Famoso nei teatri, Pavarotti ha curato molto i grandi concerti all'aperto.
Una carriera iniziata negli anni Sessanta.
Il debutto nel ruolo di Rodolfo nella Boheme a Reggio Emilia. Nel 1972 il successo al Metropolitan di New York che lo fece decollare.

Al termine della Tosca di Puccini al Metropolitan di New York nel marzo 2004 (Ansa).
MILANO - Figlio di un fornaio dell'esercito, appassionato di canto, Luciano, studia con il tenore Arrigo Pola e il Maestro Ettore Campogalliani. Debutta il 29 aprile 1961, nel ruolo di Rodolfo in La Boheme, all'Opera di Reggio Emilia. Negli Stati Uniti trionfa nel febbraio 1965, a Miami, con Joan Sutherland, nella Lucia di Lammermoor.
L'EXPLOIT - Ma l'exploit arriva il 17 febbraio 1972, al Metropolitan di New York, dove nella Fille du Regiment di Donizetti manda in visibilio il pubblico con nove Do di petto perfetti. Suo il record di 17 chiamate ed ovazioni al sipario. Da allora il suo nome è noto al grande pubblico grazie anche alla tv.

Pavarotti e Zucchero, insieme sul palco nel "Pavarotti and Friends" del 2003 (Afp).
I MEGA CONCERTI - Negli anni '90, Pavarotti cura molto i concerti all'aperto, che si rivelano grandi successi. Ad Hyde Park a Londra attira oltre 150.000 persone. Nel giugno 1993, in più di 500.000 si accalcano al Central Park di New York, mentre in milioni lo seguivano in tv. A settembre dello stesso anno, all'ombra della Torre Eiffel, canta per circa 300.000 persone. Tra i più famosi, i concerti dei «Tre Tenori» con Placido Domingo e Josè Carreras. Ma è intensa anche l'attività di organizzatore del «Pavarotti and friends», evento col quale riunisce nella sua città natale, a scopo di beneficenza, le star del pop internazionale.
L'ADDIO AL TEATRO - Nel marzo del 2004 Pavarotti ha deciso di dare un taglio alle sue esibizioni nei teatri per dedicarsi solo al «Pavarotti and friends» e a sporadiche apparizioni tv. Resta dunque memorabile la sua interpretazione di Cavaradossi nella Tosca di Puccini al Metropolitan di New York, quando per l'ultima volta si è esibito nel ruolo di protagonista di un'opera. «Ormai peso troppo - aveva detto in un'intervista al Corriere della Sera - e devo pensare a curarmi».
06 settembre 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cron ... iera.shtml
«Ma non smetto di cantare».
Pavarotti: addio all'opera, ormai peso troppo.
«E magari, se mi curassi, un miracolo puó sempre accadere».
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - «Ho scelto New York per dire addio all'opera in costume, coronando 43 anni di carriera e mettendo un sigillo di cera lacca sulle lettere d'amore che per 38 anni mi hanno legato allo straordinario pubblico del Met».
All'indomani dello storico trionfo nei panni di Cavaradossi in Tosca , sabato sera, di fronte a quattromila fan impazziti che gremivano il Metropolitan di New York, Luciano Pavarotti dà l'annuncio più volte rimandato: il più difficile per un gigante considerato da alcuni il più grande tenore nella storia della lirica.
«E' un addio all'opera, non al canto - racconta Pavarotti - ieri sera non ho smesso nè di cantare nè di lavorare. Ho ancora il "Pavarotti Friends", il mio concorso canoro per i giovani e ho appena firmato un contratto biennale per 50 concerti in giro per il mondo. Torneró alla Carnegie Hall, magari anche al Met, ma senza costumi e senza muovermi e recitare».

(Ap)
Che cosa l'ha spinta a rinunciare all'opera tradizionale?
«La salute, il soprappeso e problemi di schiena. Non riesco più a correre sul palcoscenico come un tempo e comunque l'anno prossimo compio 70 anni. Anche noi cantanti andiamo in pensione. Ma un miracolo puó sempre accadere...».
Che tipo di miracolo?
«Negli ultimi giorni ho fatto dei check up di cui non so ancora i risultati. Con le nuove frontiere della medicina c'è sempre la speranza di trovare una cura per i miei problemi. Mi piacerebbe molto poter tornare a correre sul palcoscenico: sarei un bugiardo se lo negassi».
La sua scelta è stata affrettata dalle cattive recensioni di critici come Anthony Tommasini del New York Times?
«A me interessano i musicologi veri, com'era Harold Schonberg, l'ex critico musicale del Times che ha preceduto Tommasini: uno che non sa neppure cos'è la musica e si diletta a massacrare i grandi perchè è un nano e pensa così di elevarsi. Ma il pubblico non è mai in sintonia con la critica, altrimenti io non avrei fatto 380 recite tutte esaurite al Met».
E' vero che i critici Usa hanno sempre avuto il dente avvelenato nei suoi confronti per la sua fama da pop star?
«Ho rotto i canoni, portando l'opera alle masse e sottraendole al loro controllo e i critici si sono vendicati. Negli anni '70, dopo le recite, tutti noi correvamo ansiosi a leggere la recensione del New York Times alle 4 del mattino. Se era buona andavi avanti, se era cattiva potevi cambiare mestiere. Poi è venuta la tv: una democrazia dove l'ultima parola spetta al pubblico».
E' stata la televisione a creare Pavarotti?
«Nel '76, otto anni dopo il mio debutto al Met, camminavo indisturbato per New York senza che nessuno sapesse chi fossi. Poi, nel marzo del '77, la PBS inauguró la serie di concerti in diretta dal Met e nel giro di una notte non potevo scendere per strada senza essere preso d'assalto».
Com'è cambiata l'opera dal suo debutto?
«Ci sono più teatri, meno pubblico e meno serate tutte esaurite. Dal prossimo anno il Met sarà addirittura costretto a chiudere i battenti un mese, perchè non si è mai ripreso dalla fuga di turisti del dopo 11 settembre. Peró quelli che nel '61 mi dissero "fai presto perchè sei l'ultimo dei mohicani" si sono sbagliati. Dopo 44 anni sono ancora qui. E la lirica pure».
Cosa pensa della decisione del Covent Garden di licenziare Deborah Voigt perchè «troppo grassa»?
«Una mossa poco intelligente e un insulto sia all'opera che alla persona, grande artista».
Ha dei rimpianti?
«Solo uno: se potessi tornare indietro non ingrasserei così. Quando celebrai il mio 30° anniversario al Met, nel '98, ero dimagrito 40 chili e posso assicurarle che la voce era migliorata, non peggiorata. Poi ho ricominciato a mangiare. E' il mio grande... neo, parte dal cervello ed è frutto della mia paura, che ben 10 centri specializzati non sono riusciti a cambiare. Le diete funzionano finchè sei in clinica ma quando esci il vizio ricomincia».
E' felice?
«Non potrei esserlo di più. Soprattutto perchè quella pazza di Nicoletta sabato mi ha fatto una grande sorpresa. Alla fine del primo atto ero sdraiato nel camerino a riposarmi, quando la porta si è aperta ed è entrata lei. Alcune ore prima mi aveva detto al telefono che stava andando a Bologna a sentire un concerto».
Oggi conta più la famiglia o la carriera?
«Non mi chieda di scegliere uno dei due polmoni. La musica è l'ossigeno di un cantante, non potrei vivere senza. Ma non potrei vivere neppure senza la mia meravigliosa e grande famiglia».
Alessandra Farkas
15 marzo 2004
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Spet ... otti.shtml
Pavarotti e la malattia.
«Vita felice e il cancro, con Dio sono pari».
«Non voglio più ascoltare nessuna mia registrazione».
PESARO " Ferragosto a villa Giulia. «Ora ho solo bisogno dell'aiuto di Dio e sembra proprio che Dio me lo stia dando», dice il Maestro " come tutti qui lo chiamano " nella sua splendida casa in collina davanti all'Adriatico. Convalescente dopo l'intervento, il mese scorso, per la rimozione di un cancro al pancreas, Luciano Pavarotti viene spinto lentamente attorno, da uno spazio all'altro, su una sedia a rotelle, dove resta inchiodato immobile da mane a sera. àˆ il suo ultimo trono di re dei tenori.
Ma nonostante la gravità del male che l'ha colpito e le difficoltà di un'operazione che è tuttavia riuscita ad estirpare interamente la massa tumorale, non ha l'aria afflitta e sconsolata di uno che è giunto «sul passo estremo » (come ha spesso cantato nel Mefistofele) e ha visto la morte da vicino. Ha conservato quel suo inconfondibile calore solare della voce (canta anche quando parla) e tale e quale è rimasto il suo sorriso di ragazzone emiliano, che gli spunta negli occhi prima di trasferirsi sulle labbra.
Siamo amici, lo conosco da quarant'anni, l'ho sentito cantare alla Scala e in tutti teatri del mondo. Lo vidi per la prima volta a Londra, negli anni Sessanta, quando venne chiamato al Covent Garden per rimpiazzare nella Bohème il grande Di Stefano, indisposto. Un trionfo. Stavo a pranzo in un ristorante vicino al teatro con Fiorenza Cossotto quando lui entró gagliardo come Radamès con degli amici e si sedette a un tavolo. «Guardalo " mi disse la Fiorenza ", con Gigli è la più bella voce di tenore del secolo».
Il giorno dopo, infatti, i giornali inglesi impiegavano titoli strepitosi per definire la sua interpretazione di Rodolfo nella Bohème: nessun rimpianto per Di Stefano, scriveva il critico di un importante quotidiano. Pavarotti adesso non se lo ricorda, ma quando io gli chiesi, allora, cosa pensasse del lusinghiero accostamento col tenore italiano più osannato del firmamento lirico mondiale, rispose con una battuta semplice, com'è nel suo stile: «Calma"disse ", ragioniamo. Pippo è un fuoriclasse. Quand'è in serata, non c'è nessuno che gli stia a ruota. àˆ come quando Bartali vedeva Coppi scattare sul Pordoi... Quello non lo piglia più nessuno... borbottava Ginettaccio. Capisci cosa voglio dire?».
Di Stefano è tra quelli che ogni giorno gli telefonano per avere notizie sulla sua salute, sul recupero e la riabilitazione: «Mi ha chiamato appena ieri " dice ". La sua voce, per me, è musica, è la musica. Lui è stato l'ispiratore, l'emissione perfetta, le vocali aperte, quel suo modo unico di fraseggiare. Nonostante le mie condizioni, il connubio dei tre tenori non si è dissolto. Placido Domingo è venuto a trovarmi un paio di volte, Josè Carreras mi telefona... àˆ stata una gran bella stagione, la nostra. Peró io non mi ascolto più. Non mi voglio sentire. Se tu mi invitassi a cena e, per farmi piacere, mettessi su una mia vecchia incisione, ti pianterei in asso, dietro front. Se vuoi che resti, fammi sentire la voce di Placido».
Sono sconcertato, ma da Luciano non arriva alcuna spiegazione. àˆ qui seduto davanti a me nella sua grande mole, un cappello a larga tesa che nasconde la calvizie e tiene un poco in ombra i suoi occhi vivacissimi e dolci, i soliti camicioni multicolori che gli conferiscono un'aria clownesca, come volesse ricordare che c'è stata, per tutti, un'infanzia felice, da circo equestre, con guitti, trapezisti, tigri addomesticate e inermi orsi giocherelloni.
Dice: «Sono stato un uomo fortunato e felice fino a 65 anni. Dopo è arrivata questa batosta. E adesso sto pagando il fio di quella fortuna e felicità . Ma trovo alimento nella mia infanzia, che è stata povera e felice, e vedo le cose con serenità . Le malattie non mi hanno angosciato. Il tumore te lo senti dentro, ti lavora. Ora dormo bene. Ho una certa sonnolenza durante la digestione, proprio come adesso che ti sto parlando.. Peró sono e saró ottimista fino alla morte. L'ho imparato dai miei, dal papà e dalla mamma che se ne sono andati quattro anni fa, a quattro mesi l'uno dall'altra ».
àˆ rimasta la sorella Gabriella, grande e cordiale e col più affabile dei sorrisi che ci riporta nella Modena anni Cinquanta quando Luciano studiava canto con Mirella Freni per poi debuttare, insieme, a Reggio Emilia in una indimenticabile Bohème. «Nella vita ho avuto tutto, davvero tutto" ha confessato dopo l'intervento allo Sloan Kettering Hospital di New York " Se mi venisse tolto tutto, con Dio siamo pari e patta».
Cerco di sturargli i ricordi della sua vita e della sua carriera e mi sento a disagio. Mi rendo conto che lo sto affaticando. Più di una volta una domanda resta senza risposta. Spesso, le palpebre si abbassano sugli occhi come saracinesche, è l'ora del letargo pomeridiano, muove appena le labbra come volesse accennare una delle dolcissime arie del suo illimitato repertorio... àˆ la solita storia del pastore, quindi non più stupide domande, lasciamolo sognare.
A svegliarlo, di colpo, ci pensa Alice, la sua bambina, che piomba nella stanza come un folletto e ne reclama l'attenzione: «Dai, papà , andiamo in piscina». «Non so se capisci " dice il re del melodramma sollevando a stento le palpebre ", non si tratta di un invito. àˆ un ordine. Ed io, come Garibaldi, ubbidisco ». Lo spettacolo comincia. Un atto unico con due sole protagoniste: la bimba, che ha tre anni e mezzo e nuota come un pesciolino, e la sua mamma, Nicoletta, che si diverte un mondo assecondandola nelle sue acrobazie. Alice, assicura Luciano, ha una voce molto bella e forte e il suo papà , orgoglioso, la invita ad esibirsi tra un tuffo e l'altro.
«La canzone che meglio conosce " dice " è Fratelli d'Italia, che ha imparato guardando alla Tv le partite di calcio della Nazionale. Riesce a cantarla anche sott'acqua, ascoltala ». La sua vita ora è qui, in «quest'angolo di paradiso ». Perchè villa Giulia? «àˆ il nome di una delle mie nonne di Modena». Il 12 ottobre prossimo compirà 71 anni e mi sembra indelicato chiedergli se potrà realizzare quei progetti che gli stavano a cuore prima che fosse assalito così brutalmente dal male: come fare un duetto con Mina o allestire una scuola di canto con la Freni e la Kabaivanska o perseguire l'obiettivo di Pavarotti and friends, favorendo delle grandi ugole liriche nei concerti di musica pop.
«All'inizio " ammette " ci son state delle polemiche perchè mi ero avventurato in un genere totalmente diverso. Successivamente... mi hanno applaudito. E c'è chi rimpiange che non l'abbia più fatto, il pop». Non oso dirgli che faccio parte del branco dei conservatori: e che al Miserere urlato insieme a Zucchero preferisco di gran lunga l'Ingemisco del Requiem verdiano dove la sua voce raggiunge con vibrazioni arcane le zone sideree del pentagramma.
Ettore Mo
06 settembre 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Spet ... 5/mo.shtml