[O.T.] The next U.S.A. President

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Come si schiera il popolo zetiano?

Barack Obama
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kisho
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1756 Messaggio da kisho »

oddio!
per un attimo avevo pensato che fosse italiano...
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Este ... cita.shtml
Scrisser per ogni muro e in ogni via
Come l'Angela Zaffa, nel Trent'uno
A i sei d'Aprile, habbia sfamato ognuno.

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Drogato_ di_porno
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1757 Messaggio da Drogato_ di_porno »

L’uccisione di Bin Laden fa volare la popolarità di Obama

Il presidente degli Stati Uniti ha pronunciato il discorso che ogni politico americano avrebbe voluto fare. La morte del leader del terrore è un tassello fondamentale in vista delle elezioni presidenziali del 2012E’ stato il discorso che il suo predecessore, George W. Bush, ha sperato per sette anni di pronunciare. E’ stato il discorso che ogni politico americano avrebbe voluto un giorno pronunciare. E’ stato il discorso con cui Barack Obama ha cercato di equilibrare orgoglio e prudenza, rivendicazione di essere un buon commander-in-chief e necessità di superare i vecchi schemi della guerra al terrore. “Oggi, sotto la mia direzione – ha detto Obama, annunciando l’uccisione di Osama bin Laden – gli Stati Uniti hanno lanciato un’operazione mirata contro il rifugio di Abbottabad, Pakistan. La morte di bin Laden segna il risultato più alto sino a ora nell’impegno della nostra nazione per sconfiggere Al Qaeda”.

Oltre ai dettagli strategici, militari, diplomatici dell’operazione, si allunga comunque sin da ora una questione che riguarda in parte proprio Obama: quanto e come l’uccisione di bin Laden influenzerà il panorama politico americano, soprattutto in vista delle presidenziali 2012? Una prima risposta – forse la più ragionevole – potrebbe essere questa: è troppo presto per dirlo. La campagna elettorale vera e propria, con la stagione delle primarie, inizia infatti il prossimo gennaio. Lo sfidante repubblicano emergerà nella primavera 2012. Prima di allora, possono succedere molte cose. Favorevoli, o meno, all’attuale presidente.

Alcune considerazioni è comunque già possibile farle. Le folle che a Ground Zero, davanti alla Casa Bianca e in giro per tutta America hanno passato la notte a festeggiare, sono sicuramente un buon segno per Obama. Non a caso queste migliaia di persone, insieme ai cori “Usa, Usa”, scandivano anche slogan come “Obama, Obama”, che a molti hanno ricordato quelli che il 5 novembre di due anni fa accolsero a Chicago l’elezione dell’allora candidato democratico. E’ anzi probabile che nelle prossime ore i sondaggi che misurano “l’umore” degli Stati Uniti – quelli che chiedono agli americani se il Paese è sul “wrong/right track”, sul binario giusto o sbagliato – registrino un’impennata a favore di Obama (dopo mesi piuttosto “tristi”, segnati dalle difficoltà economiche, dall’occupazione stagnante, dal rialzo del prezzo della benzina).

E’ poi certo che, nei prossimi mesi, Barack Obama ricorderà continuamente agli americani di essere stato il presidente che ha firmato l’ordine di eliminazione per Osama bin Laden. Le credenziali di Obama, come commander-in-chief, sono sempre state piuttosto deboli. Il punto più basso arrivò la scorsa estate, quando il generale Stanley McCrystal, capo delle operazioni militari in Afghanistan, ridicolizzò in un’intervista a “Rolling Stone” le credenziali militari del presidente e di tutta la sua amministrazione. Gli stessi democratici non hanno mai dimostrato di tenere in grande considerazione le virtù strategiche del loro uomo alla Casa Bianca. Nel 2007, in piena campagna elettorale, Obama venne accusato da Hillary Clinton e Joe Biden (allora suoi avversari) di essere “un ingenuo” per aver proposto di bombardare il Pakistan per eliminare bin Laden (un’idea che appare particolarmente profetica alla luce degli avvenimenti di queste ore).

L’uccisione del leader di Al Qaeda cambia tutto. Mette in secondo piano i risultati altalenanti dell’attuale amministrazione in altre aree: Libia, Medio Oriente, guerra in Afghanistan. Costringe gli stessi repubblicani a fare atto di omaggio nei confronti di Obama. Dopo l’annuncio del blitz contro bin Laden, Tim Pawlenty e Mitt Romney, probabili candidati repubblicani alla presidenza, hanno postato sui loro siti messaggi di congratulazioni “ai servizi di intelligence, all’esercito e al presidente” (molto meno generosa si è dimostrata Sarah Palin, che in post su Twitter e Facebook si è congratulata con “gli uomini in uniforme e con gli americani per la battaglia contro il terrorismo”).

Se questi sono gli elementi che lasciano ben sperare Obama e i suoi, ce ne sono altri che consigliano prudenza. Le presidenziali sono, appunto, ancora lontane: 6 novembre 2012. George H. W. Bush raggiunse alti picchi di popolarità dopo la guerra del Golfo, nel 1991, ma perse le elezioni l’anno dopo a causa dei cattivi risultati economici. C’è poi l’imponderabile. Osama bin Laden è stato ucciso, ma una ripresa di atti terroristi, anche isolati, è sempre possibile. Per questo Obama, nel suo discorso, ha messo le mani avanti: “Non c’è dubbio che Al Qaeda continuerà nei suoi attacchi… La messa in sicurezza del nostro Paese non è conclusa”.
“E' vero che in Russia i bambini mangiavano i comunisti?"
"Magari è il contrario, no?"
"Ecco, mi sembrava strano che c'avessero dei bambini così feroci.”

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dostum
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1758 Messaggio da dostum »

Drogato_ di_porno ha scritto:L’uccisione di Bin Laden fa volare la popolarità di Obama

Il presidente degli Stati Uniti ha pronunciato il discorso che ogni politico americano avrebbe voluto fare. La morte del leader del terrore è un tassello fondamentale in vista delle elezioni presidenziali del 2012E’ stato il discorso che il suo predecessore, George W. Bush, ha sperato per sette anni di pronunciare. E’ stato il discorso che ogni politico americano avrebbe voluto un giorno pronunciare. E’ stato il discorso con cui Barack Obama ha cercato di equilibrare orgoglio e prudenza, rivendicazione di essere un buon commander-in-chief e necessità di superare i vecchi schemi della guerra al terrore. “Oggi, sotto la mia direzione – ha detto Obama, annunciando l’uccisione di Osama bin Laden – gli Stati Uniti hanno lanciato un’operazione mirata contro il rifugio di Abbottabad, Pakistan. La morte di bin Laden segna il risultato più alto sino a ora nell’impegno della nostra nazione per sconfiggere Al Qaeda”.

Oltre ai dettagli strategici, militari, diplomatici dell’operazione, si allunga comunque sin da ora una questione che riguarda in parte proprio Obama: quanto e come l’uccisione di bin Laden influenzerà il panorama politico americano, soprattutto in vista delle presidenziali 2012? Una prima risposta – forse la più ragionevole – potrebbe essere questa: è troppo presto per dirlo. La campagna elettorale vera e propria, con la stagione delle primarie, inizia infatti il prossimo gennaio. Lo sfidante repubblicano emergerà nella primavera 2012. Prima di allora, possono succedere molte cose. Favorevoli, o meno, all’attuale presidente.

Alcune considerazioni è comunque già possibile farle. Le folle che a Ground Zero, davanti alla Casa Bianca e in giro per tutta America hanno passato la notte a festeggiare, sono sicuramente un buon segno per Obama. Non a caso queste migliaia di persone, insieme ai cori “Usa, Usa”, scandivano anche slogan come “Obama, Obama”, che a molti hanno ricordato quelli che il 5 novembre di due anni fa accolsero a Chicago l’elezione dell’allora candidato democratico. E’ anzi probabile che nelle prossime ore i sondaggi che misurano “l’umore” degli Stati Uniti – quelli che chiedono agli americani se il Paese è sul “wrong/right track”, sul binario giusto o sbagliato – registrino un’impennata a favore di Obama (dopo mesi piuttosto “tristi”, segnati dalle difficoltà economiche, dall’occupazione stagnante, dal rialzo del prezzo della benzina).

E’ poi certo che, nei prossimi mesi, Barack Obama ricorderà continuamente agli americani di essere stato il presidente che ha firmato l’ordine di eliminazione per Osama bin Laden. Le credenziali di Obama, come commander-in-chief, sono sempre state piuttosto deboli. Il punto più basso arrivò la scorsa estate, quando il generale Stanley McCrystal, capo delle operazioni militari in Afghanistan, ridicolizzò in un’intervista a “Rolling Stone” le credenziali militari del presidente e di tutta la sua amministrazione. Gli stessi democratici non hanno mai dimostrato di tenere in grande considerazione le virtù strategiche del loro uomo alla Casa Bianca. Nel 2007, in piena campagna elettorale, Obama venne accusato da Hillary Clinton e Joe Biden (allora suoi avversari) di essere “un ingenuo” per aver proposto di bombardare il Pakistan per eliminare bin Laden (un’idea che appare particolarmente profetica alla luce degli avvenimenti di queste ore).

L’uccisione del leader di Al Qaeda cambia tutto. Mette in secondo piano i risultati altalenanti dell’attuale amministrazione in altre aree: Libia, Medio Oriente, guerra in Afghanistan. Costringe gli stessi repubblicani a fare atto di omaggio nei confronti di Obama. Dopo l’annuncio del blitz contro bin Laden, Tim Pawlenty e Mitt Romney, probabili candidati repubblicani alla presidenza, hanno postato sui loro siti messaggi di congratulazioni “ai servizi di intelligence, all’esercito e al presidente” (molto meno generosa si è dimostrata Sarah Palin, che in post su Twitter e Facebook si è congratulata con “gli uomini in uniforme e con gli americani per la battaglia contro il terrorismo”).

Se questi sono gli elementi che lasciano ben sperare Obama e i suoi, ce ne sono altri che consigliano prudenza. Le presidenziali sono, appunto, ancora lontane: 6 novembre 2012. George H. W. Bush raggiunse alti picchi di popolarità dopo la guerra del Golfo, nel 1991, ma perse le elezioni l’anno dopo a causa dei cattivi risultati economici. C’è poi l’imponderabile. Osama bin Laden è stato ucciso, ma una ripresa di atti terroristi, anche isolati, è sempre possibile. Per questo Obama, nel suo discorso, ha messo le mani avanti: “Non c’è dubbio che Al Qaeda continuerà nei suoi attacchi… La messa in sicurezza del nostro Paese non è conclusa”.
OBBAMA è seduto su una montagna di crediti inesigibili quando andranno all'incasso.......
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1759 Messaggio da Dark Side »

Per il momento, si va avanti solo con carte d'identita' digitali e carte di credito personalizzate.

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dostum
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1760 Messaggio da dostum »

21/05/2011
GLI U.S.A. IN BANCAROTTA??


Chiaro che l’uccisione di Osama Bin Laden è un evento che cattura l’interesse generale di stampa e pubblico; chiaro che anche la situazione bollente in Medio Oriente viene seguita con tanta attenzione dai mass media e dalla gente; chiaro – e qui chiudo – che anche la vicenda di Strauss-Kahn e dello stupro – vero o inventato – della cameriera del Sofitel è un gran bel titolo e di conseguenza richiede un corollario di articoli proporzionati; ma a nessuno è venuto in mente che Il 16 maggio scorso si è verificata una situazione – per il momento solo virtuale – per la quale il Governo degli Stati Uniti ha toccato il tetto massimo del debito pubblico consentito dal Congresso e quindi gli U.S.A. sono virtualmente in bancarotta e pertanto, sempre in teoria, non sono in grado di pagare i propri debiti.

Al momento esiste un solo sistema per ripianare la situazione: il Congresso innalza il tetto massimo del debito pubblico e, di pari passo, il Governo attua una politica di bilancio in grado di ripianare in un tempo stabilito, una buona parte dei propri debiti.

Se questo non dovesse avvenire, i Buoni del Tesoro USA diventerebbero “junk bonds”, cioè carta straccia, come è avvenuto per quelli della Grecia.

L’unico Paese che ha inviato un monito abbastanza severo ai governanti americani è stata la Cina – maggior debitore del Tesoro USA – che ha invitato il governo americano a “tutelare gli interessi degli investitori”.

Se ci fate caso, siamo al paradosso che un regime comunista – sia pure edulcorato dal consumismo – dà lezioni di correttezza finanziaria alla patria dell’economia di mercato.
Ma torniamo al superamento del tetto del Debito pubblico americano: cosa ci possiamo aspettare in un prossimo futuro? È impensabile che si arrivi a dichiarare l’insolvenza del Governo e quindi “bisogna” che il Congresso alzi il tetto e consenta così un “provvisorio” maggiore indebitamento; del resto una simile situazione è già accaduta ai tempi della presidenza Reagan, ma i tempi erano diversi e la maggioranza in Parlamento era anch’essa diversa: comunque, un compromesso verrà trovato e tutto tornerà a funzionare regolarmente: però - secondo gli esperti – per risalire dall’abisso dei debiti occorrerà almeno un decennio, durante il quale il Paese dovrà fare molti sacrifici; chiaro il concetto??

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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1761 Messaggio da fredelux »

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Dal "The Washington Post" - L'effetto Osama Bin Laden si è esaurito e l'insoddisfazione per il modo in cui l'amministrazione Obama sta gestendo l'economia nazionale e il problema del deficit ha preso il sopravvento. Rilanciando la notizia del "Washington Post" il sito Usa aggregatore di notizie "Drudge Report" parla di "sondaggio shock".

E lo è, in effetti, visto che dopo decine di statistiche che hanno sempre dato il presidente americano nettamente in vantaggio per la riconferma alla Casa Bianca del 2012, gli ultimi dati registrano addirittura il sorpasso del candidato repubblicano Mitt Romney.

Aumento del prezzo della benzina, costi delle case, disoccupazione: tutto questo ha fatto crescere, tra gli americani, la preoccupazione circa il ritmo della ripresa economica. La sensazione diffusa è che gli Usa siano sulla strada sbagliata; 9 intervistati su 10 valutano negativamente la situazione economica; quasi 6 su dieci sostengono che la ripresa non sia ancora iniziata, nonostante le statistiche ufficiali dicano il contrario. Chi riconosce che una ripresa esiste, comunque, la definisce "debole".

Il sondaggio Washington Post-Abc dà Obama davanti solo a cinque dei suoi potenziali concorrenti del prossimo anno. Si profila un testa a testa con l'ex governatore del Massachusetts Romney, che ha annunciato formalmente la sua candidatura la scorsa settimana, mettendo lavoro ed economia al centro della propria campagna.

Prendendo tutti gli americani intervistati (senza distinguere tra i votanti registrati e non registrati) l'attuale Capo degli Stati Uniti sarebbe alla pari con il repubblicano, con il 47% dei consensi. Ma il dato sconvolgente è che prendendo solo il campione di elettori registrati (in America, per andare alle urne bisogna registrarsi) Romney sarebbe addirittura davanti a Obama, con il 49% dei consensi contro il 46 del presidente nero. Un successo dovuto soprattutto ai favori raccolti tra gli elettori indipendenti.

Deficit ed economia: quasi la metà delle persone sentite disapprovano l'operato di Obama in queste due materie cruciali. La campagna per la sua rielezione, insomma, si annuncia meno facile del previsto.


Anche se Romney non è ancora del tutto al sicuro da un potenziale recupero da parte di un altro candidato repubblicano, appare messo piuttosto bene. Cattive notizie, invece, per Sarah Palin, che con il suo tour in bus aveva riacceso le voci su una sua possibile corsa alla casa Bianca. Quasi due terzi degli americani affermano che non la voterebbero. Il 42% dei Repubblicani dice di aver escluso il sostegno alla sua candidatura. Mentre oltre sei americani su 10 dicono di non ritenere la Palin all'altezza.

Il sondaggio telefonico è stato condotto tra il 2 e il 5 giugno su un campione casuale nazionale di 1002 adulti. I risultati hanno un margine di errore di più o meno 3,5 punti percentuali.

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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1762 Messaggio da dostum »

Obbama il bancarottiere

nel 1934, la legge sulle riserve in oro, obbligò la Federal Reserve, il banco centrale USA a consegnare tutto il suo oro al Ministero del Tesoro, ottenendo in cambio certificati in oro, equivalenti al valore dell’oro consegnato a prezzo del 1934; tale valore è stato rivalutato negli anni successivi, ma attualmente è fermo dal 1973 a 42,22 dollari l’oncia.
A parte la possibilità per la FED di demandare il Tesoro, significa che il dollaro emesso dalla FED dal 1934 in poi non è mai stato supportato dall’oro. Ossia, il valore reale del dollaro è da considerarsi decisamente inferiore a quello che tutti credono proprio perchè non ha nessun supporto in oro.
Il dollaro negli ultimi quarant’anni è stato stampato in quantità enormemente superiore al supporto in oro che si credeva in possesso alla FED; adesso si scopre che la FED non possiede alcun oro, quindi il dollaro è supportatato da un bel niente! Conclusione: vale ancora meno di quanto si potesse immaginare.
In sostanza il dollaro, la moneta USA, nel 1944 era diventata la unica moneta utilizzata negli scambi internazionali in virtù del fatto che con gli accordi di Bretton Woods era diventata l’unica moneta convertibile in oro. Tutti i paesi del mondo per potere operare a livello internazionale si sono riempiti di dollari credendo che fosse supportato dall’oro. Il 15 agosto del 1971 gli USA decretano l’inconvertibilità dell’oro, però di fatto il dollaro non era mai stato convertibile dato che la Federal reserve non possedeva oro e non lo possiede físicamente dal 1934, come ha ammesso oggi!
Il dollaro anche dopo il 1971 continua ad essere usato come moneta internazionale grazie al fatto che il petrolio, il prodotto più importante, è scambiato in dollari, ma di fatto il dollaro è una moneta sopravvalutata e quando crollerà, cosa sempre più prossima ormai, trascinerà nel baratro gli USA e tutto l’occidente (Vedasi nostro articolo “Dominique Strauss-Kahn, il Fondo Monetario Internazionale, il ruolo egemonico degli Stati Uniti ed il destino di milioni di esseri umani”).
La notizia odierna della conferma ufficale che la FED non possiede oro fisico dal 1934 non fa altro che confermare che il valore del dollaro, praticamente non sopportato da un bel niente, è sopravvalutato ed è destinato a svalutarsi.
Se a ciò, aggiungiamo le voci sempre più diffuse, secondo le quali le riserve in oro degli USA, che dovrebbero ammontare a 8.133,5 tonnellate di proprietà del Tesoro e stivate a Fort Knox, sarebbero state in gran parte vendute in passato e sostituite da oro falso, ovvero tungsteno ricoperto da un leggero strato di oro (vedasi, ad esempio l’articolo di Dan Eden “Fake gold bars! What’s next?”) si comprende che la fine del dollaro ed il declino degli USA è molto più vicino di quanto si possa credere.
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1763 Messaggio da Drogato_ di_porno »

Obbbama via dall'Afghanistan. Le guerre in Iraq e Afghanistan sono costate 6000 morti e 1,3 miliardi di dollari. Obbbama dice che in tempi di crisi bisogna concentrarsi sui problemi in patria e pare che i sondaggi gli stiano dando ragione. Rassegnati dostum, sarà rieletto 8)
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Gli Stati Uniti pensano alla smobilitazione in Afghanistan. Il presidente Barack Obama, in diretta televisiva dalla Casa Bianca, ha annunciato che circa 33mila soldati americani lasceranno Kabul entro l'estate 2012, a partire dal prossimo luglio. Entro il dicembre 2011 saranno in 10mila a lasciare il Paese, in cui le truppe Usa sono presenti dall'ottobre 2001. Attualmente il loro numero è di 99mila unità. "Iniziamo il ritiro dall'Afghanistan in posizione di forza - ha detto Obama - perché insieme con i pachistani abbiamo neutralizzato oltre la metà della leadeship di al Qaeda". La exit strategy della Casa Bianca prevede azioni per "rafforzare il governo afghano e le forze di sicurezza" e contemporaneamente "iniziative di riconciliazione del popolo afghano, compresi i Talebani". Da Obama una conferma, dunque, delle indiscrezioni che volevano i vertici militari impegnati in una difficile opera diplomatica con i fondamentalisti islamici che controllano ampie regioni rurali dell'Afghanistan. Il patto è che i potenti locali rompano con la rete terroristica guidata da Al Zawahiri dopo la morte di Osama Bin Laden.

"Lotta continua" - La reazione dei Talebani, però, non è delle più concilianti. Le parole di Obama, infatti, sono viste come un semplice "passo simbolico". "Obama e i suoi guerrafondai vogliono ingannare la loro Nazione con questo annuncio - si legge in una nota rilanciata dall'agenzia di stampa Dpa - mentre in realtà non hanno alcun rispetto per i desideri della Nazione di portare a termine questa guerra e questa occupazione". Le dichiarazioni di sconfitta dei ribelli nel Sud dell'Afghanistan, storica roccaforte talebani, "altro non sono che affermazioni prive di fondamento e propaganda". Poi un appello diretto agli americani: "I contribuenti devono capire che, così come negli ultimi dieci anni, il loro denaro continua a essere sprecato in questa inutile guerra priva di significato e a finire nelle tasche dei funzionari corrotti del regime di Kabul".

Eliseo come Casa Bianca - L'accelerazione sul piano di ritiro delle truppe imposta da Obama ha però un primo effetto. Anche la Francia comincerà "un ritiro graduale" delle sue forze in Afghanistan "in modo proporzionale e con un calendario simile al ritiro delle forze americane". L'annuncio è arrivato in mattinata dall'Eliseo. In Afghanistan sono attualmente dispiegati 4.000 soldati francesi. Il bilancio è finora stato di 62 militari morti dalla fine del 2001. Quest'anno è uno dei più neri per le forze francesi impegnati su quel fronte, con nove vittime già nei primi sei mesi.
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1764 Messaggio da dboon »

ogni soldato USA costa all'anno

1 milione di dollari !!


http://www.lettera43.it/attualita/19354 ... _breve.htm

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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1765 Messaggio da Barabino »

Non e' una cifra cosi' choccante... se prendi una grossa multinazionale e dividi il fatturato (cifra che deve essere dello stesso ordine di grandezza dei costi) per il numero dei dipendenti, ottieni facilmente un milione di dollari...

per esempio eni:

€ 98.360.000.000 : 68.369 dip. = € 1.438.664

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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1766 Messaggio da dostum »

Se è vero riesce a mimetizzarsi in modo eccellente

Clamorosa inchiesta dell'FBI americano: il presidente Barack Obama potrebbe entrare in un'indagine su una rete di sindacalisti e movimenti della sinistra marxista. Il provedimento è nato dal sequestro dei dati contenuti nel computer di Tom Burke, un sindacalista di Chicago. La rete di "chicagoans" è considerata "vicina" a Obama nel periodo del suo primo governatorato nell'Illinois, e sarebbe implicata nel sostegno e finanziamento alle FARC colombiane e ad altri gruppi terroristici come l'FPLP palestinese, col quale collaboravano le organizzazioni terroriste europee a guida sovietica, come le BR e la Rote Armee Fraktion.

La rete comprendeva un sindacato semimarxista, il partito comunista americano etc.
Tra i possibili "sponsorizzati" dal network dell'estrema sinistra di Chiacago ci sarebbe anche un altro pezzo grosso democratico: il calabro-californiano Leon Panetta, ex capo di Gabinetto di Clinton e direttore della CIA fino a tre mesi fa, ma spesso oggetto di microskandalon per finanziamenti poco chiari -ottenuti da neocomunisti, che in America sono considerati vettori di idee dittatoriali come i nazifascisti. Si arriva a definirlo un possibile traditore: Panetta sarebbe stato un uomo dei sovietici, al tempo di Reagan.
Nell'aprile 2011 si è annunciata la nomina di Panetta come nuovo segretario alla Difesa al posto di Robert Gates, e appena cinque giorni fa il Senato USA ha dato il via libera alla nomina.
L'indiscrezione sull'inchiesta che cerca nuovamente di fare luce sulle ombre che riguardano i primi passi politici di Obama è filtrata sul Washington Post e poi su altri organi di stampa.

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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1767 Messaggio da fredelux »

Obama ha fallito, se verrà rieletto sarà solo per la cagata bin laden o perchè tra i repubblicani c'è solo la fuliggine IMHO

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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1768 Messaggio da Capitanvideo »

fredelux ha scritto:Obama ha fallito, se verrà rieletto sarà solo per la cagata bin laden o perchè tra i repubblicani c'è solo la fuliggine IMHO
Ora c'e' una nuova zoccola pretendente alla poltrona, si vuole candidare coi repubblicani.

Fa parte del famoso Teaparty, movimento che ho guardato inizialmente con molta simpatia, vista la politica economica molto liberista che propongono, peccato che dal lato "sociale" siamo a livello anni 60, antiabortisti, i gay considerati poveri malati ecc ecc.

Usa, contro Obama si candida

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“l’altra Sarah Palin”. Ancora più a destra

Michele Bachmann si dichiara la "candidata del Tea Party" per le presidenziali del 2012. Antiabortista, sostenitrice del creazionismo, è contraria ai matrimoni gay, alla riforma sanitaria e all’istituzione di un tetto per le emissioni inquinanti
C’è una cosa che Michele Bachmann ha detto forte e chiaro, annunciando la sua discesa in campo per le presidenziali 2012: “Sono la candidata del Tea Party”. L’ha detto, ovviamente, senza citare esplicitamente i conservatori americani, cosa che rischierebbe di farle perdere il voto centrista e moderato. Ma l’ha detto appellandosi, nel suo discorso, al popolo degli Stati Uniti, “perché ritrovi l’indipendenza da un governo che è diventato troppo presente, che spende troppo, e che ha sottratto troppo alle nostre libertà”. Conservatorismo fiscale, rivalsa del singolo contro il governo federale, riduzione dello Stato sociale: la ricetta del Tea Party, appunto.

Dopo Tim Pawlenty e Jon Huntsman, anche la Bachmann è quindi in corsa per la candidatura repubblicana alla presidenza. C’erano del resto pochi dubbi sulle reali intenzioni di questa politica vulcanica e controversa, celebre per le sue gaffe e per la virulenza delle sue opinioni conservatrici. 55 anni, avvocato, la Bachmann è stata per anni “l’altra Sarah Palin”, la faccia più ruspante dell’ideologia del Tea Party. Mentre però la Palin si è progressivamente ritagliata un ruolo da “star mediatica”, e ha cercato – con i libri, gli show televisivi, un look più sofisticato – di lasciare dietro di sé l’immagine di governatrice dell’Alaska, la Bachmann ha continuato ostinatamente a rivendicare le sue origini e predilezioni. E’ sua per esempio la decisione di fondare il gruppo di deputati repubblicani che si richiamano esplicitamente al Tea Party.

In realtà le radici della Bachmann sono molto diverse. Nasce in una famiglia democratica, e la sua iniziazione alla politica avviene al college, dove insieme al futuro marito fa campagna per Jimmy Carter. Le politiche troppo liberal di Carter (e, lei dice, la lettura di Burr di Gore Vidal, in cui si ridicolizzano i Padri Fondatori) la fanno presto abbandonare i democratici. Nel 1980 la Bachmann è già un’ardente sostenitrice di Ronald Reagan. Le campagne anti-abortiste sono la sua passione. Picchetta gli ospedali che garantiscono il diritto all’interruzione di gravidanza. Si batte perché nelle scuole dello Stato dove è cresciuta, il Minnesota, si insegnino le teorie del creazionismo. La sua vita è del resto un esempio del fervore religioso che porta in politica. La Bachmann e il marito mettono al mondo cinque figli, e ne prendono 23 in affido.

Quando, nel 2000, diventa senatrice dello stato del Minnesota, una delle sue prime iniziative è quella volta a proibire i matrimoni gay (per lei, l’omosessualità è una “disfunzione sessuale”). Sono proprio le forze dell’evangelismo religioso (in particolare “Focus on Family” del potentissimo leader cristiano James Dobson) a offrire fondi e truppe per la sua elezione, nel 2006, alla Camera degli Stati Uniti, da dove si lancia in una critica spietata delle politiche di Barack Obama. E’ contro la riforma sanitaria (è lei a parlare delle presunte “commissioni di morte” istituite dalla legge), contro la regolamentazione di Wall Street, contro l’istituzione di un tetto alle emissioni inquinanti. Per la sua tendenza a spararla grossa, diventa una delle politiche più ricercate nei talk-show. Qualche settimana fa, per criticare la politica libica di Obama, la Bachmann annunciò che i raid Nato avevano fatto 30 mila morti. (Insuperata resta però l’equiparazione, durante un comizio in New Hampshire, di Olocausto e peso delle tasse).

Trattata con sufficienza dalla grande stampa, la Bachmann conosce e rappresenta perfettamente il cuore dell’America conservatrice che l’ha creata e votata. Per annunciare la sua candidatura, ha scelto Waterloo, Iowa, la città dove è nata. L’Iowa è però, soprattutto, il primo stato dove si terranno le primarie repubblicane, e dove la Bachmann ha messo in cantiere un capillare giro di comizi. Il suo problema, a questo punto, è non fare la fine di Mike Huckabee, il candidato dei conservatori religiosi che alle primarie di 4 anni fa vinse nello Stato, per poi sparire dalla contesa elettorale. Lei (ovviamente) ostenta ottimismo, e cerca di apparire il più possibile bipartisan e anti-establishment (“i problemi degli americani sono creati da entrambi i partiti”, ha detto nel discorso di investitura). Non perde comunque l’abitudine alle sue celebri gaffe. Proprio a Waterloo, davanti ai suoi fans, ha detto di essere orgogliosa di condividere “lo spirito della gente di Waterloo, gente come John Wayne”. In realtà, il celebre attore è nato a tre ore di macchina dalla cittadina. Da Waterloo viene invece John Wayne Gacy, il serial killer che torturò e uccise 33 ragazzini.
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super_super
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1769 Messaggio da super_super »

cioè una malata di mente come la Bachmann rischia di diventare presidente degli usa ?
questa sostiene il creazionismo :lol: :lol: :lol:
che paese di ritardati gli usa :lol:
Bill Hicks risorgi ti prego

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fredelux
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Re: [O.T.] The next U.S.A. President

#1770 Messaggio da fredelux »

THE BEST FROM THE PAST......JFK.

È la voce della Prima Vedova d´America a parlare dall´oltretomba e a formulare un´accusa tremenda, per ora senza prove: Jacqueline Kennedy era convinta che "l´infame", che l´assassino, fosse quell´uomo di fronte a lei sull´aereo funebre, quel Lyndon Johnson che aveva preso il posto di suo marito.

Questo, nella propria rabbia e nella propria disperazione di vedova e di donna tradita due volte, prima dal marito in vita e poi dal suo vice presidente in morte, Jacqueline Bouvier Kennedy disse allo storico Arthur Schlesinger pochi giorni dopo quel funerale che tutto il mondo guardò piangendo con lei e con i bambini. Fu una confessione segreta che sarebbe dovuta restare segreta per mezzo secolo. Ma che la figlia Caroline ha cominciato a svelare a pezzi e brandelli, scatenando un altro capitolo sensazionale del libro infinito dei misteri kennedyani, se le sue rivelazioni sono autentiche e se davvero questo dice la voce dal passato.


4 PAUL MARCINKUS LYNDON B JOHNSON 1908 1973 LAP

JACKIE KENNEDY FOTO DI RON GALELLA
Dalla fine del 1963, dunque qualche settimana dopo avere dovuto lasciare la Casa Bianca insieme con i due orfani, John John e Caroline, a oggi, i nastri della lunga confessione di Jackie a Schlesinger, allo storico che più di ogni altro aveva contribuito a creare il mito di "Camelot", della corte kennediyana, sono rimasti chiusi nella cassaforte della Biblioteca ufficiale di JFK a Boston.

Jackie aveva ordinato che restassero sottochiave per mezzo secolo, rendendosi conto dell´enormità delle accuse. Ma ora che uno dopo l´altro i Kennedy "veri" se ne sono andati e restano soltanto gli avanzi di una dinastia tramontata, che John John il principe ereditario è sprofondato con il proprio Piper nelle acque davanti a Hyannis Port, che Ted l´ultimo grande vecchio è stato sepolto e lei è rimasta sola, Caroline ha rotto il sigillo del silenzio.

Sono cominciate a sgocciolare accuse terribili, come quella diretta al vice presidente Lyndon B. Johnson di essere stato il ragno che aveva tessuto la tela con altri "pezzi da 90" texani per attirare Kennedy a Dallas, dove l´odio dei "JR", dei miliardari, dei bovari e petrolieri per il presidente troppo liberal, troppo di sinistra, troppo yankee, troppo nordista, era implacabile, e tramare per eliminarlo.


JOHN F KENNEDY 300

AGNELLI MARELLA JOHN JAQUELINE KENNEDY
Filtra come un vento acre la collera di una donna che dietro il sorriso diafano ed enigmatico, sotto gli abiti di "haute couture" che indossava per il pubblico da magnifica mannequin del mito, sapeva tutto delle porcherie del marito, raccontando a Schlesinger di avere trovato slip da donna ovviamente non suoi sparsi per la casa. E di avergli reso pan per focaccia, racconta in quei nastri ascoltati dalla figlia Caroline, tradendolo con uomini come Giovanni Agnelli, il presidente della Fiat durante vacanze italiane e con il suo attore preferito, il bellissimo William Holden.

Più che il Castello di Re Artù, che la propaganda degli Schlesinger, il narratore dei "mille giorni", o le parole alate di Ted Sorensen, il trovatore che diede le ali all´oratoria kennedyana dal discorso inaugurale in poi, la Casa Bianca di quegli anni sembra essere stata una corte dei Borgia, un nido di avvelenatori e ballerine, di pugnalatori e di favorite.

Sono soltanto frammenti, questi che la figlia sta facendo cadere dalla tavola dei misteri, e non necessariamente verità, perché non é affatto dimostrabile che Jackie sapesse davvero chi avesse mandato Lee Harvey Oswald con un fucile a cannocchiale al sesto piano del deposito di libri a Dallas. Ma sono gocce di piombo fuso.



JACKIE TRA BOB E TED KENNEDY AI FUNERALI DI JOHN

FRATELLI KENNEDY
Alcune delle cose che Caroline sta facendo uscire, secondo i media come il Daily Mail inglese che hanno raccolto queste anticipazioni, per preparare il mercato al libro che sta scrivendo e per i documentari che la network Abc diffonderà in autunno, collimano con ciò che sappiamo e che è stato da tempo scoperto.


MARILYN MONROE E JOHN FITZGERALD KENNEDY

CAROLINE KENNEDY
La candida villa della famiglia modello, ostentatamente cattolica nella opportunistica devozione, assisteva a orgette e inseguimenti di segretarie attorno alle scrivanie, all´assunzione di impiegate disponibili, come le due ragazze che il Servizio Segreto aveva soprannominato "Fiddle" e "Faddle", agli incontri brutali e rapidi in piedi nei guardaroba con la "bambola" mandata dal padrino mafioso Sam Giancana, Judith Campbell, all´andirivieni notturno di Bob, il fratello, attraverso il tunnel sotterraneo che collega la Casa Bianca all´adiacente ministero del Tesoro, che Bob usava per entrare e uscire non visto dai reporter. Un clima da dormitorio universitario, da "Animal house", che gli apologeti più tardi tenteranno di giustificare con gli «squilibri ormonali» di un presidente costretto a continue cure di steroidi per il morbo di Addison, un´afflizione grave delle ghiandole surrenali.


JACKIE KENNEDY

JACKIE KENNEDY NEL 1961
Anche i sospetti sul vice Lyndon Johnson, il gigante texano e boss ferreo del Senato che John e Bob Kennedy avevano indicato come candidato alla vice presidenza pur sapendo che Johnson detestava quei due turd, quegli stronzetti di Boston come ripeteva a tutti, scattarono subito dopo le esplosioni dei colpi.

Johnson era stata una nomina di ripiego, un´astuzia tattica, fatta dopo il rifiuto di tre "prime scelte", indicato dai fratelli Kennedy soltanto per fare un gesto verso il Texas e l´elettorato del Sud che minacciava di far perdere le elezioni. Entrambi, John ("Jack" come era chiamato dagli amici) e Bob restarono di stucco quando LBJ accettò, intrappolandoli nel loro gioco e costringendoli a portarselo alla Casa Bianca.


LA MORTE DI KENNEDY

JOHN F KENNEDY CON JACQUELINE BOUVIER QUALCHE SETTIMANA PRIMA DEL MATRIMONIO - CALZINO IN VISTA
Da questo intenso disprezzo fra due uomini, e due clan, fra i Kennedy e i Johnson, fra gli irlandesi bostoniani e i texani, a immaginare che il vice sia stato l´ideatore e il promotore dell´assassinio con la complicità della sua "gang", occorre compiere un salto che gli storici e i ricercatori non si sentono di fare e che la furia di una donna offesa e sfrattata dal nuovo inquilino della propria casa, può invece giustificare.

Ma spiegherebbe la frettolosa rapidità con la quale il nuovo presidente, colui che aveva giurato sul Boeing 707 che trasportava la bara di JFK, davanti a Jackie in tailleur ancora imbrattato dal sangue e dagli schizzi di cervello del marito, chiuse l´inchiesta ufficiale condotta dal giudice Warren.


JOHN F KENNEDY E JACQUELINE IN BARCA NEL
Riguardiamo quella foto ufficiale, la sola scattata sull´Air Force One in volo di ritorno verso Washington nella notte di venerdì 22 novembre 1963: una vedova insanguinata, la bara del morto e l´uomo che lei, dentro di sè, credeva essere l´assassino. Un triangolo di odio shakespeariano che neppure quarant´anni hanno potuto estinguere e che continua ad ardere.

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