Residenti in rivolta da mesi al Tuscolano. Alle richieste di rimozione per «apologia di fascismo e nazismo», il comando di polizia municipale risponde: «Mancano fondi, terremo la pratica in evidenza»
L’ultimo sollecito è partito in queste ore, ai soliti indirizzi e-mail, dalla sindaca in giù. Tono deluso, sfiduciato: «Allora devo toglierla io?» Il riferimento è alla grande croce celtica, dipinta con la vernice nera su una terrazza di via Evandro, zona Tuscolana, a pochi metri da via Acca Larenzia, luogo della morte di tre militanti missini nel lontano 1978. Qui, da oltre un anno, va in scena una querelle senza precedenti. I residenti scrivono sia al Campidoglio sia ai vigili urbani del Nad (Nucleo ambiente e decoro) per chiedere la cancellazione di simboli e scritte degli estremisti di destra, ma i pubblici uffici si riparano dietro una giustificazione ritenuta insufficiente: «Scusateci, mancano i soldi...»
A ricevere la lettera di rifiuto è stata l’abitante che si è fatta paladina della battaglia anti-svastiche nel quartiere dove il 7 gennaio 1978 furono uccisi gli attivisti del Fronte della Gioventù Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta (e poche ore dopo Stefano Recchioni, nel corso dei disordini). Le prime richieste inviate alle mail del Nad e di Virginia Raggi risalgono a oltre due d’anni fa (oggetto: «Pregasi cancellare scritte murarie e sull’arredo urbano configuranti il reato di apologia di fascismo e nazismo») ma il botta e risposta, «in assenza di sollecito riscontro», è continuato. La tenace cittadina dalla memoria lunga sui valori fondanti della Repubblica non ha mai mollato. Per facilitare il lavoro degli addetti, ha via via fornito ai vigili le fotografie della gigantesca «celtica» disegnata sul terrazzo sopra il supermercato, visibile dalle finestre di tutto il circondario, e delle molte altre scritte che deturpano palazzi e serrande tra piazza Santa Maria Ausiliatrice e via delle Cave.
Denunce a raffica, sempre più insistenti. Fino a che, mesi fa, i funzionari competenti hanno deciso di rispondere. Batti e ribatti, sembrava di aver finalmente stanato l’ufficio giusto. «Gent.ma sig.ra - diceva la mail firmata dal Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, VII Gruppo Tuscolano - nel ringraziarla per la segnalazione inviata, Le comunichiamo che personale di questa U.O. (unità organizzativa, ndr) ha attivato l’iter previsto...» Bene. Via libera agli imbianchini comunali? Macché. La frase successiva era stata una doccia fredda. «... La informiamo che per la rimozione delle scritte murarie in questione è stato interessato il Decoro Urbano che, però, ha rappresentato un’impossibilità di intervento immediato per carenza di fondi a disposizione».
A quel punto, nelle ultime settimane, le lettere di protesta si sono intensificate, anche perché il finale della mail dei vigili a molti era suonata una presa in giro: «Gent.ma signora, la pratica verrà tenuta in evidenza e, in attesa di un miglioramento futuro, Le porgiamo distinti saluti». E così siamo all’oggi, all’ironico «Ma quella celtica devo toglierla io?» rivolto al comando della Municipale e alla Raggi. D’altra parte la «carenza di fondi» perdura, le svastiche restano e l’autrice delle denunce non demorde: «Noi residenti continuiamo a chiedere la tutela del decoro e la rimozione di scritte e simboli nazifascisti. Siamo stufi di assistere inermi allo scempio quotidiano delle facciate di abitazioni e cortili. Roma è medaglia d’oro della Resistenza, la sindaca Raggi se lo ricorda? Per non dimenticare un aspetto economico che molti considerano: i nostri palazzi, i nostri appartamenti così imbrattati perdono valore».
