Scenzato
«MEDICI» IMPUNITI DEI LAGER
Il virologo Haagen torturava le cavie umane in Alsazia Nel mirino della Resistenza, sfuggì ai partigiani Scarcerato già nel 1955, tornò agli studi e morì libero
L'immensa letteratura sul tema dei campi di concentramento e sterminio rende estremamente difficile individuare filoni di ricerca nuovi o quanto meno poco conosciuti. In questo spazio che con il moltiplicarsi delle pubblicazioni si fa sempre più ridotto, si inserisce brillantemente l'ultima fatica dello storico Frediano Sessi, uno tra i massimi studiosi e conoscitori della macchina costruita dal nazismo per gestire su scala industriale la detenzione, lo sfruttamento e l'annientamento di «razze inferiori» e oppositori politici (Mano nera. Esperimenti medici e resistenza nei lager nazisti, Marsilio, 255 pagine, 17 euro).
Le vicende rievocate da questo appassionante saggio in cui le parti più rigorosamente scientifiche si intersecano con passaggi in stile narrativo, scorre su due binari che per un breve tratto finiranno per incrociarsi e si svolge in Alsazia. Annessa alla Germania dopo la sconfitta della Francia e sottoposta a un violento processo di tedeschizzazione forzata nel quadro dell'ennesimo cambio di frontiera toccato a quella regione mistilingue, secolare oggetto di contese insieme alla Lorena, l'Alsazia vide già dal 13 luglio 1940 l'applicazione delle leggi razziali tedesche e, di lì a poco, la nascita di un campo di rieducazione e lavoro coatto a Schirmeck e, nel 1942, di un vero e proprio Konzentrationslager a Natzweiler-Struthof. In queste strutture si troverà ad operare un eccellente virologo, a detta di molti il miglior ricercatore tedesco del settore, Eugen Niels Haagen. Nazista della prima ora per fede ma anche per la netta percezione di quanto la politica avrebbe potuto dare uno straordinario impulso alla sua carriera, Haagen, giunto nel 1941 ai vertici dell'Istituto di igiene e batteriologia di Strasburgo, supera senza troppe remore la soglia tra il bene e il male e, in spregio alle più elementari regole etiche, convinto di «lavorare per il bene dell'umanità», fa dei due lager alsaziani un'estensione del proprio laboratorio, il luogo dove sviluppare le sue ricerche sul tifo, la febbre gialla e altre patologie potendo contare su cavie umane; come il famigerato Mengele ad Auschwitz o, per restare in Alsazia, come il suo collega Hirt, attivo a Struthof, che nell'estate del 1943 aveva ricevuto in «dono» da Eichmann 86 ebrei, uomini e donne, gasati ad agosto per poi studiarne i corpi.
Nel periodo in cui i ragazzi della Mano nera saranno detenuti a Schirmeck il loro destino si incrocia con quello di Haagen. I giovani patrioti non rinunciano infatti alla loro determinazione di resistere sempre e comunque facendo sentire il grido di libertà della loro terra contro i nazisti, e venuti a conoscenza degli esperimenti condotti nel lager dal virologo, organizzano nei minimi dettagli un attentato da cui Haagen si salverà solo perché il giorno stabilito coinciderà con quello del suo definitivo trasferimento al campo di Struthof.
Non sarà quella la sola fortuna capitata al virologo che era convinto di essere un benefattore dell'umanità ma che quando appariva ai prigionieri evocava un solo agghiacciante commento: «l'assassino è di nuovo qui». Aggrappandosi a incredibili cavilli che gli consentirono di ridare credito alla sua figura di scienziato in buona fede, dopo vari processi e pochi anni di detenzione, Haagen tornò libero nel 1955 e dall'anno seguente riprese il lavoro presso il Centro federale di ricerca sulle malattie virali degli animali, a Tübingen. Morirà nel 1972, a 74 anni, impegnato a scrivere il secondo volume del suo manuale di virologia.
I compagni di Weinum, dopo il periodo trascorso nel lager, furono costretti a servire il Reich come lavoratori coatti o come soldati della Wehrmacht ma non tradirono mai i loro ideali continuando da soli, per quanto possibile, a contrastare il nazismo facendo resistenza passiva o sabotando. La storia però non è stata generosa con questi ragazzi che avevano dato vita a una delle prime organizzazioni clandestine per la lotta contro il nazismo e che al contrario, assorbiti dal cono d'ombra che ha oscurato in quegli anni un'Alsazia dove il confine tra annessione e collaborazione era estremamente labile, hanno finito per essere a lungo dimenticati.
Come osserva l'autore, queste vicende pongono di fronte a due modelli di moralità, quello di Haagen, un uomo che «considerandosi uno scienziato al servizio dell'u- manità intera, coglie nella guerra l'opportunità di servire insieme la Germania nazista e la scienza, senza badare al fatto che sacrificherà esseri umani sull'altare della sua carriera» e senza nemmeno considerare che «invece di essere il fine delle sue ricerche virologiche l'uomo ne diventa un mezzo d'eccellenza, come lo erano già gli animali da esperimento». L'altro modello è quello di un gruppo di adolescenti in calzoni corti «non ancora maggiorenni, che decide di lottare, a costo della vita, per restituire la libertà alla propria terra e, soprattutto, per non perdere la propria umanità e dignità».
Pensare che ancora oggi ci sia chi divide l'umanità in superiori e inferiori celando spesso l'oscena essenza del proprio pensiero dietro a eufemismi e acrobazie semantiche rende l'alternativa tra questi due modelli di straordinaria attualità. Ricordare come ineludibile imperativo categorico quegli eventi e il marchio di infamia che il nazismo ha lasciato sull'anima della nostra civiltà è l'unico modo per riconoscere e combattere i tanti dottor Haagen che si aggirano sotto insospettabili sembianze nella plastificata modernità del terzo millennio.
