Vero.Ortheus ha scritto:E comunque il dramma e' che più o meno tutti abbiamo una Cecilia nel nostro passato.
La tragedia e' che qualcuno di Noi poi se l'e' pure sposata...
E le Cecilie cambiano , oh se cambiano, da sposate...
La mia Cecilia si chiamava, in puro stile Leopardiano, Silvia.
Essa trafisse il mio cuore all'epoca della quarta liceo.
Me ne innamorai perdutamente. Mi innamorai del suo viso dolce, dei capelli castani, degli occhioni nocciola, del suo viso costellato di efelidi (così rare, a queste latitudini africane).
Incarnava la dolcezza, per me, ma purtroppo scoprii ben presto trattarsi di ragazza perfida e ingannevole.
Le scrivevo lettere, le dichiarai apertamente il mio folle amore, non riuscivo più a vivere, cominciai pure a prendere voti bassi.
Il fatto che, durante l'autogestione di novembre, in quella cazzo di palestra dello scientifico, decidesse di pomiciarsi il figo della scuola davanti a me, ai miei occhi parve un mirabile esempio di onestà inellettuale.
Si dichiarava problematica, era in realtà solo zoccola.
Passò del tempo, superai quel tormento, grazie a Paola, bruttina intellettualoide follemente innamorata delle cagate intellettualoidi che sparavo ad ogni piè sospinto.
Come è finita?
Alla fine del liceo ci perdemmo di vista, lei persa in un vortice di esperienze bohemienne che la portarono a studiare a Lecce.
Una sera, avevo vent'anni o poco più, la incontrai in un locale dalle parti nostre. Diciamo che era una sorta di capannone industriale rivisitato, c'era un rock contest e con la mia band dell'epoca partecipammo (sì, sono stato un chitarrista).
Lei era sempre molto bella, ma abbastanza provata dalla vita disordinata che conduceva a Lecce. Da sempre incline ad alcool e droghe varie, quella sera, sceso dal palco, mi si stagliò davanti bella ma brilla.
La salutai con distacco, avevo altri obiettivi per la serata, ma non posso negare che il rivederla mi provocò un tuffo al cuore.
Mi disse che aveva bisogno di parlarmi. Posai la mia stratocaster, mi prese per mano e mi trascinò al bagno delle ragazze.
Mi spinse al muro, mi abbracciò, mi chiese scusa. Mi confessò che pensava a me come all'opportunità di avere qualcosa di bello, di pulito, nella sua vita, e che soffriva all'idea di aver rovinato tutto e di avermi fatto star male, perchè lo sapeva che ci ero stato davvero male.
Le mancavano i pomeriggi con me, a girare sul vespino e a dire stupidaggini. Iniziò a piangere, ci baciammo. Le ragazze entravano in bagno, e assistevano interdette alla scena di un tipo alto e smilzo, travestito da chitarrista alternativo, baciare una ragazza in lacrime.
Durò molto, quell'attimo, perfetto, bellissimo. Lo ricordo ancora. Io ero calmo e freddo, ma quanti ricordi, quanta soddisfazione in quel bacio. Nel film della mia vita appartiene a quelle quattro, forse cinque scene degne di nota.
Finì così, non poteva che finire così. Si riprese, disse che doveva tornare dentro, il suo ragazzo la stava aspettando. Ci scambiammo il numero, mi disse di richiamarla.
Tornai a casa tardi, ma non dormii, ero turbato. Non da lei, ma dal fatto che avessi mantenuto la calma. Ero diventato grande, non l'avrei più richiamata.
Lei non mi ha più richiamato, probabilmente la mattina dopo aveva dimenticato tutto.
Era fatta così, Silvia.