In Tunisia e Algeria non c’è la stessa crisi
di Stefano Torelli
Le rivolte contro Bouteflika e Ben Alì sono contemporanee ma nascono da problemi diversi. Ad Algeri ci si ribella contro la povertà, e l'estremismo islamico è in agguato. A Tunisi è in discussione la legittimiità stessa del regime.
Malgrado analisti e stampa nostrana si ostinino ad accomunarle, le crisi in Algeria e Tunisia sono diverse.
Certo, ci sono alcuni fattori congiunturali in comune, come la natura dei regimi e la loro risposta repressiva alle proteste di piazza, ma i due paesi hanno caratteristiche molto differenti.
Una simlitudine è politica: si tratta di due regimi mascherati da repubbliche, i cui presidenti sono in carica rispettivamente da 24 (il settantacinquenne tunisino Bel Ali) e 12 anni (il settantaquattrenne algerino Bouteflika).
Sono due paesi in cui ogni elezione è puntualmente contestata e sembra esservi poco o nessuno spazio per le opposizioni, siano esse di natura politica o socio-culturale.
Ciò, del resto, accomuna Algeri e Tunisi alla maggior parte del mondo arabo, dall’Egitto alla Libia, dalla Siria alle monarchie del Golfo. Le similitudini finiscono qui.
L’Algeria è reduce da una guerra civile costata circa 100mila morti e che risale agli anni Novanta. Il processo di pacificazione interna, se davvero è mai iniziato, non si è ancora concluso.
Gli estremisti islamici, dalla cui democratica vittoria elettorale (non riconosciuta dall’allora governo algerino, che per ovviare alla sconfitta appoggiò un golpe militare) scaturì il conflitto civile, hanno solo cambiato nome.
Ora si chiamano Al Qaida nel Maghreb, insieme ad altri gruppi terroristici dell’area. In Algeria, nel silenzio più totale dei media occidentali, continua ad esserci un attentato contro obiettivi governativi ogni settimana e i morti si contano a centinaia.
Sintomo di uno Stato ancora a rischio, sicuramente il più instabile nel quadro maghrebino, pronto ad esplodere alla prima avvisaglia.
La Tunisia, al contrario, è sempre stata ritenuta uno dei paesi più stabili dell’area, con poche rivolte sociali e un livello di benessere più elevato, così come un sistema di leggi più “liberale”, per esempio nel campo del diritto di famiglia.
Ma la stabilizzazione ha un prezzo: la mancanza di libertà. Secondo tutte le classifiche stilate da Freedom House Tunisi è all’ultimo posto in Maghreb in quanto a libertà e diritti civili e politici e per ciò che concerne la libertà di stampa.
Poi c’è internet, lo strumento di comunicazione da cui oggi può partire una rivoluzione sociale. Ebbene, Tunisi è al penultimo posto mondiale nella classifica della libertà su internet, seconda solo alla Cina e in compagnia di Cuba.
L’Algeria, sebbene non sia esente da problemi di questo genere, è più concentrata nel tentare di ricostruire la propria identità sociale e cercare di estirpare l’estremismo islamico.
Dal punto di vista economico, la Tunisia è vista come uno dei paesi più dinamici della regione, ma in realtà, sempre che ciò possa costituire da solo un fattore positivo di crescita e sviluppo, semmai è uno dei più aperti.
Per aperto si intende che ha più accordi degli altri Stati dell’area con l’Unione Europea, per esempio. Oppure che arrivano flussi di turisti, circa 8 milioni l’anno, che arricchiscono in parte il paese, incapace comunque di sfruttare appieno le proprie potenzialità.
Ci sarà pure un motivo se l’Egitto nel 2009 ha attirato quasi 13 miliardi di dollari di investimenti diretti esteri, l’Algeria quasi 15 e la Tunisia a malapena 2.
Algeri raccoglie tanti investimenti perché ha il petrolio e soprattutto il gas, e può quindi essere considerata a tutti gli effetti un rentier State, il che la rende completamente diversa dalla Tunisia, impegnata a cercare nuovi spazi di sviluppo e di occupazione.
Sia la Tunisia sia l’Algeria affrontano livelli di disoccupazione impressionanti, intorno al 13-15%. E sono solo cifre ufficiali, mentre alcuni parlano di un tasso al 30%, in Stati dove la popolazione sotto i 30 anni è la stragrande maggioranza.
Anche qui, le analogie si fermano a questo dato. Per Algeri il petrolio e il gas costituiscono un fardello - non tanto per la crescita, quanto per lo sviluppo - più che un’opportunità.
Le giganti imprese pubbliche energetiche assorbono la forza lavoro, tarpando le ali all’iniziativa privata e alla possibilità di nuovi spazi per l’occupazione.
In uno Stato instabile per via dell’islamismo radicale, ciò costituisce un possibile fattore di crisi.
La Tunisia ha lo stesso problema della disoccupazione, ma potrebbe risolverlo, grazie anche alle iniziative promosse dall’Occidente e dall’Ue, con programmi di sviluppo più incisivi.
Il problema, come detto, rimane la repressione delle idee. In questo la Tunisia è più simile all’Iran dell’onda verde che all’Algeria.
A Tunisi va in scena la battaglia di giovani che vogliono maggiore spazio; ad Algeri, nell’ombra e da anni, qualcosa di più complesso e che difficilmente potrà essere risolto nel breve-medio termine.
La Tunisia deve lottare con una classe dirigente che non ammette opposizioni e che non è abbastanza spronata da fuori per proporre il cambiamento.
Algeri deve ancora risolvere problemi di fondo ben più grandi, prima di confrontarsi con i giovani che vogliono far sentire la propria voce.
In uno scenario simile, irrompe l’aumento dei prezzi dei generi alimentari di base, fenomeno per nulla nuovo nell’area, come dimostrato dalla ciclica protesta degli egiziani per gli stessi motivi.
È vero che di base vi è la difficoltà nel creare nuovi posti di lavoro, che frustra le giovani generazioni al punto da arrivare al suicidio e alla rivolta di piazza, ma sarebbe fuorviante trattare le due crisi come due facce di una stessa medaglia.
In Algeria vi è una rivolta di tipo socio-economico, mentre in Tunisia è soprattutto politica. Ad Algeri c’è la rabbia di cittadini che non hanno punti di riferimento e che, nel senso letterale del termine, hanno fame. E la situazione è resa potenzialmente più grave per via dell’islamismo radicale.
La Tunisia chiede un cambio di regime, fa una protesta di tipo prettamente politico e questo preoccupa ancora di più l’élite al potere, che infatti sta rispondendo con una repressione molto più decisa di quella algerina, essendo messa in discussione la stessa legittimità del governo.
Come accennato, la rivolta in atto in Tunisia ricorda quella iraniana dell’estate del 2009 e, non a caso, la risposta è uguale. Che tale ribellione possa propagarsi anche in Marocco sembra alquanto inverosimile.
Il Maghreb e il Medio Oriente in senso più ampio sono abitati da attori differenti.
Lo studio delle condizioni strutturali di tali attori costituirebbe una buona base di partenza per analizzare i fenomeni politici e sociali evitando facili generalizzazioni.
(13/01/2011)
Una nuova pagina per la Tunisia
di Stefano Felician
Pochi giorni di rivolta hanno costretto alla fuga uno dei più longevi dittatori del Nordafrica. Se arriverà la democrazia, Tunisi sarà un caso isolato o un modello per l'area?
Da alcuni giorni l’Africa del Nord è sotto gli occhi dei riflettori internazionali per delle manifestazioni di popolo che hanno infiammato diversi Stati.
Se questi comportamenti possono rientrare in una sorta di "dialettica” politica, in Tunisia è avvenuto l’incredibile: il presidente Zine Abdine Ben Alì, in carica da 23 anni e reputato “uomo forte” del sistema è scappato velocemente nella notte del 14 gennaio diretto in Arabia Saudita.
Appena nel 2009 aveva vinto le elezioni con quasi il 90% dei consensi, anche se vi erano stati forti dubbi sull'effettiva validità di questi risultati.
Tunisi nell’arco di pochi giorni ha visto cambiare completamente la propria politica interna, con effetti potenzialmente rivoluzionari per il mondo arabo.
La Tunisia è sempre stata considerata una nazione abbastanza avanzata nell’area.
L’eccezionale stabilità di cui ha goduto (due soli presidenti dall’indipendenza negli anni ’50, cioè Bourguiba e Ben Alì) e l’essere riuscita a non farsi invischiare nel delicato contesto regionale - i paesi confinanti sono Algeria e Libia - le hanno permesso di ricavarsi un’aura di rispettabilità internazionale e di affidabilità che moltissimi paesi africani non potrebbero nemmeno immaginare.
In più l’attiva partecipazione di Tunisi alle missioni di peacekeeping in Africa e non solo (Albania, Cambogia, Haiti) ha dato al mondo l’immagine di un paese pacifico e moderato, voce quasi unica nel contesto africano.
Il prezzo di questa stabilità è stato però elevato per il popolo tunisino, le cui libertà fondamentali, compresa quella di stampa, sono state represse.
Dopo la deposizione di Bourguiba con un “golpe sanitario” ad opera di Ben Alì - con la scusa che l’ex presidente era “troppo vecchio” per ricoprire l'incarico - dal 1987 nulla è cambiato nell’assetto di potere tunisino.
Fino a pochi giorni fa ovunque nel paese capeggiavano enormi ritratti, sempre sorridenti, di Ben Alì; oggi tutto questo sembra passato da anni.
Il vento rivoluzionario che ha spazzato via il vecchio sistema spirava già da quasi un mese. C’erano state manifestazioni e proteste, tutte fermamente represse dalla polizia.
Lo stesso Ben Alì in un discorso a fine dicembre aveva condannato le rivolte bollandole come “estremiste”. Nonostante questo le agitazioni sono continuate.
Il 13 gennaio un presidente diverso dal solito, dicono alcuni commentatori, ha incredibilmente annunciato maggiore libertà di stampa e l’intenzione di non ricandidarsi più nel 2014; le proteste sono comunque continuate fino all’epilogo finale.
Il 14 gennaio, dopo 23 anni di potere Ben Alì ha precipitosamente lasciato la Tunisia, rifugiandosi in Arabia Saudita.
In pochi giorni il sistema di sicurezza nazionale, così fortemente gestito da Ben Alì, in termini fisici si è semplicemente sublimato, mentre nelle strade la popolazione si lasciava andare in balli e celebrazioni.
A fianco di queste sono iniziati in giro per il paese saccheggi e devastazioni, con qualche morto. Dalle immagini che giungono si vedono militari e carri armati nelle strade, mentre per diverse ore lo spazio aereo nazionale è stato chiuso.
A parte gli aspetti di ordine pubblico, rimangono degli interrogativi politici di grande importanza. Occorre capire come si svilupperà la transizione interna della Tunisia: diversi scenari sono possibili.
Al momento le figure che hanno rimpiazzato Ben Alì provengono tutte dal suo entourage; sono ben noti burocrati che già nel vecchio governo avevano posizioni apicali: ciò spiega perché molte persone continuino a diffidare di questi leader.
L'eventualità del ritorno del presidente sembra affievolirsi col passare dei giorni. Uno dei possibili esiti della vicenda potrebbe essere la continuazione, nella mani di altri soggetti, del medesimo sistema precedente.
Ipotesi difficile, sia perché la reazione degli ambienti filogovernativi è stata molto blanda sia perché sembra che il popolo tunisino cerchi altre soluzioni che non la continuazione dell’autoritarismo.
Un'alternativa è la creazione di una democrazia vera e propria: un unicum nel mondo arabo.
Questa soluzione, che emotivamente può coinvolgere ed apparire migliore, apre però una serie di problemi geopolitici decisamente nuovi.
Problemi riassunti in una recente analisi di Al-Jazeera, intitolata “Ai tiranni del mondo arabo”, nella quale si sostiene che se l’esperimento democratico tunisino avrà successo potrebbe diventare un paragone (ed un esempio) per molti altri Stati arabi, costituendo un precedente molto rilevante.
Recita l’articolo: "il popolo tunisino ha parlato e il mondo arabo stava ascoltando": secondo diverse analisi si potrebbe ipotizzare un effetto domino seguente alla svolta di Tunisi.
Sono valutazioni da fare solo dopo che il piccolo paese africano sarà riuscito a ristabilire l’ordine e un assetto governativo effettivo.
Se però la Tunisia evolvesse verso una democrazia, questo avvenimento non potrebbe passare inosservato nel contesto regionale e fors’anche oltre.
Per il momento il dado è tratto: il mondo arabo (o una parte di questo) osserva gli sviluppi tunisini con un misto di curiosità e ammirazione, commentando anche sui social network.
Secondo un'analisi della BBC anche Facebook, Twitter e internet hanno giocato la loro parte in queste giornate convulse, nonostante le restrizioni del governo: i dati dell’emittente inglese indicano che il 34% della popolazione ha accesso ad internet e facebook è utilizzato da quasi due milioni di persone (su circa 10 milioni).
La situazione del paese appare ancora incerta e magmatica, nonostante il governo stia cercando di stabilizzarla il prima possibile: per ora sembra che le sorti della Tunisia non siano (più) confinate alle sole stanze degli ambienti governativi.
(17/01/2011)

Iudicio procede da savere, Cum scritta legge receve repulsa Ecceptuando 'l singular vedere. Per una vista iudicare 'l facto Sentenzia da vertute se resulta Erro e rasone se corrumpe 'l pacto. Non iudicare, se tu non vedi, E non serai ingannato se ciò credi.
[L’Acerba - Cecco d’Ascoli]
I criteri della morale e del diritto non hanno senso se applicati ai processi storici.
[Aleksandr Aleksandrovič Zinov’ev]