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dostum
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Re: [O.T.] ISLAM

#1291 Messaggio da dostum »

Baalkaan almenotu ci credi? In fin dei conti la turista ERA TEDESCA

Lo squalo assassino è una spia del Mossad?pubblicato il 7 dicembre 2010 alle 19:38 dallo stesso autore - torna alla home Complottisti di tutto il mondo, unitevi! I recenti attacchi al largo della costa del Sinai, avrebbero la loro origine dai famigerati Servizi segreti israeliani.

Il Mossad ha una nuova unità formata dagli squali? Non tutti credono che questa sia una domanda surreale, che i paesi arabi vedano agenti del Mossad in ogni angolo è un fatto noto. Che odino e temino con pari intensità il servizio segreto israeliano, anche. I motivi, non mancano. Ma accusare il Mossad di aver inviato uno squalo al largo delle coste dell’ Egitto, raggiunge le vette delle teorie della cospirazione, pure così comuni al Cairo e in altre capitali arabe.

IL NUOVO AGENTE SIONISTA - La morte recente di una turista tedesca di 70 anni, vittima della furia di uno squalo al largo della costa del Sinai, avrebbe la sua origine in un complotto machiavellico covato nel seminterrato del Glilot, l’enigmatico quartier generale del Mossad a nord di Tel Aviv. Così avrebbero insinuato alcuni funzionari della regione del Sinai. Esperti di intelligence e diplomatici israeliani si sono svegliati stamattina tra la meraviglia e l’ilarità, dopo aver sentito che il governatore del Sud Sinai, Mohamed Abdel Fadil Shousha, non ha escluso che lo squalo possa essere un nuovo agente sionista. “Dicono che il Mossad ha lanciato uno squalo assassino nel Mar Rosso per colpire il turismo in Egitto. Non la scartiamo come ipotesi anche se abbiamo bisogno di tempo per confermare tali affermazioni“, ha detto Abdel Fadil Shousha.

VOCI DI CORRIDOIO - Parlando alla Reuters, Ahmed el Edkawi, assistente segretario della regione del Sinai del Sud, ha aggiunto: “Non c’è solo una ragione, tutto sarà preso in considerazione. Siamo alla ricerca di qualsiasi motivo che possa aver causato un cambiamento nel comportamento degli squali“. Gasser Mohamed, istruttore sub nel Sinai, ha negato questa possibilità, ma riconosce che “l’Egitto è pieno di voci e non si sa a cosa credere“. Nelle dichiarazioni alla Reuters, gli esperti egiziani hanno argomenti senza dubbio più razionali per l’arrivo dello squalo che ha causato il panico nei giorni scorsi e la fuga dei turisti.

IL RECLUTAMENTO DEGLI SQUALI - “Noi piangiamo la morte della turista tedesca e i feriti nel Sinai, ma penso che i funzionari egiziani hanno visto troppo spesso il film ‘Lo squalo’. Il Mossad ha molte cose più importanti da fare che inviare gli squali ai vicini di casa“, ha detto un portavoce israeliano degli Esteri a El Mundo. “Lo squalo del Sinai è, senza dubbio, l’arma segreta ereditata dal nuovo capo del Mossad, Tamir Pardo“, scherza un esperto di intelligence. Il neo nominato capo dei servizi segreti, che andrà a sostituire tra poche settimane Meir Dagan, ha a che fare con una agenda molto completa:dovrà abortire con ogni metodo possibile il progetto nucleare iraniano, spezzare l’intreccio tra Teheran e Damasco con Hamas e i gruppi di Hezbollah, combattere la minaccia di Al Qaeda e, per dessert, reclutare nuovi squali. Senza dubbio gli agenti più assassini, ma meno inosservati del mondo dello spionaggio.

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federicoweb
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Re: [O.T.] ISLAM

#1292 Messaggio da federicoweb »

Principi sauditi tra sesso, droga e rock
08 dicembre, 20:34

BEIRUT -
Da Wikileaks, una rara e certo imbarazzante visione della 'dolce vita' saudita, o meglio, dei principi sauditi: ''Dietro la facciata del conservatorismo wahabita nelle strade, la vita notturna della elite giovanile e' fiorente e palpitante''. Ovvero: sesso, droga e rock & roll.

Ad affermarlo, in un cablo del novembre 2009, e' il console americano a Gedda Martin Quinn, riferendo di un party in occasione dell'americanissima celebrazione della notte di Halloween nella dimora di un giovane principe a Gedda, a cui erano presenti anche dei funzionari del suo consolato.

Il 'quadretto' e' ben dettagliato. Si parla di molto alcol, che, ''severamente proibito dalla legge e dai costumi sauditi, e' presente in abbondanza, in un bar fornito di liquori di marca''. Di ''molte prostitute'' presenti tra i circa 150 invitati, diversi dei quali, ''mascherati, ballano in coppia e sui tavoli'' al ritmo di musica dance.
E anche di ''cocaina e hashish comuni in questo tipo di eventi'', anche se nel caso in questione, precisa Martin, mancano ''testimonianze dirette''. Una precisazione che pero' lascia intuire abitudini del genere nella vita sociale di molti dei circa 10 mila principi della famiglia reale, che godono di grandi privilegi, cominciando da una notevole indulgenza da parte degli agenti della severissima Commissione per la promozione della virtu' e della prevenzione del vizio.

Queste feste, aggiunge infatti il console Martin, sono ''possibili perche' la polizia si tiene a distanza solo quando i party includono la presenza o il patrocinio dei reali sauditi e dei loro sudditi piu' fedeli''. Questo tipo di vita sembra interessare pero' anche i giovani sauditi 'comuni', visto quanto afferma in un dispaccio di pochi mesi dopo sempre il consolato Usa a Gedda, riferendo del successo di serial tv come 'Casalinghe disperate' e 'Friends', o di talk-show come il 'Late Show' di David Letterman. In Arabia Saudita, questi programmi vengono trasmessi senza censura e con sottotitoli in arabo dal canale Mbc 4, che e' di proprieta' saudita ma trasmette da Dubai.

Nel documento si riferisce di informazioni secondo cui questo genere di intrattenimento Tv funziona meglio dei programmi ufficiali anti-estremismo dell'emittente sponsorizzata dagli Usa al-Hurra, che dal 2003 e' costata finora quasi 500 milioni di dollari. Il fascino di star come Eva Longoria, Jennifer Aniston e David Schwimmer suscita molto di piu' l'interesse dei ragazzi sauditi per tutto cio' che e' occidentale, perche' ''i sauditi sono molto interessati al mondo esterno e tutti vorrebbero studiare negli Usa, potendo. Sono affascinati dalla cultura statunitense come mai prima''.

Quantomeno, stando ai commenti di due dirigenti di media sauditi in un colloquio con un diplomatico americano, riferito nel 'cable' ora accessibile a tutti.
Chi non ha mai posseduto un cane, non sa cosa significhi essere amato ( Arthur Schopenhauer )
" Ste sgallettate che non sanno fare un cazzo e non partoriscono un concetto nemmeno sotto tortura
sono sacchi a pelo per il cazzo " ( Cit. ZETA )

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Il Fede
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Re: [O.T.] ISLAM

#1293 Messaggio da Il Fede »

Cuffia islamica nell’ora di musica

La figlia va a scuola con la cuffia nelle orecchie perché il padre non vuole che ascolti la lezione di musica: «roba da infedeli». Succede alla scuola media di Reggello.

no, una quindicenne segue le lezioni di musica con i tappi alle orecchie. Così ha voluto suo padre, Omar, marocchino di fede islamica che considera la musica impura, una «roba da infedeli». Succede alla scuola media statale di Reggello, dove il padre della ragazzina e gli insegnanti hanno escogitato questa originale strategia per permetterle di rimanere in classe durante le lezioni di educazione musicale. E così, mentre i suoi compagni di terza media suonano, cantano o solfeggiano, lei si estranea con un paio di cuffie isolanti. Osserva i compagni col flauto, ma non li sente. Vede muovere le loro dita, ma è totalmente sorda ai suoni che emettono gli strumenti. E invece che esercitarsi con la pratica, studia la teoria musicale su un libro. Accade tutte le settimane, non appena la campanella annuncia la lezione di musica. Ormai il meccanismo è collaudato, ma fino all’anno scorso, tra la famiglia marocchina e la dirigenza scolastica erano scintille. Quando c’erano le esercitazioni musicali, la ragazza non andava a scuola, spesso perdendo intere giornate di lezione. E a causa delle troppe assenze, la studentessa venne bocciata. La preside segnalò il caso al sindaco e ai carabinieri.

Partì una denuncia e si aprì un processo, tutt’ora in corso, nei confronti del padre, colpevole per aver costretto la figlia a rinunciare, almeno in parte, alla scuola dell’obbligo. Nonostante la denuncia, i genitori furono irremovibili: «Niente musica per nostra figlia. Altrimenti, niente scuola». Così si arrivò alla soluzione concordata, quella attuale. Un lieto fine, almeno per genitori e insegnanti, ma chissà se è così anche per la ragazza. Su questo il padre non ha dubbi: «Mia figlia è felice di seguire le regole del Corano. La nostra religione ci obbliga a non studiare la musica, è scritto nei testi sacri. Non mi sento un fanatico, ma un fedele alle credenze musulmane. Credo di essere il primo in Italia ad aver sollevato questo problema, ma sono contento e lo rifarei». Il protagonista della vicenda, Omar R. è uno dei rappresentanti della comunità islamica di Reggello. Il caso da lui sollevato ha suscitato critiche e perplessità in tutto il paese. «Rispettiamo le tradizioni religiose di tutti i nostri cittadini — ha commentato il vicesindaco e assessore all’istruzione Cristiano Benucci— ma ritengo che si debba fare tutto il possibile affinché ogni materia scolastica venga insegnata agli studenti. Tra queste, anche la musica, che a Reggello ha una grande tradizione storica e dovrebbe essere appresa da tutti i bambini. È difficile capire le motivazioni che spingono un genitore a negare l’ascolto della musica alla propria figlia». Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore alle politiche sociali Daniele Bruschetini: «La nostra scuola accoglie tutti, ma gli islamici dovrebbero adeguarsi alla cultura del Paese che li ospita».

Più moderata la preside dell’istituto scolastico, Vilma Natali: «È stata trovata una soluzione condivisa, che accontenta sia gli insegnanti che i genitori. La vicenda non va enfatizzata». In ogni caso, precisa la dirigente scolastica, «credo che la ragazzina, attraverso questo metodo educativo, non otterrà grandi risultati». Scelta comprensibile, invece, secondo l’imam di Firenze Izzedin Elzir: «Il mondo islamico interpreta la musica in due modi. Può essere qualcosa di illecito e immorale, oppure uno strumento artistico positivo». Elzir, pur condividendo quest’ultima interpretazione, ritiene che «tutto deve essere correlato alla scelta educativa della singola famiglia». Inoltre, aggiunge l’imam, «è necessario lavorare alla coesione della nostra società rispettando le credenze di ognuno ed evitando di creare allarmismi mediatici».

Francesco Rutelli, con una interrogazione urgente al ministro Gelmini, chiede un intervento immediato sul caso. «Tali restrizioni - argomenta Rutelli - avrebbero portato la giovane, di famiglia musulmana, a doversi assentare dalla scuola, e poi addirittura a dover presenziare alle lezioni di musica con le orecchie tappate con una cuffia isolante, a causa di un’interpretazione demenziale del genitore, secondo cui l’ascolto della musica sarebbe illecito, o addirittura immorale. Se tali fatti venissero confermati - prosegue il leader di Alleanza per l’Italia - ci troveremmo di fronte a un caso di palese violazione della nostra Costituzione, e dei diritti umani fondamentali di questa giovane studentessa; a una equivoca interpretazione dei principi di tolleranza e dei valori di accoglienza; a una rinuncia intollerabile dei doveri di educazione che spettano alla scuola italiana». «Il pluralismo è a fondamento della cultura italiana, e in nessun modo lo si può intendere come divieto ad accedere alla cultura, o alla musica, o alle arti» osserva Rutelli che nella sua interrogazione chiede al ministro Gelmini «quali provvedimenti intenda assumere per porre fine a tale situazione di fondamentalismo anti-educativo, incompatibile con la democrazia» e «quali misure intenda prendere rispetto alla prolungata accettazione da parte delle strutture scolastiche territoriali di una simile paradossale, incivile e illecita situazione».


http://corrierefiorentino.corriere.it/f ... 7948.shtml
Osservandola, perfino Ratzinger si convincerebbe di quanto sia necessario l'uso dei contraccettivi ( Matt Z Bass ).

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Satana in autobus
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Re: [O.T.] ISLAM

#1294 Messaggio da Satana in autobus »

ma tu senti che storia! Ma tutti qui capitano i matti fanatici? Ho insegnato 6 mesi in una scuola tunisina e avevo il 90 % degli alunni tunisini, figli di tunisini. Tutti ovviamente facevano le ore di musica e c'erano pure i concerti a fine anno. Qualche anno fa poi ho visto un concerto di Ziggy Marley in Marocco dove ogni anno, fra l'altro, si svolgono festival musicali bellissimi.

Salvate sta poveraccia con le cuffie dal padre forsennato!!
Speriamo che la figlia dopo i 18 diventi una musicofila incallita...ovviamente didiabolicissimo ROCK!!!
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pan
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Re: [O.T.] ISLAM

#1295 Messaggio da pan »

Satana in autobus ha scritto: Qualche anno fa poi ho visto un concerto di Ziggy Marley in Marocco dove ogni anno, fra l'altro, si svolgono festival musicali bellissimi.

Ti riferisci al Festival del Deserto ?
Non seguire le orme degli antichi, ma quello che essi cercarono. (Matsuo Basho,1685) - fa caldo l'Italia è sull'orlo di un baratro e non scopo da mesi (cimmeno 2009) - ...stai su un forum di segaioli; dove pensavi di stare, grande uomo? (sunday silence,2012)

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Satana in autobus
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Re: [O.T.] ISLAM

#1296 Messaggio da Satana in autobus »

no al Festival di Essaouira.
Però Ziggy era a Rabat.

Il Fsxtival del deserto deve essere uno spettacolo vero! in pieno deserto maliano.
non ci sono mai stato purtroppo, ma conosco la zona.
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dostum
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Re: [O.T.] ISLAM

#1297 Messaggio da dostum »

Avvoltoio Sionista

gennaio 2011 L’Arabia Saudita cattura un avvoltoio utilizzato dall’università di Tel Aviv per un progetto di ricerca. L’accusa è quella di essere una spia del Mossad
Sono finiti i tempi in cui il Mossad utilizzava normali agenti dotati di passaporti falsi per compiere le sue operazioni in giro per il mondo. Ora ci sono gli animali a sostituire gli uomini. Questo, almeno, è quello che pensa l’Arabia Saudita, che ieri ha catturato (come riportato da Haaretz) un avvoltoio dotato di trasmettitore e targhetta con su scritto “Università di Tel Aviv”. Il subdolo volatile è stato ritrovato a volteggiare liberamente nei cieli dell’area rurale del paese, nell’ambito di un progetto di ricerca avviato da tempo sui flussi migratori. Ma gli autoctoni e i reporter locali non hanno creduto a questa spiegazione, e hanno parlato apertamente al giornale saudita Al-Weeam di “complotto sionista”.
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Re: [O.T.] ISLAM

#1298 Messaggio da JoaoTinto »

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Uomini siate, e non pecore matte,
Sì che 'l giudeo tra voi di voi non rida.

(Dante: Par. c. V; v. 80, 81)
Iudicio procede da savere, Cum scritta legge receve repulsa Ecceptuando 'l singular vedere. Per una vista iudicare 'l facto Sentenzia da vertute se resulta Erro e rasone se corrumpe 'l pacto. Non iudicare, se tu non vedi, E non serai ingannato se ciò credi.
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I criteri della morale e del diritto non hanno senso se applicati ai processi storici.
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Re: [O.T.] ISLAM

#1299 Messaggio da OSCAR VENEZIA »

Ben Ali' è fuggito ,sembra a Parigi.
L'aveva piazzato li l'Italia * per stabilizzare la regione, è durato 23 anni.
Chi c'è, se c'è qualcuno, dietro questi fatti ?



* (l'ammiraglio Fulvio Martini con una delle più riuscite operazioni del Sismi, riuscendo ad arrivare prima dei francesi)
Barabino libero!

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JoaoTinto
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Re: [O.T.] ISLAM

#1300 Messaggio da JoaoTinto »

Mal di Tunisia
Perché la rivolta può contagiare anche Egitto e Marocco.
di Federica Zoja

Tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi. Quelli nordafricani sembrano emergere uno a uno in questo primo scorcio di 2011 con lo scoppiare, quasi in contemporanea, delle rivolte tunisina e algerina. E sono in molti a chiedersi se l’Egitto e il Marocco potrebbero essere contagiati dalle medesime rivendicazioni, sull’onda di un effetto domino.
Forse, ma con alcune differenze radicali, ha risposto a Lettera43.it la ricercatrice Maria Cristina Paciello, esperta di Nord Africa per l’Istituto di affari internazionali di Roma (Iai), appena tornata da una trasferta in Tunisia, dove l'11 gennaio sono state chiuse scuole e università: «Nei prossimi anni prevedo una situazione di sostanziale instabilità per l’intera regione del Nord Africa e del Medio Oriente, ma tengo a precisare che i fattori scatenanti, a mio avviso, saranno diversi».

Con la crisi, si è rotto patto cittadini-Stato

«La rivolta tunisina non è assimilabile alle altre», ha dichiarato la ricercatrice, sbarrando il campo a quelle che sono state, a suo parere, interpretazioni sbagliate dei media.
Innanzitutto, a innescare la miccia è stato il suicidio del 26 enne Mohammed Bouazizi, laureato disoccupato cui la polizia ha tolto il banco con cui vendeva frutta e verdura al mercato. Per la disperazione, Bouazizi si è dato fuoco, imitato, nei giorni successivi, da altri tre connazionali.
Se in Tunisia, dunque, tutto ha avuto inizio con un gesto estremo motivato dalla disoccupazione giovanile, in Algeria l’“incendio” è divampato, il 4 gennaio, a causa del rialzo abnorme dei prezzi dei beni alimentari essenziali. Due cause scatenanti di tipo economico, ma diverse. Così era stato anche in Egitto nel 2008, quando i cereali sono stati al centro di un complesso incrocio di fattori: aumento della domanda, crollo dell'offerta e speculazione.
RIVOLTA SENZA PRECEDENTI. «Poi, in Tunisia non ci sono precedenti del genere», ha sottolineato Paciello, aggiungendo che, dal momento in cui Ben Ali (il presidente Zine Abidine Ben Ali) è andato al potere, nel 1987, «il regime ha soffocato qualsiasi dissenso senza esitazioni». Mentre in Algeria, si erano già registrati svariati episodi di insofferenza sociale sfociata in rivolta di piazza.
In Tunisia, nel 2008, le contestazioni ebbero il loro epicentro nell’area di Gafsa: «Sono durate alcuni mesi, ma non si sono estese alle altre città a causa dell’intervento delle forze dell’ordine, che stroncarono il tutto. Poco o niente si è saputo all’esterno del Paese».
La protesta esplosa a metà dicembre 2010, invece, è tanto più forte quanto inaspettata in un Paese che la vulgata vorrebbe stabile, moderato, in via di sviluppo.
GIOVANI IN PRIMA LINEA. I giovani costituiscono la chiave di lettura delle rivolte: la disoccupazione li tocca per il 30%, rispetto a una media intergenerazionale del 14%. Nelle zone più svantaggiate del centro-sud è disoccupato il 40% dei giovani. La mancanza di impiego è ancora più frustrante, visto «l’alto tasso di istruzione della società tunisina». Ne consegue che nel piccolo Paese nordafricano, con una popolazione di appena 10 milioni di abitanti, la classe media è consistente e gode di servizi sociali di buon livello, «senza paragoni in Algeria, Egitto o Marocco».
MODELLO ENTRATO IN CRISI. Ma se istruzione e qualità della vita sono al di sopra della media nordafricana, perché è proprio quel modello sociale ad aver scricchiolato per primo in Nord Africa? «Era basato sull’equazione fra elargizioni generose dello Stato e regime autoritario assoluto», ma nel momento in cui, sull’onda della crisi economica che ha investito l’Unione europea, partner privilegiato della Tunisia, il primo fattore è venuto meno, «il patto tacito fra cittadini e Stato si è rotto».
E «ora i giovani non hanno più niente da perdere», ha spiegato Paciello.

Complicità e miopia dell'Unione europea

Se ciò è vero, cioè che i ragazzi tunisini non temono di perdere la vita negli scontri con le autorità (sono almeno 50 le vittime della prima settimana di guerriglia), allora nell’indifferenza internazionale sta muovendo i primi passi una guerra civile a pochi kilometri dalle coste italiane. «Trovo inaccettabile il silenzio europeo», ha denunciato la ricercatrice, «le cui politiche di prevenzione della minaccia islamista in Nord Africa si sono dimostrate fallimentari».
NESSUNO SPAZIO AL DISSENSO. Lo spauracchio del terrorismo estremista o della presa del potere da parte di movimenti politici di matrice islamista (reale in Egitto e Algeria) ha permesso a regimi autoritari spietati di installarsi, “ingrassare” e durare nel tempo, spazzando via il dissenso. «Nessuno lo dice, ma in Tunisia la situazione è più grave che altrove: in Egitto, Marocco, Algeria, un minimo di discussione politica, di dibattito sui media o nella vita di tutti i giorni, è possibile. Non c’è pluralismo politico reale, certo, ma entro certi limiti si può parlare. In Tunisia, invece, i singoli individui non possono fare sentire la propria voce. La censura su web è raffinata, paragonabile a quella cinese».
Insomma, la democratica Europa ha chiuso più di un occhio sulle violazioni dei diritti umani in cambio della stabilità a ridosso del suo confine meridionale. Ed, evidentemente, ha fallito.

Soluzioni economiche e politiche

«Per la Tunisia», ha commentato la ricercatrice, «una soluzione prettamente socio-economica non sarà sufficiente, perché riforme di tipo economico (come quelle annunciate, il 10 gennaio, dal presidente Ben Ali per la creazione di 300 mila posti di lavoro) non avranno alcun effetto in un Paese in cui corruzione, abusi di potere, violazioni dei diritti dilagano», azzoppando sul nascere uno sviluppo di lungo periodo.
«Senza soluzione politica, qualsiasi riforma cadrà nel vuoto», ha dichiarato con amarezza Paciello, dicendosi scettica sulla disponibilità del regime tunisino ad aperture politiche.
I MOVIMENTI DI OPPOSIZIONE. E Paciello è pessimista anche sulla capacità dei movimenti di opposizione di dare consistenza e organizzazione alla protesta. «Rispetto a Egitto, Giordania e Marocco non esistono movimenti islamisti, che in quei Paesi rappresentano l'unica vera opposizione. Le opposizioni laiche tunisine, poi, fragili e immature, temono repressione e non alzano la voce».
Se si giungerà alla resa dei conti, il regime vincerà su tutta la linea e non concederà niente, prevedono gli analisti, «ma questo non vuol dire che la protesta tunisina non riesploderà fra qualche anno».
E soprattutto, «grazie a internet essa potrebbe ispirare altri giovani dell’area», più consapevoli politicamente e supportati da gruppi di dissenso al potere centrale con una lunga tradizione, come in Egitto, dove il governo, nel timore di una nuova rivolta del pane e dei generi alimentari (i precedenti sono del 1977 e del 2008), ha varato misure economiche per aumentare l'import di carne e latticini.

Lunedì, 10 Gennaio 2011

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Dello stesso partito di Zine El Abidine Ben Ali e già suo Vice.

Rassemblement Démocratique Constitutionel
Costituzionale Democratic Rally


Quindi per ora "da Luigi Facta a Luigi Facta".

P. S.
http://www.monde-diplomatique.fr/carnet ... 14-Tunisie
Iudicio procede da savere, Cum scritta legge receve repulsa Ecceptuando 'l singular vedere. Per una vista iudicare 'l facto Sentenzia da vertute se resulta Erro e rasone se corrumpe 'l pacto. Non iudicare, se tu non vedi, E non serai ingannato se ciò credi.
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#1301 Messaggio da dostum »

Palle in Marocco l'esercito spara.
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JoaoTinto
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Re: [O.T.] ISLAM

#1302 Messaggio da JoaoTinto »

In Tunisia e Algeria non c’è la stessa crisi
di Stefano Torelli

Le rivolte contro Bouteflika e Ben Alì sono contemporanee ma nascono da problemi diversi. Ad Algeri ci si ribella contro la povertà, e l'estremismo islamico è in agguato. A Tunisi è in discussione la legittimiità stessa del regime.

Malgrado analisti e stampa nostrana si ostinino ad accomunarle, le crisi in Algeria e Tunisia sono diverse.

Certo, ci sono alcuni fattori congiunturali in comune, come la natura dei regimi e la loro risposta repressiva alle proteste di piazza, ma i due paesi hanno caratteristiche molto differenti.

Una simlitudine è politica: si tratta di due regimi mascherati da repubbliche, i cui presidenti sono in carica rispettivamente da 24 (il settantacinquenne tunisino Bel Ali) e 12 anni (il settantaquattrenne algerino Bouteflika).

Sono due paesi in cui ogni elezione è puntualmente contestata e sembra esservi poco o nessuno spazio per le opposizioni, siano esse di natura politica o socio-culturale.

Ciò, del resto, accomuna Algeri e Tunisi alla maggior parte del mondo arabo, dall’Egitto alla Libia, dalla Siria alle monarchie del Golfo. Le similitudini finiscono qui.

L’Algeria è reduce da una guerra civile costata circa 100mila morti e che risale agli anni Novanta. Il processo di pacificazione interna, se davvero è mai iniziato, non si è ancora concluso.

Gli estremisti islamici, dalla cui democratica vittoria elettorale (non riconosciuta dall’allora governo algerino, che per ovviare alla sconfitta appoggiò un golpe militare) scaturì il conflitto civile, hanno solo cambiato nome.

Ora si chiamano Al Qaida nel Maghreb, insieme ad altri gruppi terroristici dell’area. In Algeria, nel silenzio più totale dei media occidentali, continua ad esserci un attentato contro obiettivi governativi ogni settimana e i morti si contano a centinaia.

Sintomo di uno Stato ancora a rischio, sicuramente il più instabile nel quadro maghrebino, pronto ad esplodere alla prima avvisaglia.

La Tunisia, al contrario, è sempre stata ritenuta uno dei paesi più stabili dell’area, con poche rivolte sociali e un livello di benessere più elevato, così come un sistema di leggi più “liberale”, per esempio nel campo del diritto di famiglia.

Ma la stabilizzazione ha un prezzo: la mancanza di libertà. Secondo tutte le classifiche stilate da Freedom House Tunisi è all’ultimo posto in Maghreb in quanto a libertà e diritti civili e politici e per ciò che concerne la libertà di stampa.

Poi c’è internet, lo strumento di comunicazione da cui oggi può partire una rivoluzione sociale. Ebbene, Tunisi è al penultimo posto mondiale nella classifica della libertà su internet, seconda solo alla Cina e in compagnia di Cuba.

L’Algeria, sebbene non sia esente da problemi di questo genere, è più concentrata nel tentare di ricostruire la propria identità sociale e cercare di estirpare l’estremismo islamico.

Dal punto di vista economico, la Tunisia è vista come uno dei paesi più dinamici della regione, ma in realtà, sempre che ciò possa costituire da solo un fattore positivo di crescita e sviluppo, semmai è uno dei più aperti.

Per aperto si intende che ha più accordi degli altri Stati dell’area con l’Unione Europea, per esempio. Oppure che arrivano flussi di turisti, circa 8 milioni l’anno, che arricchiscono in parte il paese, incapace comunque di sfruttare appieno le proprie potenzialità.

Ci sarà pure un motivo se l’Egitto nel 2009 ha attirato quasi 13 miliardi di dollari di investimenti diretti esteri, l’Algeria quasi 15 e la Tunisia a malapena 2.

Algeri raccoglie tanti investimenti perché ha il petrolio e soprattutto il gas, e può quindi essere considerata a tutti gli effetti un rentier State, il che la rende completamente diversa dalla Tunisia, impegnata a cercare nuovi spazi di sviluppo e di occupazione.

Sia la Tunisia sia l’Algeria affrontano livelli di disoccupazione impressionanti, intorno al 13-15%. E sono solo cifre ufficiali, mentre alcuni parlano di un tasso al 30%, in Stati dove la popolazione sotto i 30 anni è la stragrande maggioranza.

Anche qui, le analogie si fermano a questo dato. Per Algeri il petrolio e il gas costituiscono un fardello - non tanto per la crescita, quanto per lo sviluppo - più che un’opportunità.
 
Le giganti imprese pubbliche energetiche assorbono la forza lavoro, tarpando le ali all’iniziativa privata e alla possibilità di nuovi spazi per l’occupazione.

In uno Stato instabile per via dell’islamismo radicale, ciò costituisce un possibile fattore di crisi.

La Tunisia ha lo stesso problema della disoccupazione, ma potrebbe risolverlo, grazie anche alle iniziative promosse dall’Occidente e dall’Ue, con programmi di sviluppo più incisivi.

Il problema, come detto, rimane la repressione delle idee. In questo la Tunisia è più simile all’Iran dell’onda verde che all’Algeria.

A Tunisi va in scena la battaglia di giovani che vogliono maggiore spazio; ad Algeri, nell’ombra e da anni, qualcosa di più complesso e che difficilmente potrà essere risolto nel breve-medio termine.

La Tunisia deve lottare con una classe dirigente che non ammette opposizioni e che non è abbastanza spronata da fuori per proporre il cambiamento.

Algeri deve ancora risolvere problemi di fondo ben più grandi, prima di confrontarsi con i giovani che vogliono far sentire la propria voce.

In uno scenario simile, irrompe l’aumento dei prezzi dei generi alimentari di base, fenomeno per nulla nuovo nell’area, come dimostrato dalla ciclica protesta degli egiziani per gli stessi motivi.

È vero che di base vi è la difficoltà nel creare nuovi posti di lavoro, che frustra le giovani generazioni al punto da arrivare al suicidio e alla rivolta di piazza, ma sarebbe fuorviante trattare le due crisi come due facce di una stessa medaglia.

In Algeria vi è una rivolta di tipo socio-economico, mentre in Tunisia è soprattutto politica. Ad Algeri c’è la rabbia di cittadini che non hanno punti di riferimento e che, nel senso letterale del termine, hanno fame. E la situazione è resa potenzialmente più grave per via dell’islamismo radicale.

La Tunisia chiede un cambio di regime, fa una protesta di tipo prettamente politico e questo preoccupa ancora di più l’élite al potere, che infatti sta rispondendo con una repressione molto più decisa di quella algerina, essendo messa in discussione la stessa legittimità del governo.

Come accennato, la rivolta in atto in Tunisia ricorda quella iraniana dell’estate del 2009 e, non a caso, la risposta è uguale. Che tale ribellione possa propagarsi anche in Marocco sembra alquanto inverosimile.
 
Il Maghreb e il Medio Oriente in senso più ampio sono abitati da attori differenti.

Lo studio delle condizioni strutturali di tali attori costituirebbe una buona base di partenza per analizzare i fenomeni politici e sociali evitando facili generalizzazioni.
(13/01/2011)

Una nuova pagina per la Tunisia
di Stefano Felician

Pochi giorni di rivolta hanno costretto alla fuga uno dei più longevi dittatori del Nordafrica. Se arriverà la democrazia, Tunisi sarà un caso isolato o un modello per l'area?

Da alcuni giorni l’Africa del Nord è sotto gli occhi dei riflettori internazionali per delle manifestazioni di popolo che hanno infiammato diversi Stati.
 
Se questi comportamenti possono rientrare in una sorta di "dialettica” politica, in Tunisia è avvenuto l’incredibile: il presidente Zine Abdine Ben Alì, in carica da 23 anni e reputato “uomo forte” del sistema è scappato velocemente nella notte del 14 gennaio diretto in Arabia Saudita.

Appena nel 2009 aveva vinto le elezioni con quasi il 90% dei consensi, anche se vi erano stati forti dubbi sull'effettiva validità di questi risultati.

Tunisi nell’arco di pochi giorni ha visto cambiare completamente la propria politica interna, con effetti potenzialmente rivoluzionari per il mondo arabo.

La Tunisia è sempre stata considerata una nazione abbastanza avanzata nell’area.
 
L’eccezionale stabilità di cui ha goduto (due soli presidenti dall’indipendenza negli anni ’50, cioè Bourguiba e Ben Alì) e l’essere riuscita a non farsi invischiare nel delicato contesto regionale - i paesi confinanti sono Algeria e Libia - le hanno permesso di ricavarsi un’aura di rispettabilità internazionale e di affidabilità che moltissimi paesi africani non potrebbero nemmeno immaginare.

In più l’attiva partecipazione di Tunisi alle missioni di peacekeeping in Africa e non solo (Albania, Cambogia, Haiti) ha dato al mondo l’immagine di un paese pacifico e moderato, voce quasi unica nel contesto africano.

Il prezzo di questa stabilità è stato però elevato per il popolo tunisino, le cui libertà fondamentali, compresa quella di stampa, sono state represse.

Dopo la deposizione di Bourguiba con un “golpe sanitario” ad opera di Ben Alì - con la scusa che l’ex presidente era “troppo vecchio” per ricoprire l'incarico - dal 1987 nulla è cambiato nell’assetto di potere tunisino.
 
Fino a pochi giorni fa ovunque nel paese capeggiavano enormi ritratti, sempre sorridenti, di Ben Alì; oggi tutto questo sembra passato da anni.

Il vento rivoluzionario che ha spazzato via il vecchio sistema spirava già da quasi un mese. C’erano state manifestazioni e proteste, tutte fermamente represse dalla polizia.

Lo stesso Ben Alì in un discorso a fine dicembre aveva condannato le rivolte bollandole come “estremiste”. Nonostante questo le agitazioni sono continuate.

Il 13 gennaio un presidente diverso dal solito, dicono alcuni commentatori, ha incredibilmente annunciato maggiore libertà di stampa e l’intenzione di non ricandidarsi più nel 2014; le proteste sono comunque continuate fino all’epilogo finale.

Il 14 gennaio, dopo 23 anni di potere Ben Alì ha precipitosamente lasciato la Tunisia, rifugiandosi in Arabia Saudita.

In pochi giorni il sistema di sicurezza nazionale, così fortemente gestito da Ben Alì, in termini fisici si è semplicemente sublimato, mentre nelle strade la popolazione si lasciava andare in balli e celebrazioni.

A fianco di queste sono iniziati in giro per il paese saccheggi e devastazioni, con qualche morto. Dalle immagini che giungono si vedono militari e carri armati nelle strade, mentre per diverse ore lo spazio aereo nazionale è stato chiuso.

A parte gli aspetti di ordine pubblico, rimangono degli interrogativi politici di grande importanza. Occorre capire come si svilupperà la transizione interna della Tunisia: diversi scenari sono possibili.

Al momento le figure che hanno rimpiazzato Ben Alì provengono tutte dal suo entourage; sono ben noti burocrati che già nel vecchio governo avevano posizioni apicali: ciò spiega perché molte persone continuino a diffidare di questi leader.
 
L'eventualità del ritorno del presidente sembra affievolirsi col passare dei giorni. Uno dei possibili esiti della vicenda potrebbe essere la continuazione, nella mani di altri soggetti, del medesimo sistema precedente.

Ipotesi difficile, sia perché la reazione degli ambienti filogovernativi è stata molto blanda sia perché sembra che il popolo tunisino cerchi altre soluzioni che non la continuazione dell’autoritarismo.

Un'alternativa è la creazione di una democrazia vera e propria: un unicum nel mondo arabo.

Questa soluzione, che emotivamente può coinvolgere ed apparire migliore, apre però una serie di problemi geopolitici decisamente nuovi.

Problemi riassunti in una recente analisi di Al-Jazeera, intitolata “Ai tiranni del mondo arabo”, nella quale si sostiene che se l’esperimento democratico tunisino avrà successo potrebbe diventare un paragone (ed un esempio) per molti altri Stati arabi, costituendo un precedente molto rilevante.

Recita l’articolo: "il popolo tunisino ha parlato e il mondo arabo stava ascoltando": secondo diverse analisi si potrebbe ipotizzare un effetto domino seguente alla svolta di Tunisi.

Sono valutazioni da fare solo dopo che il piccolo paese africano sarà riuscito a ristabilire l’ordine e un assetto governativo effettivo.

Se però la Tunisia evolvesse verso una democrazia, questo avvenimento non potrebbe passare inosservato nel contesto regionale e fors’anche oltre.

Per il momento il dado è tratto: il mondo arabo (o una parte di questo) osserva gli sviluppi tunisini con un misto di curiosità e ammirazione, commentando anche sui social network.

Secondo un'analisi della BBC anche Facebook, Twitter e internet hanno giocato la loro parte in queste giornate convulse, nonostante le restrizioni del governo: i dati dell’emittente inglese indicano che il 34% della popolazione ha accesso ad internet e facebook è utilizzato da quasi due milioni di persone (su circa 10 milioni).

La situazione del paese appare ancora incerta e magmatica, nonostante il governo stia cercando di stabilizzarla il prima possibile: per ora sembra che le sorti della Tunisia non siano (più) confinate alle sole stanze degli ambienti governativi.
(17/01/2011)

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Iudicio procede da savere, Cum scritta legge receve repulsa Ecceptuando 'l singular vedere. Per una vista iudicare 'l facto Sentenzia da vertute se resulta Erro e rasone se corrumpe 'l pacto. Non iudicare, se tu non vedi, E non serai ingannato se ciò credi.
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Re: [O.T.] ISLAM

#1303 Messaggio da Lonewolf »

Mosca, esplosione in aeroporto: 35 i morti e decine i feriti
Lunedí 24.01.2011 17:30

Si aggrava il bilancio dell'attentato all'aeroporto Domodedovo di Mosca dove un kamikaze si è fatto saltare in aria: almeno 35 i morti, un britannico e altri stranieri e 130 i feriti, tra cui un italiano. L'esplosione all'aeroporto Domodedovo di Mosca, avvenuta alle 16,32 locali (le 14,32 italiane), è stata enorme. Di una forza tale da far cadere tutta la neve dal tetto dell'edificio.

Un kamikaze con addosso 5/7 chili di tritolo si è fatto esplodere nell'area delle salette vip, vicino al ristorante Asia Cafè, dello scalo Domodedovo, il più grande di tutta la Russia. La polizia ha trovato i resti del kamikaze. Si tratterebbe di un trentenne dai tratti somatici arabi. La procura di Mosca ha aperto un'inchiesta per terrorismo. Ci sono già tre ricercati per l'attentato, tre uomini che da qualche tempo vivrebbero nell'area di Mosca, ha fatto sapere una fonte investigativa.

I SERVIZI ERANO STATI AVVERTITI. I servizi segreti russi erano stati avvertiti "almeno una settimana fa" che qualcuno aveva pianificato un attentato contro uno degli aeroporti di Mosca. Lo riferisce una fonte dei servizi di sicurezza.

FERITI- I feriti sono stati ricoverati in cinque ospedali moscoviti tra cui il principale pronto soccorso nel centro della capitale russa. Testimoni oculari riportano scene di terrore con molte persone, alcune mutilate, che girano per l'aeroporto insanguinate e fumo ovunque. La polizia ha dovuto abbattere un muro per evacuare la sala.

I voli in arrivo sono stati deviati su altri scali. Secondo l'ordine diretto del presidente russo Dmitri Medvedev è stata rafforzata la sicurezza negli altri aeroporti di Mosca, Vnukovo e Sheremetyevo, e al Pulkovo di San Pietroburgo. Il presidente, parlando durante una riunione di emergenza al Cremlino, ha confermato l'atto terroristico e assicurato che i colpevoli saranno catturati e puniti: "Occorre instaurare un regime speciale per garantire la sicurezza", ha detto Medvedev. La polizia sta sorvegliando tutte le stazioni ferroviarie e la metro, mentre è stato disposto un servizio di emergenza in tutti gli ospedali della capitale.

LA PRIMA VOLTA A MOSCA- E' la prima volta che un terrorista colpisce un aeroporto di Mosca. L'ultimo attacco alla capitale russa risale al marzo dello scorso anno, quando due donne kamikaze si fecero esplodere nella metropolitana 1 uccidendo 40 persone. La prima, 17 anni, si fece esplodere alle 7:56 durante la fermata di un convoglio alla stazione Lubianka e 40 minuti dopo un'altra donna azionò il suo ordigno alla stazione di Park Kulturi, vicino al Gorki Park. La prima era daghestana e la seconda cecena. La responsabilità allora ricadde su un gruppo terroristico legato al Caucaso del Nord.

LA FARNESINA- L'ambasciata e il consolato generale d'Italia a Mosca stanno verificando l'eventuale presenza di italiani tra le vittime dell'esplosione. I voli dall'Italia non arrivano in questo scalo ma in quello di Sheremetyevo, tuttavia non è ancora possibile escludere la presenza di connazionali. L'aeroporto internazionale Domodedovo di Mosca è lo scalo civile più grande della Federazione russa per numero di passeggeri (nel 2010, 22,5 milioni di persone). Si trova 22 chilometri a sudest di Mosca e fu inaugurato nel 1965. Dal 2003, la torre di controllo è in grado di gestire oltre 70 decolli e atterraggi ogni ora. Il Domodedovo è in piena espansione: l'anno prossimo dovrebbe essere completato il terminal T3 che incrementerà la capacità dello scalo fino a 24-28 milioni di passeggeri l'anno.

LE REAZIONI/ "Ho appreso con vivo sgomento dell'esplosione che ha colpito oggi l'aeroporto internazionale di Domodedovo, costata numerose vite umane e dietro la quale si profila una vile azione terroristica", afferma il presidente della Repubblica, Napolitano. "In questo tragico frangente, l'Italia, unita al suo Paese da tradizionali vincoli di profonda amicizia, si stringe al popolo russo, con il quale condivide la piu' intransigente opposizione alla follia del terrorismo. Desidero pertanto trasmetterle a nome mio personale e di tutto il popolo italiano le espressioni del piu' sentito cordoglio".

"A nome mio personale e dell'intero Governo esprimo la ferma condanna del vile attentato terroristico all'aeroporto di Mosca", afferma il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. "Alle famiglie delle vittime, all'amico popolo russo e ai suoi leader vanno il nostro cordoglio e la nostra vicinanza".

Dura condanna del presidente americano, Barack Obama. "Condanno fermamente questo atroce atto di terrorismo contro il popolo russo", ha affermato il presidente Usa. Il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, ha assicurato che gli Stati Uniti sono pronti a garantire ogni tipo di assistenza a Mosca.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 67573.html
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Re: [O.T.] ISLAM

#1304 Messaggio da Mr. G »

Interessante da leggere, anche se lunghetto :)

RIVOLUZIONI COLORATE: TUTTO SECONDO I PIANI
DI GIANLUCA FREDA


Le rivolte in Nord africa e Medio Oriente divampate nel corso di questo mese si sono guadagnate l’attenzione del mondo e il consueto florilegio di commenti e interpretazioni di diverso e spesso opposto tenore. Molti vedono nelle rivolte un’ennesima applicazione dello strumento, ormai rodato, delle “rivoluzioni colorate” targate CIA e National Endowment for Democracy, attraverso le quali gli Stati Uniti tentano spesso di ricondurre nella propria orbita d’influenza governi non fedeli al “Washington Consensus” o titubanti sulla conservazione della fedeltà. Altri, come l’autorevole Maurizio Blondet, sembrano vedere nella rivolta dei popoli arabi una “ribellione spontanea della gente”, un tentativo di affrancamento delle tradizionali colonie arabe di USA e Israele dalla tirannia imposta dai fantocci governativi insediati al potere da queste nazioni internazionalmente o localmente dominanti. Dico come la penso, ben sapendo che la situazione è complessa ed in via di rapida evoluzione e dunque presta il fianco a possibili errori d’interpretazione che si dovranno eventualmente correggere sulla base dei nuovi sviluppi.

Da quel che ho visto fin qui, non mi sembra affatto che questa nuova ondata di “proteste” esuli dallo schema delle “rivoluzioni colorate” americane che abbiamo visto attuate (o tentate) in innumerevoli zone del globo, dalla Cina all’Europa dell’est, dalla Thailandia all’Iran. Naturalmente spero che abbia ragione Blondet e che queste rivoluzioni programmate e attuate con gran dispendio di strumenti d’intelligence dai servizi segreti americani finiscano – vuoi per improvvisa maturazione politica dei cittadini in rivolta, vuoi per l’intervento di una delle potenze economico/politiche attualmente in ascesa - per sfuggire di mano ai loro ideatori e per produrre quella “eterogenesi dei fini” che rappresenterebbe, per i piani americani e israeliani sul Medio Oriente, uno smacco colossale e forse definitivo. E’ già accaduto molte volte che queste operazioni fallissero o si trasformassero in un boomerang per i loro artefici. Basti pensare a quanto avvenne in Cina nell’89 o più recentemente nel tentato e miserevolmente abortito colpo di stato elettorale in Iran del 2009. Ma nulla di ciò che ho visto fino a questo momento mi lascia sperare che le cose vadano in questa direzione.

Prima di tutto, vorrei far notare che una regia dell’intelligence americana dietro queste sollevazioni appare indiscutibile. Per capirlo, basterebbe ascoltare le dichiarazioni di Obama e della Clinton degli ultimi giorni. Tali dichiarazioni sono tutte a favore del “popolo in armi” e seccamente contrarie alla permanenza al potere degli antichi e ormai decrepiti burattini atlantici. Non solo: la Clinton non si è limitata ad esprimere la propria simpatia verso il “desiderio di democrazia” di queste masse ribelli, ma ha utilizzato quanto avvenuto in Tunisia come strumento esplicito di minaccia e pressione politica sugli altri governi arabi. “Coloro che si aggrappano allo status quo, possono riuscire ad evitare il pieno impatto con i problemi dei loro paesi per qualche tempo, ma non in eterno” , aveva detto la Clinton in un intervento a Doha, in Qatar, il 13 gennaio di quest’anno, in piena rivolta tunisina. Se non è un “obbedite o guai a voi” ci somiglia molto. Perfino dopo l’intervento televisivo di Mubarak, che ha promesso di abbandonare il potere entro settembre prossimo, la reazione degli Stati Uniti è stata improntata all’impazienza e alla minaccia, con ripetuti inviti al presidente egiziano affinché abbandoni ad altri la poltrona senza porre ulteriori indugi.

Oltre a ciò, le rivolte presentano alcuni segnali inconfondibili di progettazione CIA: l’utilizzo di social network come Facebook e Twitter nell’organizzazione delle proteste, già visto in Iran e puntualmente ribadito in questa nuova infornata di sollevazioni popolari; i cartelli di protesta dei rivoltosi arabi con slogan scritti rigorosamente in inglese, affinché le plebi occidentali possano simpatizzare per via mediatica con i valorosi ribelli del Maghreb o dell’Egitto; l’utilizzo mediatico preliminare di “eroi” che si immolano per la causa, come la Neda iraniana o come il tunisino Mohamed Bouazizi (non voglio riaprire un nuovo “caso Neda”, ma anche sulla vita e sulla morte di Bouazizi esiste perlomeno un discreto numero di perplessità); il fatto che la maggior parte dei manifestanti non appartenga alla classe più povera, ma al ceto medio, l’unico, del resto, che può permettersi Facebook e Twitter; l’utilizzo, nel caso della ribellione tunisina, di una denominazione (“Rivoluzione dei Gelsomini”) che non solo richiama alla memoria altre operazioni floreali della CIA (la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia o quella “dei Tulipani” in Kirghizistan), ma addirittura recupera dalla soffitta un termine identico a quello utilizzato nelle comunicazioni CIA del 1987, durante l’operazione che estromise Bourghiba dal potere tunisino per sostituirlo con l’allora più fedele Ben Ali; il fatto che siano stati utilizzati in Tunisia cecchini di origine straniera (in questo caso tedeschi e svedesi) per sparare sulla folla e farla inferocire; e varie altre cose.

Del resto, se la speranza dei manifestanti borghesi di Egitto e Tunisia era quella di migliorare le proprie condizioni economiche e quelle del proprio paese, forse la scelta migliore sarebbe stata quella di restarsene a casa. Moody’s, ad esempio, ha già ritoccato al negativo il rating del debito sovrano tunisino, a causa dell’instabilità politica del paese provocata dal rovesciamento del governo. Il tutto senza che il “cambio di regime” prodotto dalla sollevazione migliorasse minimamente le prospettive economiche o occupazionali del paese; che saranno anzi soggette ad indebolimento ulteriore non appena il balletto delle “elezioni democratiche” verrà messo in scena, con tutto il suo seguito di instabilità politica, incertezza degli investitori e frazionamento dell’azione politica di governo.

Molti sono perplessi sui motivi che avrebbero portato gli Stati Uniti ad estromettere dal potere uomini che loro stessi avevano insediato alla guida degli stati arabi e che erano considerati alleati di ferro. Per quale motivo gli Stati Uniti avrebbero dovuto organizzare e fomentare queste rivolte contro governanti ritenuti tra i più fedeli esecutori dell’agenda israelo-americana e abbondantemente foraggiati dall’impero con sostanziosi emolumenti annuali? Tali operazioni, in realtà, non sono affatto nuove, come ben dimostra la fine fatta fare dagli USA all’antico “alleato” Saddam Hussein. I quisling dell’Impero, col passare dei decenni, invecchiano, acquisiscono potere politico assoluto all’interno delle loro nazioni, si ritrovano privi di opposizione, progettano di dar vita a dinastie ereditarie che rendano perpetua la permanenza al potere del proprio entourage familiare, si arricchiscono attraverso commerci e soperchierie di vario genere, e la ricchezza li rende più disinvolti e liberi di tradire gli antichi padroni stipulando nuove alleanze. Ciò rende necessaria una loro periodica sostituzione con nuovi e più obbedienti esecutori.

Prendiamo Ben Ali: costui, nel 2000, si era smarcato da Israele rompendo ogni relazione diplomatica con l’entità sionista; nel 2003 aveva rifiutato ogni cooperazione con la “coalizione dei volonterosi” che aveva invaso e fatto a pezzi l’Iraq; nel 2009 (cosa più grave di tutte) aveva firmato accordi di cooperazione economica e di scambio tecnologico con la Cina; la sua abolizione delle barriere commerciali con l’Unione Europea, vivamente caldeggiata dagli USA, era stata poco più che un’operazione di facciata. Ben Ali, con la sua famiglia che deteneva il quasi totale monopolio degli appalti tunisini, era divenuto un alleato infido e pericoloso, pronto a smarcarsi dai vecchi referenti grazie a disinvolte alleanze con i paesi emergenti. Com’è evidente, andava sostituito al più presto. Possibilmente con una nuova classe di governo, non troppo lontana dalle linee della vecchia, che fosse però sufficientemente divisa, litigiosa e priva di ricchezza personale (dunque debole) da poter essere manipolata con facilità. Magari costringendola al rito delle solite “elezioni democratiche”, che sono lo strumento principe con cui gli americani hanno sempre fatto a brandelli la stabilità politica delle nazioni. Anche noi europei dovremmo saperne qualcosa. Il governo transitorio di Ghannouchi era l’ideale per far transitare il paese verso questo desiderabile (per gli USA) obiettivo, prodromo dell’asservimento definitivo della Tunisia ai diktat atlantici.

Prendiamo Mubarak: in apparenza – e non solo in apparenza - si tratta del più devoto e fedele servitore di Israele e Stati Uniti in un’area geopolitica d’immensa rilevanza strategica. E’ ben noto il fondamentale contributo dato da Mubarak alla segregazione dei palestinesi di Gaza. Col pretesto della sicurezza nazionale contro il terrorismo e il traffico di droga, Mubarak ha ampiamente coadiuvato gli israeliani nella vergognosa politica di ghettizzazione della Palestina, chiudendo le frontiere tra la Striscia e l’Egitto e arrivando perfino a costruire un muro sotterraneo, a oltre venti metri di profondità, per impedire ai palestinesi lo scavo di tunnel attraverso i quali sfuggire alla prigionia imposta dai sionisti. Per questo e altri tradimenti della causa araba, Mubarak è odiato dai popoli del Medio Oriente e dai suoi stessi cittadini. Eppure, in tempi recenti, Mubarak aveva dato pericolosi segni di smarcamento dalla sudditanza israelo-statunitense. Il ministro egiziano per l’irrigazione, Mohamed Nasr Eddin Allam, si era rifiutato, nel giugno scorso, di ottemperare alle richieste di Israele, il quale chiedeva di poter attingere all’acqua del Nilo per il proprio fabbisogno idrico (è noto che l’Egitto vanta un diritto di esclusività sull’utilizzo dell’acqua del Nilo). Le frontiere con Gaza, lungo il valico di Rafah, sono state aperte in più occasioni negli ultimi anni e i rapporti con Israele si sono fatti assai più tesi dopo l’aggressione alla Mavi Marmara e la decisione della Turchia di chiudere i propri spazi aerei ai voli militari israeliani, minacciando la rottura definitiva delle relazioni diplomatiche con lo stato ebraico. Il pericolo di un allineamento dell’Egitto alle posizioni di Turchia, Siria e Iran si era fatto negli ultimi tempi assai più temibile, viste le posizioni ambigue e non sempre ottemperanti assunte da Mubarak. L’incidente più grave è stato forse quello dello scorso 20 dicembre, quando due israeliani e diversi cittadini egiziani sono stati arrestati dalle autorità cairote con l’accusa di aver organizzato una rete di spionaggio al fine di attentare agli interessi del paese e destabilizzare la penisola del Sinai, punto di congiunzione strategico tra il Nord Africa e il Medio Oriente. La reazione dei servizi segreti israeliani non si è fatta attendere: 11 giorni dopo, ad Alessandria d’Egitto vi è stata la strage di cristiani copti (attribuita alla solita Al Qaeda (che tutti i governi fantoccio della regione sanno ormai essere un’organizzazione fondata e gestita congiuntamente dall’intelligence americana e israelia na), strage che rappresentava il primo, chiaro avvertimento. a Mubarak. Venti giorni dopo, con l’inizio della rivolta, l’operazione di rimozione del vecchio e non più fedele maggiordomo è entrata nel vivo.

Da quel che si è visto fin qui, Mubarak verrà probabilmente sostituito da Omar Suleiman, capo del Jihāz al-Mukhābarāt al-Āmma, il più potente dei servizi d’intelligence egiziani. Suleiman è persona assai vicina alla CIA e gradita agli ambienti israelo-statunitensi. Ha ricevuto il suo addestramento all’inizio degli anni ’80 presso la scuola militare John F. Kennedy di Fort Bragg, in North Carolina. E’ lui che si è occupato, in questi anni, di trasformare l’Egitto nel “buco nero” in cui scomparivano i prigionieri catturati dalla CIA e deportati nel corso delle “extraordinary renditions”.

Una volta assicurato l’avvento di Suleiman ai vertici delle istituzioni egiziane – e scongiurata la successione alla presidenza del figlio di Mubarak, Gamal – la nobile rivoluzione egiziana è stata ricacciata nel nulla. Fantomatici gruppi di sostenitori del presidente sono comparsi nelle piazze del Cairo nell’arco di una notte, costringendo i manifestanti anti-Mubarak alla ritirata. Cecchini fantasma hanno iniziato a sparare a casaccio sulla folla, rendendo la permanenza nelle strade assai pericolosa. L’esercito ha avuto la sua fetta di torta, con la nomina a primo ministro di Ahmed Mohamed Shafiq, ex ministro dell’aviazione e persona assai gradita ai vertici militari. La stampa internazionale ha già iniziato a smorzare i riflettori sugli “epocali” eventi egiziani, che aveva tenuto in prima pagina durante il periodo necessario a garantire al popolo egiziano il sostegno internazionale che assicurasse il buon esito delle operazioni. Ora il popolo sovrano può tornarsene alle proprie case, in attesa della prossima chiamata alle armi via Twitter. Oppure in attesa delle future e probabili elezioni “democratiche”, nelle quali si fronteggeranno un fantoccio statunitense “di destra” (Suleiman) e un fantoccio statunitense “di sinistra” (El Baradei?), come avviene in tutti i più moderni e rinomati consessi di gente per bene. Arrivederci, caro popolo sovrano in lotta per la democrazia, e grazie di tutto.

La cosa curiosa è che i commentatori internazionali – guarda i casi della vita – non hanno avuto nessuna difficoltà a riconoscere le orde di “sostenitori del presidente” in azione al Cairo per ciò che realmente sono: movimenti organizzati e gestiti da poliziotti in borghese allo scopo di porre fine al teatrino della rivolta andato in onda in questi ultimi giorni. Quando però si tratta di avversatori del presidente, le capacità di discernimento dei media globali improvvisamente si appannano e tutto diventa “spontaneo”, “popolare”, “genuinamente rivoluzionario”. Neanche l’ombra di un sospetto che anche le rivolte antigovernative, esattamente come quelle filogovernative, possano essere fabbricate a tavolino. Così come si ignora volutamente che le proteste di queste giorni hanno portato in piazza una percentuale risibilmente minoritaria della popolazione egiziana (poche migliaia di persone, al massimo, nonostante le sparate dei media, che contano milioni al posto di unità), mentre la quasi totalità degli 80 milioni di persone che abitano ìl paese si è tenuta ben lontana dagli scontri e dal putiferio nelle principali città.

Anche se provo una certa ripugnanza nel dirlo, visto lo squallore morale e politico del personaggio, penso che la cosa migliore che in questo momento potrebbe capitare al popolo egiziano sarebbe un imprevisto e repentino contropiede di Mubarak, con il quale il decrepito presidente riuscisse a stroncare le rivolte, riprendersi la pienezza del potere, estromettere (e magari far giustiziare) i “collaboratori” imposti dalle potenze dominanti e recidere una volta per tutte i legami politici con queste ultime, rafforzando i contatti e gli scambi con i paesi politicamente vicini (almeno Siria e Turchia, essendo difficile pensare ad un avvicinamento all’Iran) e con le nuove potenze emergenti (Cina e Russia). Come insegna il proverbio, tutto ciò che non ammazza, ingrassa. Tutti i paesi che siano riusciti a reprimere le “rivoluzioni colorate” organizzate dalle ONG e dai servizi segreti di paesi ostili, hanno poi goduto di un avvenire economicamente florido, politicamente stabile e strategicamente autonomo.

La Cina, dopo la sanguinosa repressione dell’89 a Tian-an-Men, iniziò l’ascesa che l’ha portata a diventare la seconda potenza economica mondiale che è oggi (ma presto sarà la prima).

La Russia, ridotta in condizioni miserande dopo la rivoluzione “anticomunista” di Eltsin dell’estate 1991, è riuscita a riconquistare un ruolo internazionale di primo piano grazie all’ascesa di Vladimir Putin, che ha ripreso le redini del paese, facendo piazza pulita degli oligarchi filo-occidentali che stavano per fare a pezzi le risorse industriali ed energetiche del paese con la gioiosa collaborazione delle “democrazie” dominanti.
br> L’Iran, dopo il fallito colpo di stato elettorale del 2009 ad opera del miserabile Mousawi, si è rafforzato sul piano politico, economico, militare, diplomatico e delle risorse energetiche, riuscendo a mandare in porto il programma nucleare tanto temuto da Israele e stringendo più stretti rapporti di cooperazione politica e commerciale con i paesi della SCO.

Qualcosa di simile si potrebbe dire per il tentato colpo di stato del 2002 contro Chavez, in Venezuela, in occasione del quale i media internazionali si fecero in quattro per presentare il nuovo golpista filoamericano, Pedro Carmona Estanga, come legittimo titolare del governo, tacendo sulle sue repressioni sanguinose e sulla ribellione popolare che riportò Chavez al potere nel giro di pochi giorni. Anche in questo caso, il fallimento del golpe portò ad un enorme miglioramento delle condizioni del paese.

Se Mubarak sopravvivesse, traendo le debite conclusioni da ciò che è accaduto ed elaborando per il futuro i necessari programmi di sganciamento dall’orbita israelo-statunitense, forse i manifestanti che in questi giorni hanno pianto e strillato in piazza la propria rabbia per il declino del paese – sotto l’attenta regia dei media e degli organizzatori della kermesse – potrebbero davvero ottenere il “salto verso lo sviluppo” che desiderano, sebbene nel più impensabile e insospettato dei modi.

Ma è assai improbabile che ciò avvenga. La “rivoluzione color merda” egiziana sembra aver funzionato come un orologio e proprio oggi Suleiman, novello dirigente dell’antica colonia, si è presentato in TV per avvertire la comunità internazionale – e in second’ordine il popolo egiziano – che è lui il nuovo tenutario della baracca, mentre Mubarak resterà al suo posto solo per un periodo limitato e con poteri puramente formali. Ha già provveduto a chiedere la formazione di un “governo tecnico”, entità immancabile quando, zittite le fanfare della “rivoluzione”, si passa a svendere ai padroni ciò che rimane dell’impalcatura industriale ed economica di un paese. Noi italiani dovremmo saperne qualcosa, dopo “Mani Pulite” e lo scempio compiuto dai “governi tecnici” che ne seguirono. Ha anche provveduto a riunire un “comitato di saggi” composto da operatori dell’economia e dell’imprenditoria nazionale, cioè uno stormo di avvoltoi, probabili predatori della carcassa dell’economia nazionale nel nuovo Egitto di rinnovata fedeltà vassallatica. Il tempo rimasto per salvare l’Egitto dalla sorte ignominiosa di trasformarsi in una nuova, impotente “democrazia” non è molto e i giochi sembrano ormai pressoché conclusi. Certo, l’ultima parola sulla rivolta egiziana non è ancora stata scritta. Ma mi sembra improbabile che a scriverla possa essere il popolo egiziano, tanto pronto a strillare (con tutte le ragioni del mondo, s’intende) contro il dispotismo dei suoi governanti, quanto incapace di elaborare una strategia di lotta che gli impedisca di rendersi manipolabile e di cadere nelle grinfie di personaggi perfino più loschi di quelli che si agita per destituire. In questo ricorda molti altri popoli, alcuni di mia lunga e desolata conoscenza.

Gianluca Freda

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dostum
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Re: [O.T.] ISLAM

#1305 Messaggio da dostum »

La Tempesta di sabbia nasconde demone molto familiare:

Tunisia: integralisti, chiudere bordelli
Tentano di dare fuoco a strada prostitute, dispersi da polizia
18 febbraio, 17:46


TUNISI, 18 FEB - Decine di integralisti islamici sono scesi in piazza nel centro di Tunisi per chiedere la chiusura dei bordelli. 'No ai luoghi di prostituzione in un paese musulmano' hanno scandito durante un raduno davanti al ministero dell'interno. Un gruppo di islamisti ha anche tentato di dare fuoco ad una strada nel centro dove lavorano le prostitute, e sono stati dispersi dalle forze dell'ordine, che hanno usato anche elicotteri. Lo ha riferito un ufficiale della polizia tunisina
MEGLIO LICANTROPI CHE FILANTROPI

Baalkaan hai la machina targata Sassari?

VE LA MERITATE GEGGIA

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