Mazzola disse che gli tremavano le gamba davanti a Di Stefano, che aveva sempre considerato un mito irraggiungibile
"E’ stato il più grande di tutti, anche di Pelé e Maradona: il numero uno dei numeri uno. Perché era il più completo, il vero, unico calciatore universale". "Per me è stato più che un mito, più che una leggenda. Di Stefano è stato il Calcio, perché sapeva fare tutto. Intercettare la manovra avversaria e perciò difendere; impostare l’azione partendo dalla sua metà campo; rifinirla per i compagni; andare egli stesso a segno. E poi dribbling, velocità, visione di gioco, scelta di tempo, precisione e forza nel tiro, personalità, orgoglio... ma queste ultime sono qualità comuni a tanti campionissimi. Certamente le aveva Maradona, certamente le avevano Pelé e Cruijff... Però nessuno di questi monumenti del pallone è accostabile a don Alfredo per la capacità di interpretare tutte le parti della commedia, tutti i ruoli del gioco al massimo livello". "Usciti dallo spogliatoio del Prater ci ritrovammo affiancati ai nostri avversari e io andai con lo sguardo a caccia di Di Stefano, il mio idolo. Avevo preso ad ammirarlo davanti alla tv. All’epoca la Rai trasmetteva il calcio estero raramente, direi mai, eccezion fatta per la finale di Coppa Campioni. Quella la davano e io e mio fratello non ce n’eravamo persa nessuna di quel favoloso Real. Dunque cerco con lo sguardo Di Stefano e quando lo inquadro mi sembra enorme, alto due metri... per me era come aver incontrato Dio. Come faremo a giocarci contro? E mi blocco, non vado più avanti... Se ne accorge Suarez che viene vicino e mi dice una cosa tipo: “Noi stiamo uscendo per la finale, vieni anche tu o poi ti porto l’autografo di Alfredo?".
“Ne ricorderò una legata a quella famosa finale col Real, visto che siamo in tema. Puskas alla fine della partita mi si avvicinò lentamente, quasi con deferenza. Io rimasi allibito che puntasse proprio me. Quando mi fu di fronte, mi disse che era stato un onore potere giocare con mio padre e mi regalò la sua maglia. Mi tremarono le gambe. Se ci penso mi viene la pelle d’oca ancora oggi”.
“I felt that everything from my chest down was completely gone, I waited to die, I threw my hand back and felt my legs still there, I couldn’t feel them but they were still there, I was still alive and for some reason I started believing I might not die, I might make it out of there and live and feel and go back home again, I could hardly breathe and I was taking short little sucks with the one lung that I still had left, the blood was rolling off my flak jacket, from the hole in my shoulder and I couldn’t feel the pain in my foot anymore, I couldn’t even feel my body, I was frightened to death, I didn’t think about praying, all I could feel was cheated, all I could feel was the worthlessness of dying right here in this place at this moment for nothing.” (Ron Kovic)
Effettivamente le sue opere mi sembrano claustrofobiche, seppure dall'esterno abbiano un certo fascino. Sembra sia stato influenzato da Escher con le sue scale infinite.
Mazzola disse che gli tremavano le gamba davanti a Di Stefano, che aveva sempre considerato un mito irraggiungibile
"E’ stato il più grande di tutti, anche di Pelé e Maradona: il numero uno dei numeri uno. Perché era il più completo, il vero, unico calciatore universale". "Per me è stato più che un mito, più che una leggenda. Di Stefano è stato il Calcio, perché sapeva fare tutto. Intercettare la manovra avversaria e perciò difendere; impostare l’azione partendo dalla sua metà campo; rifinirla per i compagni; andare egli stesso a segno. E poi dribbling, velocità, visione di gioco, scelta di tempo, precisione e forza nel tiro, personalità, orgoglio... ma queste ultime sono qualità comuni a tanti campionissimi. Certamente le aveva Maradona, certamente le avevano Pelé e Cruijff... Però nessuno di questi monumenti del pallone è accostabile a don Alfredo per la capacità di interpretare tutte le parti della commedia, tutti i ruoli del gioco al massimo livello". "Usciti dallo spogliatoio del Prater ci ritrovammo affiancati ai nostri avversari e io andai con lo sguardo a caccia di Di Stefano, il mio idolo. Avevo preso ad ammirarlo davanti alla tv. All’epoca la Rai trasmetteva il calcio estero raramente, direi mai, eccezion fatta per la finale di Coppa Campioni. Quella la davano e io e mio fratello non ce n’eravamo persa nessuna di quel favoloso Real. Dunque cerco con lo sguardo Di Stefano e quando lo inquadro mi sembra enorme, alto due metri... per me era come aver incontrato Dio. Come faremo a giocarci contro? E mi blocco, non vado più avanti... Se ne accorge Suarez che viene vicino e mi dice una cosa tipo: “Noi stiamo uscendo per la finale, vieni anche tu o poi ti porto l’autografo di Alfredo?".
“Ne ricorderò una legata a quella famosa finale col Real, visto che siamo in tema. Puskas alla fine della partita mi si avvicinò lentamente, quasi con deferenza. Io rimasi allibito che puntasse proprio me. Quando mi fu di fronte, mi disse che era stato un onore potere giocare con mio padre e mi regalò la sua maglia. Mi tremarono le gambe. Se ci penso mi viene la pelle d’oca ancora oggi”.
che bella citazione, è per questo che il calcio in rari momenti riesce a evocare un' aurea leggendaria
I funerali spesso sono occasioni mondane la gente ci va per vedere chi c’è e farsi vedere.
Tranne quando il morto e’ giovane allora la tragedia e’ palpabile.
Altrimenti sono una specie di rimpatriata.
Oggi stavo con altri due intorno al cadavere di un anzianissimo signore.Ad un certo punto mi sono accorto che gli altri due a pochi centimetri dal morto hanno cominciato a parlare di lavoro, si sono allungati i biglietti da visita passandoseli sopra il cadavere, ed e’ partita una descrizione delle proprie esperienze lavorative da film di Verdone.Uno , ingegneretto informatico, figlio del morto, ogni due parole, diceva “ primario gruppo “ ed “ altissimo livello”. L’altro , quasi nullafacente, ha detto con grande nonchalance che il suo ultimo lavoro e’ stato realizzare l’ufficio senza carta per la sede della Apple alla Silicon Valley.
Alla mia veglia funebre voglio solo gente affranta o per controbilanciare pago anticipatamente quelle mestieranti che piangono per finta.
lo ricordo per i film con villaggio banfi etc ma sopratutto per il ruolo del colonello aguzzo in "vogliamo i colonelli" di monicelli. con un tognazzi a 1000.
capolavoro di film