Paperinik ha scritto:Domanda da un milione di euri...
...ma esistono le fighe simpatiche?
Per simpatia non intendo sbolognarla subito al primo che si para davanti (eccheccazzo, questa non è simpatia, è ninfomania

), ma il fatto di parlarci bene, che di prima impressione magari non se la tira e non si monta la testa, non come quelle che se non sei tamarro da capo a piedi ti squadrano e ti guardano male, e magari sono accompagnati da uno che sembra una specie di er monnezza...
Un sabato di qualche mese fà eri lì piuttosto tranquillo a finire di servire un cliente, lo congedo e mi sento chiamare con un "Scusa"..mi giro e mi trovo davanti una fica che non troverei parole a descriverla, sia per gnoccosità che per abbigliamento..anzi azzardo che era una biondina sui 25 e più anni, fisico atletico, minigonna, calze a rete come porta da calcio e tacchi a spillo neri...mi chiede con un bel sorriso smagliante informazioni sulle schede di memoria per fotocamere...ero lì per andarle dietro anche se di schede di memoria non ne capivo una sega...
Oppure sempre un sabato che tornavo in reparto dal magazzino, mi blocca una fica come ne ho viste poche, l'esatto opposto di quella che ho descritto prima, mora color inchiostro, manza, mediterranea, occhi verdi, un pornosogno, mi chiede cordialmente e con un sorriso se avevamo i fornetti per le pizze..non ce l'avevamo..sigh...
O quella che mi blocca qualche giorno fà mentre stavo per andare via, a chiedermi roba di computer...oh se mi chiedeva roba del mio reparto io ci andavo

quella lì non è figa ma è simpatica, una frase detta e sentita migliaia di volte. è letteratura? non è letteratura? e se sì come e perchè? secondo alcuni è la mediazione formale, le capriole dello stile, che prelevando dal quotidiano un qualsiasi elemento dell'esperienza o del linguaggio, sono in grado di trasmutarlo purissima materia letteraria. dico subito: a me questa idea mi è sempre parsa non solo stronza, ma anche pericolosa - come tutti gli stronzi, per altro, che sono pericolosissimi. e continuando a parlare per me, se questa frase non fosse un dichiarato correlativo oggettivo (della prosaicità dell'esperienza, appunto) penso che sarei più interessato a conoscere questa ragazza molto simpatica ma non figa, che non a leggerne. peró nemmeno sarei molto interessato a leggere l'universale esperienza contenuta nel diario biologico da una sauna; se non fosse, come nell'ultimo magrelli, l'occasione per una ricognizione psicologico-esistenziale nel proprio "condominio di carne". come lettore ho quindi bisogno di quel tanto di universalità , o perlomeno di condivisione empatica, per riconoscere nella descrizione di un fatto o di un esperienza il presupposto letterario che mi avvince. il presupposto, dico, non la letteratura. che infatti continua a sfuggire a queste trappoline.
dunque, come in medicina, per comodità chiamiamo letteratura un corollario di sintomi, di cui non conosciamo la causa. già , perchè come tu scrivi la letteratura è tutto quanto e si occupa, giustamente, di tutto quanto - che non è il Tutto metafisico, voglio chiarire. ci sono peró alcune forme di esperienza del tutto quanto - il dolore, il sudore, la cacca - che sono universali; altre che riguardano molti - lo sbrego nel golf, una sega, una scopata -; altre ancora pochi - i kraftewerk, l'lsd, l'uccisione di un canarino con un colpo di fucile. una scarsissima relazione con l'esperienza generale, non sembra essere molto congeniale alla letteratura. ho chiesto a mia madre se voleva leggere un libro sui kraftewerk, e non lo voleva. ma forse se il libro avesse trattato del sentimento di esclusione e frustrazione provato dai kraftewerk negli anni di oblio seguiti al successo degli anni '80, a mia madre sarebbe interessato, ci avrebbe scorto un elemento di universalità nella decadenza, in cui si sarebbe riconosciuta. ecco, questa cosa del "riconoscimento" ritorna in continuazione. in fondo, scrivere è prendere la parola pubblicamente, convinti che ció che si ha da dire abbia un qualche valore pubblico, cioè generale, cioè riconoscibile.
peró il letterario nemmeno sembra sorgere, semplicemente, dal grado di approssimazione maggiore o minore alla riconoscibilità di una esperienza generale; anche se non è esente da un certo grado di identificazione con ció che accomuna, non divide (ad esempio "la divisione come errore emotivo", è un soggetto letterario molto frequentato). se esiste così una specie di mappa di pertinenze avvertita d'istinto da lettori e scrittori, deve essere certamente una mappa cifrata, qualcosa che misteriosamente attira a sè come un campo gravitazionale; ció che nel linguaggio della scienza della complessità verrebbe chiamato un "attrattore strano". ma un attrattore strano è il mistero scientifico più inquietante e radioso. sappiamo che le cose, quando arrivano a una soglia di confusione, misteriosamente si adunano attorno a una forma nuova e autogenerata. ma qui siamo molto oltre la teoria letteraria: è fisica e metafisica assieme, inafferrabile e purissima. fossi allora stato uno scrittore e mi avessero invitato a quella discussione su letteratura e dolore, non ci sarei andato. non conosco il nome di dio e i suoi giochetti. o se, per vanità , ci fossi andato, avrei semplicemente detto: io so che la letteratura ha un rapporto "speciale" con il dolore, il dolore è un attrattore invincibile per la letteratura, lo so ma non posso spiegarvi il perchè, come pasolini sapeva i nomi di chi ha fatto le stragi ma non li poteva dire...
poi, a questo punto, me ne sarei forse andato anch'io insieme a moresco. ma a cercare una amica della vostra amica simpatica ma non figa, che fosse anche figa. e sempre di attrattori strani stiamo parlando: cioè della vita.