto incentrato sulla politica estera e oggi politica estera significa anche come stare nel dibattito guerra-pace. Platea abbastanza amica, a parte, in prima fila, il comunista Armando Cossutta che scuote la testa: "Simpatici, questi riformisti, ma dicono molte cose sbagliate... ".
Il punto di partenza di D'Alema è: "L'idea neocon di esportare la democrazia è giusta, è un grande obbiettivo", "la sicurezza è nell'espansione della democrazia" e la questione dovrà essere assunta dal centrosinistra. Sicurezza e ordine dovranno essere basati "sul diritto internazionale e non sull'uso della forza", aggiunge l'ex premier e più tardi, a margine del seminario, D'Alema spiegherà che il suo riferimento è alle emergenze umanitarie e in un ambito, naturalmente, multilaterale. Quello che è già avvenuto in Kosovo, in sostanza. Ma oggi bisogna guardare oltre. "Il multilateralismo - spiega D'Alema - non deve essere interpretato come condivisione di impotenze o accettazione dello status quo, ma come un sistema in grado di intervenire efficacemente, superando la visione ottocentesca della sovranità nazionale".
àˆ evidente che il presidente della Quercia ha già lo sguardo rivolto agli impegni di governo del centrosinistra, parla di "un terreno di confronto con la destra americana".
E che il tema sia all'ordine del giorno, non solo guerra e pace ma anche Italia e Stati uniti e Europa-Usa, lo testimoniano tutti gli altri interventi. Sull'uso della forza Piero Fassino ha fatto da apripista e oggi dice a D'Alema: "àˆ un tema impopolare ma giusto". Semmai qualche differenza tra segretario e presidente ds emerge quando si affronta il tema del rilancio europeo. Fassino avverte: "Ripartire dai Paese fondatori, come dice Massimo, ma coinvolgendo anche gli altri e soprattutto i protagonisti dell'allargamento. Guai a immaginare un'iniziativa solo nell'ambito dei Quindici". Sulla democrazia da espandere Francesco Rutelli osserva: "Qualcuno dice che gli Usa di Cheney, il Cheney che considera giusta la prigione per Nelson Mandela, non possono essere paladini della democrazia. Ma loro una politica ce l'hanno...".
àˆ Giuliano Amato a calare nella realtà prossima ventura la discussione sull'uso della forza, rispondendo alle domande del direttore di Repubblica Ezio Mauro che modera il confronto con Prodi e D'Alema. "Il caso iraniano è davanti a tutti. Ecco, io penso che dobbiamo usare il soft power, l'Iran ha tutte le risorse per passare da solo dall'autoritarismo alla democrazia. Se mi chiedete cosa penso dell'uso della forza per estendere la democrazia dico no, la forza serve a difendere la democrazia se qualcuno la mette a repentaglio".
àˆ la ferita irachena a pesare su un dibattito che non puó essere solo teorico. Ferita che significa: quale rapporto con gli Stati uniti. E Romano Prodi è chiarissimo: "Con gli Usa, da presidente della Ue, ho lavorato benissimo. Ma con loro ho sempre litigato sull'Iraq". Si puó ricucire il legame? "La guerra irachena - risponde Prodi - è stato un errore storico e su questo punto non voglio aggiustare nulla con gli Stati Uniti". Dal vertice della commissione Ue la crisi tra Vecchio continente e Washington deve avere lasciato strascichi più profondi. Il Professore infatti si scalda: "Sui libri di storia c'è scritto che ha esportato più democrazia l'Europa o gli Stati uniti?". Domanda retorica, ovviamente. Ma che dice come uno temi del confronto sul programma nell'Unione sarà proprio la relazione con l'America, dopo gli anni dell'opposizione alla guerra e alle politiche di George Bush.
(4 maggio 2005)
devono basarsi sul diritto internazionale"
D'Alema: "Giusto espandere
la democrazia, anche con la forza"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Tema "delicato", soprattutto quando si parla del programma del centrosinistra per il 2006. Si puó esportare la democrazia? E se sì, con quali mezzi? Massimo D'Alema indica la sua strada sapendo che quando arriverà sul tavolo di tutta l'Unione sarà un problema. "Esportare la democrazia con successo vuol dire non escludere a priori il tema dell'uso della forza", dice il presidente dei Ds al seminario della fondazione Italianeuropei che ruota intorno al progetto riformista.
Il suo è un discorso tutto incentrato sulla politica estera e oggi politica estera significa anche come stare nel dibattito guerra-pace. Platea abbastanza amica, a parte, in prima fila, il comunista Armando Cossutta che scuote la testa: "Simpatici, questi riformisti, ma dicono molte cose sbagliate... ".
Il punto di partenza di D'Alema è: "L'idea neocon di esportare la democrazia è giusta, è un grande obbiettivo", "la sicurezza è nell'espansione della democrazia" e la questione dovrà essere assunta dal centrosinistra. Sicurezza e ordine dovranno essere basati "sul diritto internazionale e non sull'uso della forza", aggiunge l'ex premier e più tardi, a margine del seminario, D'Alema spiegherà che il suo riferimento è alle emergenze umanitarie e in un ambito, naturalmente, multilaterale. Quello che è già avvenuto in Kosovo, in sostanza. Ma oggi bisogna guardare oltre. "Il multilateralismo - spiega D'Alema - non deve essere interpretato come condivisione di impotenze o accettazione dello status quo, ma come un sistema in grado di intervenire efficacemente, superando la visione ottocentesca della sovranità nazionale".
àˆ evidente che il presidente della Quercia ha già lo sguardo rivolto agli impegni di governo del centrosinistra, parla di "un terreno di confronto con la destra americana".
E che il tema sia all'ordine del giorno, non solo guerra e pace ma anche Italia e Stati uniti e Europa-Usa, lo testimoniano tutti gli altri interventi. Sull'uso della forza Piero Fassino ha fatto da apripista e oggi dice a D'Alema: "àˆ un tema impopolare ma giusto". Semmai qualche differenza tra segretario e presidente ds emerge quando si affronta il tema del rilancio europeo. Fassino avverte: "Ripartire dai Paese fondatori, come dice Massimo, ma coinvolgendo anche gli altri e soprattutto i protagonisti dell'allargamento. Guai a immaginare un'iniziativa solo nell'ambito dei Quindici". Sulla democrazia da espandere Francesco Rutelli osserva: "Qualcuno dice che gli Usa di Cheney, il Cheney che considera giusta la prigione per Nelson Mandela, non possono essere paladini della democrazia. Ma loro una politica ce l'hanno...".
àˆ Giuliano Amato a calare nella realtà prossima ventura la discussione sull'uso della forza, rispondendo alle domande del direttore di Repubblica Ezio Mauro che modera il confronto con Prodi e D'Alema. "Il caso iraniano è davanti a tutti. Ecco, io penso che dobbiamo usare il soft power, l'Iran ha tutte le risorse per passare da solo dall'autoritarismo alla democrazia. Se mi chiedete cosa penso dell'uso della forza per estendere la democrazia dico no, la forza serve a difendere la democrazia se qualcuno la mette a repentaglio".
àˆ la ferita irachena a pesare su un dibattito che non puó essere solo teorico. Ferita che significa: quale rapporto con gli Stati uniti. E Romano Prodi è chiarissimo: "Con gli Usa, da presidente della Ue, ho lavorato benissimo. Ma con loro ho sempre litigato sull'Iraq". Si puó ricucire il legame? "La guerra irachena - risponde Prodi - è stato un errore storico e su questo punto non voglio aggiustare nulla con gli Stati Uniti". Dal vertice della commissione Ue la crisi tra Vecchio continente e Washington deve avere lasciato strascichi più profondi. Il Professore infatti si scalda: "Sui libri di storia c'è scritto che ha esportato più democrazia l'Europa o gli Stati uniti?". Domanda retorica, ovviamente. Ma che dice come uno temi del confronto sul programma nell'Unione sarà proprio la relazione con l'America, dopo gli anni dell'opposizione alla guerra e alle politiche di George Bush.
(4 maggio 2005)
You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
Squirto ha scritto:Si puó esportare la democrazia? E se sì, con quali mezzi? Massimo D'Alema indica la sua strada sapendo che quando arriverà sul tavolo di tutta l'Unione sarà un problema. "Esportare la democrazia con successo vuol dire non escludere a priori il tema dell'uso della forza", dice il presidente dei Ds al seminario della fondazione Italianeuropei che ruota intorno al progetto riformista.
mi pare l'avesse già detto dubja Bush....

Eeeh, professore"¦ non le dico, antani, come trazione per due anche se fosse supercazzola bitumata, ha lo scappellamento a destra.
In Iraq / Un silenzio doppiamente colpevole
La tortura che non fa notizia
Trovata a Karabila una «clinica della morte», centro di tortura della guerriglia sunnita. Ce n'erano una ventina anche a Falluja
Impegnati in una battaglia casa per casa, per distruggere le basi degli insorti nei villaggi iracheni non lontani dal poroso confine con la Siria, i marines hanno scoperto, in un edificio di Karabila, una «clinica della morte», attrezzato centro di tortura della guerriglia sunnita. Ne avevano trovati una ventina anche a Falluja, nel cuore del famoso triangolo. Ma quelli erano «freddi», abbandonati e ripuliti frettolosamente dai ribelli. Quest’ultimo laboratorio di violenza e sevizie per intimidire la popolazione era invece ancora «caldo», perchè non c’era stato il tempo di nascondere gli strumenti della sofferenza, e di far sparire (o eliminare) le vittime delle torture.
Oltre a cavi elettrici, manette, cappi per simulare o eseguire impiccagioni, i soldati americani hanno trovato infatti quattro prigionieri ancora in vita: preziosi testimoni che, forse per la prima volta, stanno rivelando gli inconfessabili segreti della resistenza più violenta, senza tacere particolari agghiaccianti. Sono ragazzi colpevoli di aver accettato l’«infamia» di un posto di lavoro nella nuova polizia irachena, magari per poter sfamare la famiglia, e quindi ritenuti complici del nemico; che avevano semplicemente rifiutato di trasformarsi in kamikaze; oppure che non accettavano di praticare l’odioso ricatto del sequestro di persona, come imponevano le istruzioni di un volumetto (edizione 2005) ritrovato nel carcere camuffato da deposito, con i vetri delle finestre anneriti: «Come scegliere i migliori ostaggi».
A parte un accurato reportage del New York Times, la scoperta della camera di tortura, nel villaggio di Karabila, si è diluita nella generale indifferenza. Come se fosse scarsamente rilevante, anche da parte di coloro che erano e sono rimasti contrari alla guerra all’Iraq, il ricorso a pratiche odiose e inaccettabili da parte di iracheni contro i loro fratelli. Il mondo era inorridito quando si alzó il sipario sulle torture e sugli abusi che alcuni soldati americani avevano inflitto agli iracheni, arrestati dopo la guerra e rinchiusi nella prigione di Abu Ghraib, che fu teatro delle orrende pratiche e delle brutali vendette che Saddam Hussein riservava ai suoi nemici. Proprio quel carcere iracheno, nel quale venivano massacrati gli oppositori del regime, scelto come simbolo di una dittatura insopportabile e da abbattere, era insomma diventato teatro di un altro crimine: con i nuovi detenuti umiliati nel corpo, nella dignità e nell’onore, e trasformati in volgare documentazione pornografica.
La coscienza del mondo era insorta, chiedendo giustamente un’esemplare punizione per i militari americani responsabili dello scempio. Oggi, per contro, il silenzio che accompagna la scoperta di altre torture e di altre vittime è grave e assordante. Puó significare soltanto comprensione e tolleranza (con la scusa che si tratta di «episodi collaterali di una guerra sbagliata») per pratiche che ogni coscienza civile non puó accettare, nè giustificare. Mai. Non respingerle sdegnosamente è un atteggiamento razzista al contrario, quindi altrettanto colpevole.
Certo, qualcuno dirà che non possono essere simmetriche le responsabilità per gli abusi compiuti dai soldati della più grande democrazia del mondo, e quelle per le torture inflitte ai loro fratelli da iracheni che non sanno neppure che cosa siano la democrazia e i diritti umani, essendo cresciuti sotto uno dei regimi dittatoriali più feroci. Ma la verità è un’altra. Gli Usa hanno scoperto e denunciato le colpe di Abu Ghraib, e i loro soldati verranno puniti. Il silenzio sulla scoperta dei marines rasenta l’omertà ed è doppiamente colpevole: nei confronti dell’Iraq e di quei Paesi arabi, anche moderati, che continuano a tollerare il ricorso alla tortura, ritenendola necessaria pratica coercitiva, e magari giustificandola con la lotta al terrorismo internazionale. Eppure tutti sanno che non esistono torture veniali e torture mostruose, ma soltanto torture. Come non esistono dittatori buoni e dittatori cattivi, ma soltanto dittatori.
Antonio Ferrari
20 giugno 2005
La tortura che non fa notizia
Trovata a Karabila una «clinica della morte», centro di tortura della guerriglia sunnita. Ce n'erano una ventina anche a Falluja
Impegnati in una battaglia casa per casa, per distruggere le basi degli insorti nei villaggi iracheni non lontani dal poroso confine con la Siria, i marines hanno scoperto, in un edificio di Karabila, una «clinica della morte», attrezzato centro di tortura della guerriglia sunnita. Ne avevano trovati una ventina anche a Falluja, nel cuore del famoso triangolo. Ma quelli erano «freddi», abbandonati e ripuliti frettolosamente dai ribelli. Quest’ultimo laboratorio di violenza e sevizie per intimidire la popolazione era invece ancora «caldo», perchè non c’era stato il tempo di nascondere gli strumenti della sofferenza, e di far sparire (o eliminare) le vittime delle torture.
Oltre a cavi elettrici, manette, cappi per simulare o eseguire impiccagioni, i soldati americani hanno trovato infatti quattro prigionieri ancora in vita: preziosi testimoni che, forse per la prima volta, stanno rivelando gli inconfessabili segreti della resistenza più violenta, senza tacere particolari agghiaccianti. Sono ragazzi colpevoli di aver accettato l’«infamia» di un posto di lavoro nella nuova polizia irachena, magari per poter sfamare la famiglia, e quindi ritenuti complici del nemico; che avevano semplicemente rifiutato di trasformarsi in kamikaze; oppure che non accettavano di praticare l’odioso ricatto del sequestro di persona, come imponevano le istruzioni di un volumetto (edizione 2005) ritrovato nel carcere camuffato da deposito, con i vetri delle finestre anneriti: «Come scegliere i migliori ostaggi».
A parte un accurato reportage del New York Times, la scoperta della camera di tortura, nel villaggio di Karabila, si è diluita nella generale indifferenza. Come se fosse scarsamente rilevante, anche da parte di coloro che erano e sono rimasti contrari alla guerra all’Iraq, il ricorso a pratiche odiose e inaccettabili da parte di iracheni contro i loro fratelli. Il mondo era inorridito quando si alzó il sipario sulle torture e sugli abusi che alcuni soldati americani avevano inflitto agli iracheni, arrestati dopo la guerra e rinchiusi nella prigione di Abu Ghraib, che fu teatro delle orrende pratiche e delle brutali vendette che Saddam Hussein riservava ai suoi nemici. Proprio quel carcere iracheno, nel quale venivano massacrati gli oppositori del regime, scelto come simbolo di una dittatura insopportabile e da abbattere, era insomma diventato teatro di un altro crimine: con i nuovi detenuti umiliati nel corpo, nella dignità e nell’onore, e trasformati in volgare documentazione pornografica.
La coscienza del mondo era insorta, chiedendo giustamente un’esemplare punizione per i militari americani responsabili dello scempio. Oggi, per contro, il silenzio che accompagna la scoperta di altre torture e di altre vittime è grave e assordante. Puó significare soltanto comprensione e tolleranza (con la scusa che si tratta di «episodi collaterali di una guerra sbagliata») per pratiche che ogni coscienza civile non puó accettare, nè giustificare. Mai. Non respingerle sdegnosamente è un atteggiamento razzista al contrario, quindi altrettanto colpevole.
Certo, qualcuno dirà che non possono essere simmetriche le responsabilità per gli abusi compiuti dai soldati della più grande democrazia del mondo, e quelle per le torture inflitte ai loro fratelli da iracheni che non sanno neppure che cosa siano la democrazia e i diritti umani, essendo cresciuti sotto uno dei regimi dittatoriali più feroci. Ma la verità è un’altra. Gli Usa hanno scoperto e denunciato le colpe di Abu Ghraib, e i loro soldati verranno puniti. Il silenzio sulla scoperta dei marines rasenta l’omertà ed è doppiamente colpevole: nei confronti dell’Iraq e di quei Paesi arabi, anche moderati, che continuano a tollerare il ricorso alla tortura, ritenendola necessaria pratica coercitiva, e magari giustificandola con la lotta al terrorismo internazionale. Eppure tutti sanno che non esistono torture veniali e torture mostruose, ma soltanto torture. Come non esistono dittatori buoni e dittatori cattivi, ma soltanto dittatori.
Antonio Ferrari
20 giugno 2005
You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
THE MOSCOW TIMES, Russia
http://www.themoscowtimes.com
Washington deve lasciare le basi in Asia centrale
I governi di Russia, Cina e dei paesi dell'Asia centrale
hanno chiesto agli Stati Uniti di fissare una data per il
ritiro delle truppe americane dalle basi militari in
Kirghizistan e in Uzbekistan, occupate dopo gli attentati
dell'11 settembre 2001 in vista dell'intervento armato in
Afghanistan. Finora Washington non ha mostrato alcuna
intenzione di lasciare le basi.
http://www.themoscowtimes.com
Washington deve lasciare le basi in Asia centrale
I governi di Russia, Cina e dei paesi dell'Asia centrale
hanno chiesto agli Stati Uniti di fissare una data per il
ritiro delle truppe americane dalle basi militari in
Kirghizistan e in Uzbekistan, occupate dopo gli attentati
dell'11 settembre 2001 in vista dell'intervento armato in
Afghanistan. Finora Washington non ha mostrato alcuna
intenzione di lasciare le basi.
You are what you is (Frank Zappa)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)
"Cosa c'entra il Papa con l'apertura dell'anno accademico? E' come se a un concistoro si decidesse di invitare Belladonna" (Sacre Scuole)
"Che ci posso fare? Le banalità non mi emozionano" (Breglia)